Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino Recensione: innocenza perduta

La rilettura delle memorie di Christiane F. è una serie che sembra avere tutte le carte in regola, ma non regge il confronto con il film cult.

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino Recensione: innocenza perduta
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Le uscite Amazon di maggio hanno arricchito il catalogo Prime Video di titoli che esplorano tematiche molto oscure e delicate. Uno di questi è sicuramente Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, rilettura in chiave moderna delle vicende raccontate da Christiane F. nel suo omonimo romanzo. Vi avevamo già anticipato le nostre prime impressioni su Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino; ora, finita la prima stagione, possiamo dirvi qualcosa di più su questo prodotto Amazon Original. Un buon tentativo di riattualizzare una storia di formazione e di perdita dell'innocenza, ma che non regge il confronto con il film cult del 1981.

I ragazzi del Bahnhof

La storia è raccontata dal punto di vista dei sei ragazzi che si conoscono alla stazione dello zoo di Berlino: Christiane (Jana McKinnon), Stella (Lena Urzerdowsky), Axel (Jeremias Meyer), Benno (Michelangelo Fortuzzi), Michi (Bruno Alexander) e Babsi (Lea Drinda). Già dal primo episodio, avevamo notato l'ottima caratterizzazione dei personaggi, ciascuno dotato di uno stile personale e inconfondibile, ben visibile a partire dai bellissimi outfit. Tutti i protagonisti sono in fuga da situazioni familiari ed emotive abusanti, ognuno con il proprio vuoto incolmabile che lo porterà a sviluppare la dipendenza dall'eroina. Gli archi narrativi sono trattati con verticalità, andando a fondo nella ragioni del disagio giovanile.

Per il resto, la serie tende a seguire i singoli e le loro interazioni. Protagonista assoluta, per ovvie ragioni, rimane Christiane: il suo percorso narrativo si configura come il più coerente. Assieme a lei, Benno, Babsi e Stella sono quelli con la storyline più completa. Tuttavia, mentre di alcuni personaggi (anche minori) conosciamo le vicissitudini più dettagliatamente, di altri non ci viene svelato granché. Soprattutto per quanto riguarda Michi e Axel, i quali escono di scena a metà stagione lasciando una profonda sensazione di incompiutezza che gli autori non riescono a colmare.

L'omaggio a Bowie

Tra le poche note positive, spicca sicuramente il sentito omaggio a David Bowie, vera e propria icona vivente della musica contemporanea. Ricordiamo che era stato proprio Bowie a collaborare alla creazione della colonna sonora per il film del 1981, come testimonia la canzone Heroes. Il terzo episodio, intitolato Bowie, è sicuramente il migliore dell'intera serie. Visivamente d'impatto e con una colonna sonora pazzesca, compresa una cover di Chandelier che difficilmente riuscirete a togliervi dalla testa. La scena cult del concerto viene citata in maniera estremamente intelligente. Anziché mostrare il palco, restiamo nel dietro le quinte seguendo i ragazzi in fuga dalla polizia, accompagnati dalla voce del Duca Bianco. Uno spettacolo visto con gli occhi della mente, la quale viene lasciata libera di riempire gli spazi vuoti con l'immaginazione. Una scelta che si inchina davanti al ricordo di un artista insostituibile.

Un confronto impari

All'inizio, Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è una serie che apre della parentesi interessanti, ricche di spunti per una nuova rilettura moderna. Invece, andando avanti nel corso degli otto episodi, si rimane con un senso di amarezza in fondo allo stomaco. I problemi più grossi riguardano la scrittura: ci sono troppi buchi di trama nella sceneggiatura. Troppe parentesi non richiuse. Nè la bravura degli attori, nè la colonna sonora, né tantomeno la fotografia al neon riescono a colmare i vuoti che si spalancano lungo la narrazione.

Che sia un fatto voluto, in vista di una seconda stagione? Ancora presto per dirlo. Sta di fatto che l'esordio di questa nuova serie non può lasciare del tutto soddisfatti. Anche la piega thriller che si palesa a un certo punto nel primo episodio sfuma miseramente, rivelandosi un McGuffin bello e buono, che non porta nessuna parte.

La verità è che la serie non regge il confronto con il film. Là dove Uli Edel sconvolge le coscienze riprendendo un gruppo di veri tredicenni (come i protagonisti del romanzo) con l'ausilio di una fotografia cupa e desaturata, la serie predilige un'estetica fatta di luci al neon e glamour. E non bastano i dettagli estremamente ravvicinati (con rimandi espliciti) al mondo della droga per tratteggiare un ritratto fedele di una generazione distrutta dall'eroina. Colpa anche della mancata percezione del contesto storico politico, che non rende giustizia al clima che doveva respirarsi nella Berlino di fine anni Settanta. Tutto sembra, anzi, fin troppo patinato, dai vestiti alla musica. Un colpo che parte bene, ma manca il bersaglio. E neanche di poco.

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino rivede in chiave moderna le vicende di Christiane F. e del suo gruppo di amici del Bahnhof. La serie ha il merito di riattualizzare una storia che rischiava di finire nel dimenticatoio, grazie ad un'estetica glamour e a una colonna sonora di tutto rispetto. Tuttavia, il titolo non regge il confronto con il film cult del 1981, forte della musica di David Bowie e del cast, composto da veri tredicenni. Si cerca di sconvolgere con dettagli ravvicinati e senza filtri, ma si fallisce nel tentativo di riproporre una ritratto veritiero di un'intera generazione distrutta dall'eroina. Colpa di una scrittura che risente di (troppi) buchi di trama. Sarà per la prossima stagione? Non ci resta che aspettare per scoprirlo!

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