Narcos Messico 3 Recensione: un'ultima stagione che poteva osare di più

L'ultima stagione di Narcos Messico ci proietta in una realtà criminale ormai frammentata dove ognuno pretende la sua fetta.

Narcos Messico 3 Recensione: un'ultima stagione che poteva osare di più
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Sono ormai passati i tempi in cui Felix Gallardo gestiva il proprio impero criminale tenendo a bada i suoi luogotenenti della droga. Il suo arresto ha aperto le gabbie di questi pericolosi animali, per usare proprio le parole del personaggio interpretato da Diego Luna, e i problemi iniziano proprio ora che il giogo del più forte è venuto meno e si presenta per tutti la possibilità di far valere il proprio nome e di imporre il predominio sul traffico di stupefacenti.

La terza stagione di Narcos Messico, l'ultima dello show Netflix spin-off ed erede spirituale di quello che fu uno degli original più apprezzati e seguiti della piattaforma, apre le uscite Netflix di novembre 2021 per chiudere la serie con un botto che si prospetta nemmeno troppo metaforico, come abbiamo avuto modo di carpire dal trailer di Narcos Messico 3.

La scacchiera del potere

Nel corso degli episodi di questo epilogo emergono, come accennavamo poc'anzi, tutte le pedine che andranno a disporsi sulla scacchiera del potere dei vari cartelli. Dopo l'arresto di Felix il fattore geografico inizia ad influenzare pesantemente i traffici illegali e i relativi equilibri, che vedono ora nella famiglia Arellano - con a capo i fratelli Benjamin (Alfonso Dosal) e Ramon (Manuel Masalva) - la nuova punta di diamante del narcotraffico, data l'osmosi del confine tra Messico e Stati Uniti che rappresenta un punto di accesso al mercato americano anche per le restanti famiglie.

Situazione mal digerita da Joaquín "El Chapo" Guzmán (Alejandro Edda), che da Sinaloa non gode degli stessi vantaggi e vorrebbe guadagnarsi a tutti i costi uno sbocco proprio per evitare l'oneroso obolo agli altri cartelli. Abbiamo poi l'immancabile Amado Carrillo Fuentes (Jose Maria Yazpik), che aguzza l'ingegno per creare un'idra dello spaccio che riesca a sopravvivere ai continui tentativi della DEA di distruggere il suo impero a Juarez. Proprio da quest'altra parte della barricata ritroviamo il tenace Walt Breslin (Scott McNairy), inviato alla fine della prima stagione per vendicare la morte dell'agente Kiki Camarena (riscoprite la nostra recensione di Narcos Messico), trovandone i colpevoli attraverso l'Operazione Leyenda che trovate descritta nella nostra recensione Narcos Messico 2. L'estenuante tentativo di sradicare il sistema dei cartelli rischia di vanificare mesi di lavoro e compromettere la sua vita privata.

Più interessante, ma troppo poco drammatizzato, il percorso di Andrea Nuñez, giornalista ambiziosa interpretata da Luisa Rubino. Nonstante la parentesi rappresentata da La Voz - forse l'unico giornale indipendente del Messico - funga da fil rouge dell'intera stagione e veda Andrea nei panni di narratrice onnisciente che non può che condurci virgilianamente tra le varie fasi della guerra tra cartelli, e non solo, ciò che latita è l'elemento squisitamente drammatico, come se Narcos Messico dovesse in qualche modo compartimentare i propri frammenti d'inchiesta spruzzandoli di un velato accenno di rischio per la nostra eroina della carta stampata, senza in realtà ricamarci mai troppo sopra.

Una situazione meglio gestita dal Victor Tapia del bravo Luis Gerardo Méndez, il poliziotto corrotto che esprime forse meglio di tutti l'idiosincrasia dei rapporti tra giustizia e criminalità, al netto di una parentesi investigativa leggermente disorientante e sbilanciata su una serie di femminicidi mai veramente contestualizzati - l'alone di mistero dura tuttora, così come i delitti -, che nonostante siano un pezzo importante di una realtà criminale capillare, nella chiosa finale di Andrea Nuñez paiono più un obolo tematico che una sottotrama sentita e gestita col giusto peso.

