Stranger Things 4 Recensione: una stagione spettacolare e gigantesca

L'opera dei fratelli Duffer si arricchisce nella messa in scena toccando nuove vette di spettacolarità, ma il disegno generale comincia a riciclarsi.

Stranger Things 4 Recensione: una stagione spettacolare e gigantesca
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L'eco scatenato dal fragore di Stranger Things ha valicato i confini del suo prodotto originale per sfociare nei vasti campi della popolarità di massa, rendendo la serie plasmata dai fratelli Duffer un'opera imprescindibile per tutti coloro che negli ultimi anni si sono rivolti alle piattaforme streaming alla ricerca di titoli unici e diversificati tra di loro. Il progetto partito dallo scantinato immaginario di Hawkins è destinato ad espandersi ulteriormente nei prossimi anni, con i Duffer che hanno già annunciato di essere in fase progettazione per uno spin-off di Stranger Things, il quale seguirà una quinta stagione che punta a chiudere tutte le linee narrative del filone principale.

Se il futuro della serie tv appare a dir poco roseo, non è da meno il presente che segna un miliardo di ore di visualizzazioni complessive nell'ultimo mese, con la battaglia contro Vecna che è diventata il tormentone di questo caldissimo principio d'estate. L'ultima stagione di Stranger Things - conclusasi con i due episodi finali rilasciati tra le serie tv Netflix di Luglio 2022 - è contraddistinta da una resa visiva strepitosa, calibrata sui toni di una computer grafica mai così particolareggiata come nell'ultimo episodio, la quale appassiona e rende spettacolare fino all'inverosimile una guerra tra universi che espande i suoi confini verso orizzonti ancora imprecisati, assumendosi il rischio di accartocciarsi su se stessa mentre i pigri riferimenti ai favolosi anni '80 cominciano a mancare di vera passione.

La difficile separazione

L'infanzia del gruppo di eroi formatosi per caso, durante la lotta contro un essere proveniente da una realtà parallela, è ormai agli sgoccioli e destinata a terminare, ma i ragazzi non potranno avventurarsi insieme nell'avventura dell'adolescenza perché - per la prima volta da quando si sono incontrati - ci sono migliaia di chilometri a separarli. La famiglia Byers ha deciso di lasciare Hawkins in seguito agli orrori che hanno sconvolto la cittadina texana, portando in California la due volte orfana Undici (Millie Bobbie Brown) e dicendo addio ad un luogo sul quale aleggiava la dipartita dello sceriffo Hopper.

La ragazza ha promesso di rimanere in contatto con il suo fidanzatino Mike (Finn Wolfhard), ma la relazione a distanza si scontra con la freddezza emotiva di lettere mai abbastanza sentite, mentre Undici deve allo stesso tempo abituarsi ad una nuova vita in assenza di poteri psichici, con l'incapacità di inserirsi nel contesto scintillante dell'high school losangelina. L'assenza dell'unica superstite del progetto del dottor Brenner (Matthew Modine) non ha però garantito la salvezza di Hawkins, perché una serie di efferati omicidi spalanca le porte per l'arrivo di un nuovo potentissimo avversario, il quale costringerà il gruppo di amici a lavorare insieme a dispetto della lontananza per salvare il mondo da una calamità mai vista prima.

Un intreccio in perenne evoluzione

L'allargamento dell'orizzonte geografico porta Stranger Things ad abbracciare nuove dimensioni narrative, cercando per la prima volta di trovare la giusta misura a diversi contesti scollegati tra di loro.

