Riverdale 4: la recensione della quarta stagione disponibile su Netflix

Il teen-drama di Roberto Aguirre-Sacasa approda su Netflix con la stagione 4. Le bizzarrie dello show continuano tra cassette misteriose e omicidi assurdi.

Riverdale 4: la recensione della quarta stagione disponibile su Netflix
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I misteri sembrano non finire mai a Riverdale. Il quarto ciclo di episodi della fortunata serie teen drama a tinte dark di Roberto Aguirre-Sacasa è arrivato lo scorso primo marzo su Netflix, portando avanti ancora una volta la sua narrativa sopra le righe ed esagerata, fatta di luci al neon e lustrini. Nel novero di serie dedicate ai teenagers e alle loro vite, di certo lo show che vorrebbe tributare David Lynch e il suo caratteristico stile è uno tra i più particolari e stravaganti, e giudicare lo sforzo artistico di Aguirre-Sacasa nella sua opera principale diventa ogni stagione più difficile.

The CW ha sicuramente fatto centro quando ha deciso di puntare forte su un prodotto così controverso diventato ormai più simile a uno show varietà dal sapore bohémien di inizio XX secolo che a una vera e propria serie televisiva. Senza ulteriori indugi, torniamo ancora una volta nella cittadina più maledetta degli Stati Uniti, in un viaggio ricco - anche questa volta - di omicidi, stranezze e tanto drama.

Benvenuti a Riverdale

Alla fine della terza stagione dello show, un cliffhanger importante aveva lasciato lo spettatore di stucco, in apprensione per la vita di uno dei protagonisti principali della serie, ovvero Jughead Jones (Cole Sprouse). Senza comprendere bene cosa potesse essere accaduto al povero Jug - che sarà uno dei motori principali del quarto arco narrativo della serie - erano ancora molti gli snodi di trama lasciati in sospeso: primo tra tutti, la terribile Fattoria di Edgar Evernever (Chad Michael Murray) era ancora in controllo di gran parte della cittadina, e solamente l'acume e l'ingegno di Betty (Lili Reinhart), avevano permesso alla ragazza di liberarsi dal giogo di Edgar. Tuttavia, durante il primo episodio di Riverdale 4 ci scordiamo per un attimo di quanto rimasto ancora da risolvere. La première della stagione, dal titolo In Memoria, è infatti completamente dedicata alla commemorazione di Luke Perry, tra i protagonisti della serie, e venuto a mancare tragicamente il 4 marzo del 2019.

In assoluto la miglior puntata della stagione, In Memoria mostra tutto il buono che Riverdale ha ancora da offrire: una storia non innovativa e forse esagerata, ma ben congeniata e funzionale al racconto, pieno di emozioni e di buoni sentimenti, con un velo di patriottismo comunque non troppo forzato. Chiusa questa parentesi, finalmente si torna nel vivo dell'azione. La stessa serie che ci aveva colpito per la sua profondità, improvvisamente ricomincia a mostrare il fianco a un pressapochismo ingiustificabile per un prodotto dal potenziale comunque interessante.

La conclusione dell'arco narrativo che ancora faceva parte della terza stagione appare piuttosto blanda e affrettata, come se le buone idee mostrate nella caratterizzazione della Fattoria (una complessa rappresentazione metaforica di una setta, ancora grave problema sociale negli Stati Uniti) non avessero un vero seguito nella realizzazione. Inoltre, un attore bravo e preparato come Murray sembra ancora, dopo una stagione intera, spaesato e non totalmente a fuoco, come se non avesse capito bene quale fosse il suo ruolo. Un gran peccato, per un personaggio che aveva davvero del potenziale.