I nodi vengono al pettine

Insomma, il quadro dell'ultima stagione di Narcos Messico 3 è più variopinto che mai e la sceneggiatura ci trasporta con disinvoltura da una storyline all'altra, cercando di restituire il lato umano che non traspare dalle foto segnaletiche dei narcotrafficanti, con quella commistione tra realtà e drammatizzazione che ha sempre fatto la fortuna del franchise.

Ci duole però riscontrare quanto già sperimentato nella season precedente dello show a livello empatico, quando l'assenza di un saldo cuore emotivo come il Kiki Camarena di Michael Pena trasformava il tutto in una partita a guardie a ladri, dove a perderci dal punto di vista dell'attaccamento dello spettatore era il Walt Breslin di Scott McNairy, che in questi capitoli migliora di poco la situazione.In questo caso non abbiamo nemmeno un Felix Gallardo - o un Diego Luna, a dire il vero - a reggere il peso della leadership, e per quanto gli interpreti di Amado Carrillo Fuentes e di El Chapo, come quasi tutti gli altri in differente misura, ce la mettano tutta, il risultato non raggiunge mai una pienezza soddisfacente, quell'appagamento a tutto tondo che forse la serie non aveva mai raggiunto nemmeno nella sua prima iterazione. Se a ciò si aggiunge una stagione finale che non trova un vero e proprio epilogo alle vicende, tuttora ben lungi dall'essere concluse, nonché il mancato tentativo di dare dare respiro ad uno scenario in divenire attraverso cliffhangers che sarebbero rimasti sospesi, ma avrebbero anche dato maggiore dignità al congedo, il sentimento di rassegnazione e di ineluttabilità che permea l'intero progetto ci seppellisce sotto la consapevolezza che nulla cambierà mai radicalmente. Il sistema del narcotraffico troverà sempre terreno fertile nella corruzione cronica e nella possibilità di un guadagno facile, seppur rischioso, che condanna già a vinti coloro che solo si approcciano al problema.

Dal punto di vista formale la serie di Carlo Bernard fa come sempre un buon lavoro nel tratteggiare il divario pungente tra le differenti realtà sociali del Messico, giocando anche con gli spazi aperti e la desolazione spiazzante che non giudica le azioni criminali che ne macchiano il terreno di sangue. Tutto procede su binari prestabiliti, con meccaniche già ben collaudate nelle stagioni precedenti che lasciano posto a giusto un paio di guizzi creativi. Non che ci aspettassimo di più da quest'ultimo saluto a Narcos Messico, che ha cementato un'identità ben definita nel corso degli anni. Le musiche di Gustavo Santaollala, infine, accompagnano puntualmente gli sprazzi intimisti e le sfumature più controverse di questo epilogo, come un vecchio amico che ti trascina a bere una cerveza in uno sgangherato bar messicano.

Narcos: Mexico - Stagione 3 Narcos Messico 3 rimane un prodotto molto godibile, soprattutto dai fan del franchise, ma gli manca quello sprint finale che in termini narrativi riesca a condensarsi in un congedo degno di tale nome, al netto di una realtà che appare in ogni caso sconfortante, rappresentata da una messinscena come sempre degna di nota, interpretata da attori che ce la mettono tutta, ma che non hanno il carisma di un Diego Luna o di un Michael Pena, sebbene le eccellenze e le ottime interpretazioni non latitino di certo. La guerra tra cartelli si riduce così ad un mero inseguimento tra guardie e ladri velato da elementi melodrammatici, mentre i tentativi di uscire dal seminato non vengono valorizzati con il giusto peso e il degno intreccio. Gridare a gran voce la criticità di una situazione forse irrecuperabile ha ormai fatto il suo effetto; l'epilogo di questa serie, forse, non avrebbe dovuto tenere conto solo di questo.

6.8