Oats Studio Volume 1 Recensione: viaggio nel genio di Neill Blomkamp

Oats Studio - Volume 1 di Neill Blomkamp dimostra che si può fare vero cinema (e non solo) in maniera credibile e indipendente.

Oats Studio Volume 1 Recensione: viaggio nel genio di Neill Blomkamp
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Si parla troppo poco degli Oats Studio ma più in generale si parla troppo poco di Neill Blomkamp, un regista una volta lanciato verso la Hollywood più luminosa e visionaria che ha girato perle cinematografiche come District 9 o Humandroid; pellicole che si sono distinte per avere raccontano con grande originalità alcune tematiche sensibili e attuali spostando il filtro sci-fi da cannocchiale di un futuro inquieto a lente deformante e d'ingrandimento del presente che viviamo.

Poi, improvvisamente, qualcosa è cambiato, la parabola del filmmaker sudafricano ha preso una piega discendente ed è precipitata in un periodo di silenzio al cinema dovuta, forse, anche al mancato coinvolgimento in Alien 5. Una bocciatura, si dice, dovuto al parere contrario di Ridley Scott, da sempre geloso della sua creatura e di cui temeva la corruzione vista la poetica e lo stile troppo personale del regista (qui le ultime dichiarazioni di Blomkamp su Alien 5).

Così, sceso dalla cresta dell'onda e con qualche delusione in più, Neil tiene viva la fiamma delle idee e decide di fondare la sua casa di sperimentazione cinematografica, gli Oats Studio. Un progetto che, data la sua natura indipendente, promette di essere fedele e onesta alla sua idea di cinema. Netflix nota il lavoro e le peculiarità di un regista istrionico come Blomkamp e decide di distribuire questa serie di corti sulla sua piattaforma sotto il nome di Oats Studio: Volume 1.

Cos'è Oats Studio - Volume 1 e quali sono gli episodi che lo compongono

Oats Studio - Volume 1, in breve, è una raccolta di corti e di lavori in divenire e provvisori che, sfruttando la vetrina offerta da Netflix, dovrebbero essere la base per lo sviluppo di futuri lungometraggi - soprattutto se alcuni di questi dovessero convincere community e produttori. Guardare Volume 1 è come entrare nella cartella personale del regista e cliccare sulle bozze dei suo progetti.

La prima cosa che notiamo è la durata irregolare di ogni episodio: alcuni durano quasi come una puntata di una serie tv (Rakka dura 21 minuti) e altri appena di una manciata di minuti (Danzica). Proprio Rakka è l'episodio più coinvolgente del progetto, una alien invasion che racconta la durezza delle guerre contemporanee e i sentimenti di rassegnazione di chi è costretto a viverla. Una rivincita contro Ridley Scott per gli stilemi toccati e l'utilizzo del feticcio Sigourney Weaver, volto iconico della saga di Alien. Scelta che fa trasparire con coraggio il taglio che avrebbe voluto dare al suo Alien 5, soffermandosi sugli aspetti più sociali e civili dettati da un'invasione aliena sulla Terra.

Firebase, il secondo episodio, è un riassunto di tutti gli incubi americani non elaborati, dalla guerra fredda con la Russia al luttuoso Vietnam che fa da sfondo esotico alle vicende. Il nemico da combattere, in questo caso, è un'entità soprannaturale che nell'estetica ricorda il Sauron tolkeniano e che allegorizza la morte, cercata, combattuta e poi rifiutata da uomini penitenti come Hines che, al contrario, rappresentano la vita e la speranza.

Il terzo episodio "In cucina con Bill" è una satira surreale contro le armi e la violenza tout court a cui siamo continuamente esposti dai media. Aspetto che ci ha ormai anestetizzato il pubblico fino all'assuefazione. "Dio: Sergenti/Chicago" è un racconto cinico di pochi minuti che sottolinea l'intangibilità di Dio.

La storia racconta di un nume amorale che in qualche modo rispecchia l'uomo di oggi preda dei vizi, edonismo e divertimenti effimeri. Con questo montato Blokmkamp sembra darci una chiave: se prima era l'uomo a protendersi quale immagine e somiglianza di Dio (attraverso la morale repressiva cristiana), persa tale presa, si cerca di rendere Dio più simile a noi. "Molto, male presidente" è un altro sketch satirico che sottolinea come ogni forma di comunicazione pubblica e istituzionale sia finta e distaccata dalla realtà. Per originalità, forse, l'episodio più debole di tutto questo Volume 1. "Zigote", insieme a Rakka e Firebase, è l'altra piccola perla girata per questo progetto: uno slasher in salsa body horror con una figura raccapricciante e cronenbergiana a tormentare la credibilissima protagonista Dakota Fanning,

Gli ultimi tre episodi, tutti di pochi minuti (Adamo 2, Adamo 3 e Danzica) sono dei trailer videoludici dall'importante motore grafico e dalla solidità narrativa che permette di scorgere un universo appassionante e stratificato che meriterebbe senz'altro un approfondimento (al cinema o anche solo tramite un videogioco).

Il futuro di Neill Blomkamp e dei corti di Oats Studio

Neill Blomkamp è un regista libero e istrionico, la cui produzione è in continua contaminazione come dimostrano i corti di Volume 1 (ma anche il trailer di Demonic, ancora inedito in Italia) che non si limitano alla sci-fi ma si aprono all'horror e alla narrativa steampunk, servendosi così del mezzo cinematografico e della fantasia del proprio creatore per declinare alcune tematiche del presente, e non solo per speculare eminentemente sulle inquietudini del futuro.

Uno sguardo originale che al momento sembra non trovare spazio nelle cospicue produzioni hollywoodiane e che quindi precipitano in questo progetto diffuso da Netflix. Un esperimento passato sottotraccia che dimostra, però, come si possa fare buon cinema, ma più in generale una buona narrazione a prescindere dal medium, in maniera indipendente. Un lavoro affascinante, curato nei dettagli, dalla prostetica agli effetti speciali passando per la solida scrittura, e che non vediamo l'ora fecondi qualcosa di più importante in termini produttivi.

Oats Studios - Neill Blomkamp È difficile anche solo pensare di dare un giudizio esaustivo su Oats Studio - Volume 1 di Neill Blomkamp. Si tratta per sua genetica di un progetto in fieri di cui, al limite, si possono apprezzare le intuizioni e le intenzioni visive e narrative. Così come è mirabile la presa di posizione ideologica di chi crede ancora in un modo di fare cinema personale e autonomo. E dato l’impatto che tali scelte artistiche hanno avuto sulla sua spirale lavorativa, il regista merita tutto il nostro rispetto e sostegno.

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