Wicked Little Town

Archiviate le passate questioni, finalmente abbiamo la possibilità di tornare ad approfondire il momento sconvolgente che ha riguardato Jughead, ed è proprio il narratore della storia di Riverdale a diventare il protagonista principale di molte vicende fondamentali della quarta stagione. Dopo essere stato ammesso alla prestigiosa Stonewall Prep, il giovane Forsythe Jones III deve subito fare i conti con un nuovo oscuro mistero: la scuola nasconde dei segreti, e i suoi compagni di scuola Bret (Sean Depner) e Donna (Sarah Desjardins), sembrano coinvolti in una serie di inspiegabili sparizioni e morti sospette all'interno della scuola. Il tutto sotto il severo sguardo del preside Dupont (Malcolm Stewart), tra tutte la figura più enigmatica e spaventosa. Il mistero legato alla Stonewall Prep è senza dubbio la narrativa meglio riuscita tra tutte quelle a cui assistiamo nel corso della stagione. Sebbene soffra di problemi di ritmo piuttosto importanti, lo svolgimento della storia legata agli Stonies risulta comunque efficace, e le interpretazioni di Depner e della Desjardins sono tra i punti più alti forse non solo della stagione, ma dell'intera serie, sempre convincenti e credibili nella parte di un malefico duo carismatico e affascinante.

Al netto di una conclusione che - ancora una volta - lascia interdetti per avvenire troppo in fretta (inspiegabilmente, avendo ben 19 episodi a disposizione), è stato tra gli archi narrativi più coinvolgenti di tutto lo show, che aveva perso parte del suo mordente dopo la scomparsa di alcuni storici villain come The Black Hood.

Non sono solamente gli Stonies da tenere d'occhio. Un altro importante mistero aleggia tra i vicoli di Riverdale, ed è relativo alla comparsa di misteriose cassette e snuff movies che spaventano gli abitanti della cittadina. Il motivo dell'apprensione riguardo a questi video amatoriali risiede nel fatto che essi sembrano riproporre fin troppo minuziosamente vecchie tragedie avvenute nel corso delle stagioni precedenti. A far luce su questo problema cercherà di occuparsene soprattutto Betty, insieme al suo fidanzato Jug, grazie all'aiuto del fratello di entrambi (avete capito bene), Charles, interpretato da Wyatt Nash. La vicenda legata alle cassette, pur partendo da basi forse persino più solide rispetto a quella della Stonewall Prep, è probabilmente tra i punti più bassi della serie.

Il ritmo altalenante anche in questo caso non aiuta, ma il vero problema che affligge la questione dei video amatoriali è una mancanza vera e propria di svolgimento, uno degli elementi fondamentali nella scrittura di una narrazione. La linearità non ha mai fatto parte di Riverdale, ma in questo caso nemmeno la logica causa-effetto sembra rispettata, in quanto i personaggi passano da momenti di puro terrore nel rivedere gli orrori del loro passato a interi episodi nei quali si scordano di quanto sia successo loro. Gli snuff movies appaiono e scompaiono a piacimento, a volte solamente per ricordarci che esiste anche questa trama.

Nemmeno un episodio musical interamente incentrato sulla questione - il miglior musical mai fatto da Riverdale sinora, una splendida versione dell'iconica opera rock Hedwig and the Angry Inch - riesce a salvare lo spettatore dall'impressione che, alla fine, non sia poi questo grave problema la presenza di un folle amatore che sta ricostruendo i più efferati omicidi di Riverdale. Tuttavia, proprio l'episodio musical ha regalato uno dei momenti migliori della stagione, e ha rappresentato quello che dovrebbe essere un punto di forza dello show, del quale purtroppo spesso i suoi autori si dimenticano: la possibilità di affrontare tematiche come l'inclusività, il rapporto difficile tra adulti e ragazzi, il desiderio di rivolta intellettuale e di emancipazione tramite uno spettacolo musicale irriverente come Hedwig non ha precedenti nella storia della televisione rivolta ai ragazzi.

Inoltre, le capacità vocali dei protagonisti sembrano sempre migliori, con una splendida versione di Sugar Daddy cantata da Madelaine Petsch e Vanessa Morgan, senza dubbio la performance migliore in quattro anni di Riverdale. Proprio per questo motivo ci risulta sempre più difficile capire come sia possibile che tutto quello che di buono potrebbe essere fatto viene gestito in maniera altalenante e approssimativa dalla scrittura.

