La Storia di Lisey Recensione: delude la serie Apple di Stephen King

La serie con Julianne Moore non riesce a restituire un quadro convincente delle proprie vicende e il (de)merito è proprio del suo autore.

La Storia di Lisey Recensione: delude la serie Apple di Stephen King
Articolo a cura di

Fin dalla nascita del proprio servizio streaming Apple ha scelto di far leva non tanto sui titoli in lavorazione, quanto sugli autori che avrebbero collaborato con la casa di Cupertino per elevare il catalogo di Apple TV+ e affrontare così la concorrenza spietata rappresentata dai colossi dello streaming mondiale, Netflix e Amazon in testa. Un approccio tutt'altro che iconoclasta, che ricalca con coerenza la politica di quel "think different" che ha fatto la fortuna di Steve Jobs e ha accostato Apple a figure eccezionali dell'umano ingegno.

Lo spirito si è rivelato corretto e coerente, non portando forse a quei risultati eclatanti che accompagnano da sempre la release di prodotti e servizi di Cupertino. Nomi di primo piano dell'industria dell'intrattenimento come Ronald D. Moore, Steven Knight, Steven Spielberg e M. Night Shyamalan sono solo alcuni tra questi e il loro contributo è stato fondamentale, ma non ancora fondativo per la piattaforma; spulciate la recensione di Ted Lasso e la recensione di Servant per farvene un'idea.

Tra questi non poteva mancare l'inconcepibilmente prolifica fantasia di Stephen King, i cui romanzi sono stati adattati innumerevoli volte tra cinema e tv, con risultati assai altalenanti (prendete due casi agli antipodi che abbiamo analizzato nella nostra recensione di The Outsider e nella recensione di The Stand per inquadrare questa dicotomia). Sotto l'ala della Bad Robot di J.J. Abrams, King ha portato su Apple TV+ il suo Lisey's Story, che sembrava potesse dare ulteriore smalto alla piattaforma di Cupertino, ma che, giunto ora all'inevitabile series finale dopo una corsa durata otto episodi, non può che essere lo specchio dell'altalenante creatività del proprio autore.

La questione dell'adattamento

Nonostante i più potrebbero sentirsi rassicurati dallo scoprire che dietro alla sceneggiatura de La Storia di Lisey ci sia il Re in persona, i fan di King e gli appassionati di cinema e serie tv sono consapevoli di quanto purtroppo questo fattore rappresenti una lama a doppio taglio rispetto alla buona riuscita di un progetto tratto dal corpus di opere del Re.

Questo deriva - e ne discutevamo già nelle nostre prime impressioni su La Storia di Lisey - dalla difficoltà di King di adattare la propria scrittura da un medium all'altro, per quanto non dubitiamo che il Re non sia a digiuno di lezioni sull'argomento o di esperienze in tal senso, vista la mole di collaborazioni anche eccellenti collezionate nel corso dei decenni. Tuttavia, il nostro viaggio nel tentativo di Lisey Landon (Julianne Moore) di superare la morte del marito Scott (Clive Owen) e di sopravvivere al fanatismo di un cultore dell'opera del marito, celebre scrittore che deve il suo successo e la sua ispirazione alla capacità di trasportarsi in un crepuscolare mondo soprannaturale, non riesce a focalizzare appieno i propri temi; quello del matrimonio in primis, della perdita e della sua elaborazione, della responsabilità dell'artista e della degenerazione del fandom.

Tutti valori che vengono urlati allo spettatore e reiterati alla nausea, senza troppa volontà di argomentare o costruire un percorso narrativo in tal senso, quasi lanciando nel mucchio una dichiarazione di intenti che non si accompagna all'effettiva azione dei personaggi, rimanendo cristallizzata nella sua forma primigenia idealizzata, sminuendo così - e talvolta ridicolizzando - il percorso affrontato dai protagonisti, veri e propri personaggi erranti che si fanno scudo di concetti e temi che in fondo capiscono poco, figuriamoci trasmetterli allo spettatore che si trova catapultato in una relazione decostruita che vive di uno slang a dir poco bizzarro che schiaffeggia al ritmo di "bool" e "babyluv" e che mina alquanto la credibilità del tutto, non aiutando nel proprio generale disordine concettuale.

Il caso più eclatante è la contestualizzazione e il tentativo di trasmettere il mondo fantastico di Boo'ya Moon; un puzzle che ogni volta è costretto a ricomporsi per dare nuove sfaccettature alla natura miracolosa della pozza, un ruolo ai misteriosi ammantati delle gradinate o una giustificazione alla minaccia dello Spilungo.

La percezione che trova conferma nel prosieguo degli episodi è che King non riesca a focalizzare di volta in volta una struttura-puntata che renda giustizia al crescendo narrativo della stagione, perdendosi in dettagli ossessivi e fuori posto, reiterazioni e integrazioni su eventi minori, o aggiungendo tasselli ad una storia d'amore che in fondo non convince mai pienamente e sembra celare al contrario una natura a tratti egoistica che ha il sapore della beffa nel finale, quando il tentativo di trasformare la storia di Scott in un quella che avrebbe dovuto essere fin dall'inizio la storia di Lisey, non finisce mai di appagare o convincere.

Per fortuna a non far affondare la nave interviene la regia del cileno Pablo Larraín, che cerca di restituire con rigore e pulizia le atmosfere di King, instillando gocce di lirismo e d'inquietudine nei momenti giusti e centrando alcuni punti cruciali della messinscena, come la rappresentazione stessa di Boo'ya Moon, sebbene il risultato non possa per forza di cose dirsi del tutto soddisfacente a causa degli squarci di scrittura descritti poc'anzi.

Un tentativo di salvezza reiterato anche dal buon cast capitanato da Moore e Owen - che non sembrano comunque a proprio agio nei momenti più bizzarri dello show -, e che trova sprazzi di qualità anche in Joan Allen and Jennifer Jason Leigh nei panni delle sorelle di Lisey e in Dane DeHaan, che ce la mette tutta, ma il suo Jim Dooley rimane purtroppo una delle vittime eccellenti dei problemi appena affrontati.

La storia di Lisey Ce l'abbiamo messa tutta per riuscire ad entrare a Boo'ya Moon e farci coinvolgere dalla storia di Lisey, ma quello che il Re considera il proprio romanzo preferito, già di per sé non è il migliore. Ad evitare il disastro ci pensano Larrain, Moore e Owen, oltretutto l'accanimento di King in fase di adattamento ci fa capire quanto l'autore creda nel proprio progetto, ma fatichi nel trasmetterne il cuore, trasformando la visione dello show nella scalata alla volta di una vetta che, quando raggiunta, non restituisce una vista che sia appagante e che faccia gioire nonostante degli sforzi compiuti per conquistarla.

5.5