Non affascina da questo punto di vista il trattamento riservato ad Undici, incapace di trovare un senso alla sua esistenza una volta persi i poteri che la rendevano unica, e gli scontri con i suoi coetanei (uno dei quali rientra a pieno diritto nel citazionismo sfrenato di Stranger Things 4) si rivelano inconcludenti visto che alla prima occasione utile la sceneggiatura trova un modo di reinserirla nel mondo del paranormale, senza darle mai l'occasione di diventare una persona reale. Nettamente migliore è la linea narrativa che unisce Will, Dustin e Lucas all'Hellfire Club di Eddie Munson (Joseph Quinn), il quale si rivela una delle migliori aggiunte al cast che la serie ricordi, riprendendo i temi di unione e fratellanza che avevano reso indimenticabile la prima stagione, mentre perdono mordente in maniera definitiva i "colleghi adulti": Nancy, Jonathan e Steve ebbero un sussulto in termini di profondità emotiva nel corso della terza stagione, ma la loro evoluzione personale durante lo scontro con Vecna è irritante quando non parodistica.

Come già vi raccontavamo nella recensione della prima parte di Stranger Things 4, questa nuova stagione si propone di esplorare i segreti dell'origine del Sottosopra e, sebbene il racconto non spicchi per originalità espositiva - portato avanti da una sorta di flashback indotto a Undici - i tasselli disseminati nel corso di queste tre stagioni (fa eccezione la prima, la quale fu pensata per essere autoconclusiva) cominciano a formare un quadro interessante, allargatosi in maniera decisa rispetto al piccolo mondo che avevamo conosciuto nel 2016, e per questo sempre in bilico tra l'espansione concreta e il tradimento dell'ambizione. Soltanto la stagione finale ci dirà se questo mosaico narrativo si paleserà in un disegno convincente, ma per il momento la trama sorregge bene il peso dell'aspirazione.

Visivamente fuori scala

Se la sceneggiatura boccheggia in alcuni frangenti, lo stesso non si può dire della messa in scena, la quale si rivela il vero fiore all'occhiello di una produzione che non ha badato a spese per ricreare mostruosità ed effetti strabilianti, sebbene sia stato completamente perso il senso dell'horror che permeava le prime stagioni della serie.

La computer grafica si erge a protagonista assoluta della stagione, con un episodio finale capace di emozionare tanto è elevato il livello dell'impianto scenico, spalleggiato da una colonna sonora come al solito azzeccatissima, tra i sintetizzatori cari al maestro Carpenter e le canzoni originali dell'epoca raccontata, tra le quali spiccano Running up that Hill di Kate Bush e un brano dei Metallica riproposto in maniera così potente da bucare lo schermo. Grande assente risulta l'anima anni Ottanta che aveva fatto innamorare gli spettatori ad una serie decisamente citazionista, perché - al di là dei blandi riferimenti filmici, con il solito ammiccare verso Stephen King e le saghe horror più popolari del tempo - manca quel vibrante essere nostalgico che aveva reso inimitabile la prima stagione, perso nell'ambizione di accrescere a dismisura un ordito oltre i confini tratteggiati, accontentandosi di riciclare situazioni e tematiche già abbondantemente esplorate nelle puntate precedenti, declinandole con fare semplicistico in un'altra area geografica.

Stranger Things 4 La quarta stagione di Stranger Things segna un distacco deciso dalle tre precedenti, sia in termini produttivi che di ambizione, proponendosi di esplorare le oscure origini del Sottosopra grazie ad un impianto scenico che nemmeno trova termini di paragone in altre produzioni seriali, tanto è elevata la caratura della sua computer grafica. Se la messa in scena si rivela capace di compiere svariati passi avanti rispetto al passato (comunque ottimo) della serie, lo stesso non si può dire della profondità del racconto, con una sceneggiatura che non sembra in grado di tenere le redini di diverse linee narrative separate dalla distanza, dai temi e dall'età dei suoi protagonisti. Il gonfiare a dismisura la tradizione fittizia che permea il Sottosopra rischia di esplodere nell'inconcludenza di aggiunte continue e sempre più grandi, ma per il momento l'ordito tiene botta e regala agli spettatori la migliore stagione di Stranger Things, inferiore soltanto alla storica prima, sempre più lontana nel suo guscio di originalità, franchezza e nostalgia.

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