Trash-chic

Come ormai Aguirre-Sacasa ci ha abituati, Riverdale vive una sua propria esistenza totalmente avulsa da certe logiche televisive, nel bene e nel male. Da un lato, il voler ritrarre una generazione di adolescenti intraprendenti e più adulti rispetto a quanto dovrebbero essere affascina il pubblico. Dall'altra, le raffigurazioni forzate e totalmente irrealistiche della vita alle quali si assiste nella serie non possono fare che aumentare il disagio dello spettatore, che più di una volta si troverà di fronte a momenti trash.

Forse la vera forza di Riverdale risiede proprio in questo. La capacità di infiocchettare al meglio certi elementi completamente bizzarri, innaturali e macabri, donandogli un aspetto fascinoso e colorato al neon è innegabile, e il risultato è un mettere a nudo tutte le contraddizioni di una società come quella di una serie nella quale gli adulti sono bambini e viceversa. Senza dubbio, questa è la caratteristica più lynchiana di un prodotto che vorrebbe esserlo totalmente, ma che ci riesce solo in parte. Dei problemi di ritmo abbiamo già accennato. Il fatto che una stagione televisiva piuttosto imponente (gli episodi dovevano essere 22, ma sono stati tagliati a 19 a causa della pandemia globale di COVID-19) non abbia sempre lo stesso mordente è naturale. Tuttavia, è incomprensibile il perché non approfondire due storie che da sole avrebbero potuto riempire completamente tutte le puntate, per aggiungere elementi di ben poca rilevanza e autoconclusivi, diluendo oltremodo la narrazione.

Ci sono episodi che potrebbero tranquillamente essere saltati senza perdere nulla delle trame principali, presentandosi come dei veri e propri filler in un'epoca audiovisiva che sta sempre più cercando di eliminarli dalla sua industria. La conseguenza di questa gestione singolare delle tempistiche è una necessità di accelerazione improvvisa negli ultimi episodi, che non lasciano un attimo di respiro.

Inoltre, il cast principale, che ormai vive di luce propria, ha fatto un netto passo indietro dal punto di vista attoriale: se la Reinhart e Sprouse risultano ancora i più efficaci, lo stesso non si può dire di KJ Apa e soprattutto di Camila Mendes, la quale ormai è completamente vittima di un personaggio macchiettistico e poco incisivo, e le cui doti recitative non sembrano migliorare nel tempo, ma anzi sembrano fossilizzatesi. La attendiamo in prove decisamente migliori.

In definitiva, Riverdale continua a piacerci? La risposta è sì, perché nessun'altra serie è trash-chic come Riverdale. Tuttavia, è innegabile la costante involuzione della sua scrittura, diventata ormai frustrante. Una regia quasi sempre brillante nasconde più che può le innumerevoli problematiche di uno show che affascina e ci attrae grazie a tutte le sue imperfezioni. Il confine tra arte e presunzione è piuttosto labile, e questa serie si fa amare per la sua capacità di sconfinare tra i due versanti in maniera quasi poetica.

Riverdale - stagione4 Elencare tutti i difetti della quarta stagione di Riverdale sarebbe impossibile. Tra gestioni di ritmo incomprensibili e scelte discutibili, senza dubbio la trama complessiva (che era comunque interessante nelle premesse), risulta tra le più deboli se rapportata alle precedenti stagioni. Tuttavia, la questione della Stonewall Prep è uno dei punti più alti raggiunti dall'intero show, e l'episodio musical è una vera e propria perla sperimentale per un teen-drama, con un fascino artistico innegabile. La serie è sempre più affascinante ed enigmatica. Dare un voto all'opera di Roberto Aguirre-Sacasa è impossibile, e noi continueremo ad amarla con ogni sua problematica, perché nessun altro prodotto del suo genere (e non solo) è come Riverdale.

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