Prodigal Son è stata certamente una delle sorprese più piacevoli dello scorso anno. Chiariamoci, non perché si trattasse di un capolavoro imperdibile o una serie incredibilmente innovativa, ma riusciva a portare - grazie ai suoi personaggi tormentati e una trama orizzontale ben sfruttata - una decisa boccata d'aria fresca nei polizieschi procedurali, forse uno dei generi che più in assoluto si arrocca nella propria struttura ormai da decenni con poche evoluzioni. Sfruttando appieno il tema serial killer, sempre tra i più intriganti e seguiti, in aggiunta a qualche finezza competente sul piano narrativo, Prodigal Son insomma riusciva a distinguersi, pur mantenendo l'andamento tipico dei procedurali.
Purtroppo la seconda stagione non è riuscita a replicare questi buoni risultati, nonostante un numero di episodi più snello causa pandemia - 13 contro i 20 dell'esordio - che avrebbero potuto e dovuto esaltare ancora di più i lati positivi della serie, andata in onda su Premium Crime negli ultimi mesi, fino a giungere persino ad una quasi inevitabile cancellazione di Prodigal Son.
Un serial killer come padre
Facciamo un piccolo riassunto: protagonista di Prodigal Son è Malcolm (Tom Payne), un ex profiler per l'FBI licenziato per la sua instabilità mentale che non lo rende una risorsa affidabile. Instabilità mentale dovuta al fatto di essere il figlio del celeberrimo Chirurgo (Michael Sheen), un efferato serial killer che per anni è riuscito a nascondere la sua vena omicida e a comportarsi da perfetto padre di famiglia, finché lo stesso Malcolm, da giovanissimo, ha aiutato a polizia a catturarlo.
Ed è quasi banale sottolineare quanto un avvenimento del genere possa aver segnato la psiche del protagonista, che continua ad avere incubi e la perenne fobia di cadere un giorno nelle stesse tendenze sociopatiche del padre. Malcolm inizia poi a lavorare come consulente per la polizia di New York ed un caso in particolare lo costringe a chiedere aiuto proprio al padre Martin, scatenando in lui ulteriori paranoie e ricordi dolorosi.
La seconda stagione inizia diversi mesi dopo la chiusura della prima e quindi ritroviamo Malcolm nel tentativo disperato di non far ricordare alla sorella Ainsley (Halston Sage) di aver commesso il brutale quanto necessario omicidio di Nicholas Endicott (Dermot Mulroney), che avrebbe messo in pericolo l'intera famiglia. Ainsley fortunatamente sembra non ricordare nulla dell'accaduto, convinta per ora che il fratello abbia compiuto il terribile atto, sebbene inizi a mostrare sempre più di frequente atteggiamenti da sociopatica. Malcolm invece deve fare anche i conti con il suo senso di colpa poiché ha coperto un omicidio, gesto che gli ha procurato dell'innegabile piacere, mentre Martin dalla sua prigione si convince di non poter lasciare da soli i suoi figli in questo momento topico, da lui conosciuto perfettamente.
Queste sono le premesse della seconda stagione, che in realtà sembrano far leva interamente sugli aspetti psicologici legati alla trama orizzontale che tanto avevano funzionato l'anno scorso. Non solo, era inevitabile giungere ad un climax dall'intrigante fascino macabro, che avrebbe potenzialmente cambiato per sempre le carte in tavola.
Piccole migliorie e grandi delusioni
Ed invece curiosamente a colpire in positivo nelle nuove puntate è l'aspetto procedurale: i casi di puntata, infatti, sono molto più coinvolgente e distintivi, sempre connessi a qualche elemento degenerato della nostra psiche e con una messa in scena spesso unica e spettacolare, per ambientazioni o risoluzione. Un passo avanti non da poco, specialmente dopo una prima stagione in cui singoli casi erano si immersi in un alone di fascino, ma faticavano a rimanere davvero impressi.
Un aggiuntivo strato di cura in più che a Prodigal Son non poteva altro che giovare, se con il passare degli episodi non si fosse rivelato un terribile specchio per le allodole. Non stiamo azzerando i miglioramenti, indiscutibilmente significativi, della componente procedurale; ci sembra tuttavia al contempo evidente che il miglioramento di una parte dello show non possa avvenire a discapito della qualità dell'altra.
È infatti la trama che crolla, a tratti in maniere quasi imbarazzanti per come porta avanti le vicende psicologicamente turbanti della famiglia Whitly e tratta alcuni plot point cruciali. Non ogni scelta è da condannare, qualche tenue luce si intravede come nell'evoluzione di Ainsley o l'intermittente degenerazione di Malcolm, ma il resto è di una superficialità incomprensibile: eventi come la possibile indagine internazionale sull'omicidio di Endicott vengono introdotti e risolti nella stessa puntata senza alcun tipo di conseguenza o reale impatto sulla trama; i piani di evasione di Martin tentano con dettagli e dinamiche di richiamare la prima stagione di Prison Break, finendo però annichiliti nel confronto per mancanza di finesse e generale risibilità nello svolgimento.
Prodigal Son vive narrativamente sulle poche intuizioni giuste, trascinandosi con numerosi inciampi e affanni portati da frettolose guest star generiche, per poi puntare sulle puntate finali che modificano la struttura stessa della serie. Episodi che tuttavia non aggiungono altro se non cliché e colpi di scena privi di qualunque filo logico, non aiutati dalla sensazione che i personaggi siano costruiti per funzionare egregiamente in un procedurale e non in altri contesti. Se poi si aggiunge una sottotrama a malapena accennata sul tema Black Lives Matter e polizia, messa in scena con una sterilità creativa opprimente e richiamata in momenti totalmente randomici, il quadro della seconda stagione di Prodigal Son diventa chiaro, illuminato da occasioni mancate e attese disilluse.
Dopo un esordio piacevole e per certi versi sorprendente pur senza mai raggiungere vette indimenticabili, la seconda stagione di Prodigal Son si rivela invece piagata da numerose problematiche, legate soprattutto alla gestione della fondamentale trama orizzontale. Qualche luce nella caratterizzazione ed evoluzione di Ainsley e Malcolm c'è, non lo neghiamo, ma viene surclassata dalla superficialità e sterilità del resto: guest star e new entry generiche e frettolose, plot point fondamentali introdotti e risolti nella stessa puntata senza alcun tipo di impatto o pathos, parti enormi e cruciali della narrativa che vengono portate avanti da escamotage inverosimili e una chiusura di stagione ricca di cliché e colpi di scema privi di logica. È presente un netto miglioramento della parte procedurale dello show, vero, ma non può bastare a coprire una sequela di scelte sbagliate che crollano nel paragone con alcune delle finezze dello scorso anno.