See Recensione: Apple e Jason Momoa danno nuova linfa al post apocalittico

La serie originale Apple creata da Steven Knight ha il coraggio di esplorare nuove vie in un genere abusato, con risultati altalenanti.

See Recensione: Apple e Jason Momoa danno nuova linfa al post apocalittico
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Il genere post apocalittico in televisione - e non solo - è più attuale che mai e cerca di volta in volta di rinnovarsi anche attraverso commistioni più o meno riuscite. Può andare a braccetto col poliziesco, come abbiamo visto nella nostra anteprima di Snowpiercer, con l'horror, come dimostrano i migliori momenti di The Walking Dead o addirittura con la commedia e The Last Man On Earth ne è l'esempio lampante. È però alquanto raro imbattersi in prodotti spiazzanti, che cercano in qualche modo di andare al di là della struttura, per creare qualcosa di unico e di innovativo.

See è stata una delle prime serie originali Apple ad essere prodotta. Creata dalla fervida mente di Steven Knight (Locke, Peaky Blinders), See vuole porsi a paradigma di un nuovo modo di concepire la serialità post apocalittica. Ne avevamo già parlato a novembre, in occasione dell'uscita della serie, quando vi avevamo riportato le nostre prime impressioni su See, ma ora siamo pronti per scoprire se quelle premesse abbiano trovato terreno fertile o meno. Se siete in cerca di una risposta, la troverete continuando a leggere la nostra recensione completa. Vi anticipiamo che, in ogni caso, See rimane una delle serie da non perdere su Apple TV+.

Una premessa affascinante

L'aspetto più ammaliante e rischioso di questa serie è insito proprio nella sua premessa. Il senso della vista, richiamato anche nel titolo, è infatti l'unico che manca ai nostri protagonisti, di fatto non vedenti. E non sono solo loro ad essere afflitti da questa cecità, ma tutta la popolazione mondiale, in seguito ad un'epidemia che centinaia di anni prima ha reso ciechi, anche a livello genetico, gli abitanti del pianeta Terra. Ai lettori di Saramago fischieranno le orecchie, ma See non si pone affatto in quella direzione.

Questa disabilità ha distrutto la razza umana per come la conosciamo, facendola regredire a livello tribale, con l'abbandono delle città e la lotta tra clan rivali, ridefinendo la prossemica tra individui e diventando di conseguenza, con il passare dei secoli, la normalità. I protagonisti di See sono nati ciechi e la serie non esplora le cause e le prime conseguenze dell'epidemia, ma apre il sipario su un mondo che non vede la luce del sole o le stelle da secoli, al punto che l'ipotesi della vista viene considerata un'eresia e discuterne può essere severamente punito dai cacciatori di streghe.

In questo contesto conosciamo la tribù degli Alkenny, capitanata da Baba Voss (Jason Momoa) che, durante una tormenta, soccorre Maghra (Hera Hilmar), una donna incinta che partorisce due gemelli, Kofun e Haniwa, cresciuti da Baba Voss come se fossero figli suoi. I neonati sono in realtà unici nel loro genere: hanno il dono della vista. Sono infatti progenie di Jerlamarel (Joshua Henry), a sua volta vedente, che ha intenzione di far risorgere l'umanità dalle proprie ceneri, recuperando la cultura e le conoscenze del passato, per creare un nuovo mondo che ne faccia tesoro.

I quattro sensi

Il concept, per quanto innovativo e promettente, porta con sé anche alcune criticità. L'episodio pilota è per forza di cose straniante, vista la necessità di introdurre gli elementi cardine della serie, e fatica a tenere saldo il mordente del racconto, che rischia di annoiare a tratti anche nel proseguo della trama. Un rischio però abbastanza calcolato, che si svincola parzialmente dai propri limiti a partire dall'episodio successivo, per introdurre il tema del viaggio e la contrapposizione classica tra vivere una vita ordinaria, lontana dai pericoli e dai rischi che comporta il seguire virtute e canoscenza, per scoprire così dove conduce il folle volo del destino.

La preparazione degli attori è indiscutibile nel simulare la cecità e raccoglie i frutti di settimane di allenamento e immedesimazione. Una condizione che si riflette sul world building, con l'invenzione di un sistema di comunicazione che si basa su un alfabeto di nodi fatti su una cordicella o con l'installazione di campanelli e corde guida al di fuori delle capanne, per creare delle vie di passaggio interpretabili attraverso il tatto. La condizione di totale cecità ha inoltre ampliato a dismisura gli altri sensi, in particolare la percezione uditiva e, sotto questo aspetto, See fa davvero un ottimo lavoro, con un sound design eccellente, che rappresenta un riuscitissimo valore aggiunto per lo spettatore che, nonostante assista con i propri occhi alle vicende di Momoa e compagni, deve comunque immedesimarsi nei protagonisti. A tal proposito è emblematica l'opening dello show, tutta basata sulla percezione uditiva e sulle immagini che nascono da essa.

Nonostante possa sembrare un ossimoro, See è una gioia per gli occhi. Il comparto tecnico della serie è di primo livello e la fotografia ammalia con splendidi paesaggi, ai quali fanno da contrappunto le inquietanti rovine di un mondo remoto e location peculiari splendidamente dettagliate, che esaltano l'ottimo production design alle spalle. L'estetica di See si fa anche carico della caratterizzazione delle fazioni che abitano il mondo dello show. Dalla tribalità degli Alkenny, alla sottomissione degli abitanti di Kanzua, i cui nobili rispecchiano quasi i Patrizi romani, per arrivare alla prerogativa guerriera del Cacciatore di Streghe e del suo esercito. A livello di messa in scena il mondo di See appare coerente e reale nella sua peculiare connotazione post apocalittica.

Purtroppo alcune dinamiche relative alla mitologia dello show avrebbero meritato un approfondimento più eloquente, come quelle relative alla stessa città di Kanzua, che ospita la Regina Kane (Sylvia Hoeks); un villaggio tenuto in vita dalle presunte discendenze divine della famiglia reale, che comanda le turbine della diga che incombe sulle abitazioni, preservandole dalla distruzione. Lo stesso personaggio della Regina, in bilico tra lo stereotipo e il perturbante, non manca di sfaccettature, ma vive in ogni caso dello stesso semplicismo narrativo che caratterizza alcuni nodi di trama relativi alle meccaniche interne alla tribù degli Alkenny e alla missione del Cacciatore di Streghe e del suo esercito.

Nonostante ciò le interpretazioni degli attori sono convincenti, sia per la preparazione della quale discutevamo poc'anzi, sia per un casting per lo più azzeccato. Momoa è perfetto nel ruolo di Baba Voss e riesce a sopperire ai limiti di espressività con una fisicità dirompente, che raggiunge l'apice negli spettacolari combattimenti, ben coreografati e diretti. La trama è lineare, ma anche specchio di un intento narrativo ben preciso; lavorando per sottrazione, si adegua alle dinamiche del nuovo mondo, che ha nuovamente imparato l'essenzialità delle cose, scevro dalle catene socio-economiche che vincolavano gli antenati.

Una nuova speranza

L'urgenza della sopravvivenza diventa così una prerogativa che mette in secondo piano ogni velleità, rischiando al tempo stesso di compromettere una cultura millenaria tramandata per mezzo di supporti che solo la vista può riportare in auge. Ed è proprio il senso della vista posseduto dai gemelli a generare alcune delle dinamiche più interessanti.

In un mondo alla cieca è paradossalmente straniante assistere alle azioni di Kofun e Haniwa, che sono uno stimolo narrativo molto potente nell'economia della serie; perché la loro peculiarità può essere insieme costruttiva e distruttiva, con tutte le implicazioni che porta con sé il recupero di una cultura basata sulla vista in un mondo di ciechi. Una cultura che merita in ogni caso di riemergere per plasmare una società nuova nella quale fare tesoro degli insegnamenti passati e presenti, possibilmente lontana dalla liquidità di quella attuale, che ha in qualche modo contribuito all'annientamento dell'umanità stessa.

See (Apple TV+) È innegabile che See sia una serie coraggiosa e che a livello concettuale cerchi di andare oltre gli stereotipi di genere, restituendoci un tentativo inedito di dipingere un quadro post-apocalittico nel quale i protagonisti sono privati del senso della vista ormai da secoli. È affascinante osservare una società che rinasce dalle proprie ceneri, così come sono bravi gli attori ad interpretare con naturale disinvoltura una condizione estranea alla quotidianità dei più. Certo, la scrittura ha bisogno di un po' per ingranare e coinvolgere, mentre alcune semplificazioni e semplicismi non agevolano certo la visione. La direzione è però quella giusta; See deve solo trovare il giusto compromesso tra i propri elementi, spingendo sulla sua mitologia e cercando di limare le dinamiche e i personaggi. Un giudizio che anticipa anche molto la fiducia in un'opera che nella sua seconda stagione potrebbe davvero imboccare la strada maestra e regalarci parecchie sorprese.

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