La Tamburina Recensione: spionaggio e recitazione secondo Park Chan-wook

La tamburina, dal romanzo di John le Carré, è la serie di Park Chan-wook tra spionaggio, terrorismo e messinscene con Florence Pugh e Alexander Skarsgård.

La Tamburina Recensione: spionaggio e recitazione secondo Park Chan-wook
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Park Chan-wook arriva alla televisione e lo fa prendendo La Tamburina, un romanzo del 1983 di John le Carré da cui era stato già tratto un film uscito nell'anno successivo e diretto da George Roy Hill - lo stesso di Butch Cassidy e La stangata. La protagonista in quel caso era interpretata da Diane Keaton, nelle vesti di un'attrice nel più grande ruolo della sua vita, recitato senza poter essere applaudita nemmeno da un solo spettatore. A sostituirla nella versione seriale dell'opera dello scrittore britannico è Florence Pugh, che abbiamo già incontrato nella nostra recensione di Black Widow.

Un'attricetta, quella sua Charlie, nell'operazione che la vuole pedina nelle sorti di un conflitto assai più grande della sua esistenza come quello tra l'Europa e il Medio Oriente. Ragazza sotto copertura, decisa a fare della propria vita una finzione, confinandola per sempre in un territorio dove anche i rapporti vanno a coincidere tra bugie e verità.

Una protagonista che viene affiancata in questa missione segreta da uno dei massimi esponenti dell'antiterrorismo israeliano interpretato da Michael Shannon e destinata a un'infatuazione apparentemente ricambiata dall'agente Gadi Becker, l'algido e inflessibile Alexander Skarsgard. Una storia, quella de La tamburina, che schiera politicamente due forze in campo come quella dei palestinesi contro le vittime, in questo caso, israeliane. L'ambito dello spionaggio incontra quello della recitazione, per venire entrambi sostenuti dalla tensione che è in grado di creare un autore come Park Chan-wook all'interno delle sue narrazioni e, per questo, anche nei personaggi da lui manovrati. Un ottimo modo per congedarci dalle uscite Sky e NOW di settembre.

Tutti i colori dello spionaggio

Una serie i cui punti luce sono proprio i suoi attori e i colori che vanno così a contraddistinguerli. Elementi che non si sottraggono all'occhio dello spettatore, come non devono farlo di fronte allo sguardo vigile e attento dell'avversario, il quale deve credere di star osservando una realtà che, invece, è solamente simulata.

Messinscena che è dunque quella impostata dal regista e a propria volta dai suoi risoluti personaggi, scatole cinesi che si aprono e chiudono continuamente per svelare solo parzialmente i loro intenti, fino ai disvelamenti finali verso cui ci conducono le sei puntate. Tinte che si fanno perciò cassa di risonanza dell'importanza fondamentale che hanno i protagonisti all'interno del quadro spionistico de La Tamburina, la giacca verde del Gadi di Skarsgard e i vestiti sgargianti di Pugh che si fanno rivelatori dell'influenza che i due avranno nella serie e nelle sorti di tutti coloro che gli vorticano attorno. Ma ad eccellere ancora di più è la scelta di prendere tre interpreti che sanno finemente attaccarsi alla personalità del ruolo che viene loro affidato, cucendo chirurgicamente sulle proprie abilità di attori i desideri e le nevrosi dei personaggi e calandosi completamente nelle loro vite.

Tre attori, tre personalità, tre personaggi

Se a noi Florence Pugh sembra ad oggi una delle giovani dive più promettenti del panorama internazionale, nel 2018 l'attrice era ancora agli inizi di questa carriera che le avrebbe riservato il plauso e l'ammirazione del pubblico. Un'interprete al principio del suo percorso, che come la sua Charlie cercava di dimostrare il fuoco che le ardeva nel profondo, destinato a incendiare un palcoscenico più grande di quello che aveva immaginato. Attrice incandescente a cui viene affidato come comprimario il suo esatto opposto, anche lui quadrato e impeccabile nel ruolo rigido, ma dagli occhi malinconici della spia Gadi.

Un Alexander Skarsgard dal corpo in grado di sopportare qualsiasi cicatrice non scomponendosi nemmeno un secondo, distante pur nel suo bisogno di quiete, letale perché il suo mestiere - d'attore nella vita, di spia nella serie - lo richiede. E, a muovere i fili di un teatrino dove ci sono in ballo solamente i disegni politici e culturali di un intero mondo, è un Michael Shannon che nella parte di Martin Kurtz va a rappresentare perfettamente la testa a capo di una manovra di spionaggio in cui l'attore si nasconde dietro al sipario degli eventi pur giostrandone qualsiasi svolta. L'abilità di un interprete che è sempre stata quella di non passare mai inosservato, ma facendo arrivare il suo talento attraverso un insinuarsi ipnotizzante e sibillino. L'uomo che osserva e agisce da dietro le quinte, anche questa volta desideroso di dare allo spettatore la sua stoccata finale ricordandogli con quale sopraffino dono recitativo è stato graziato.

La Tamburina racchiude in maniera lodevole le dinamiche classiche dei racconti di le Carré mescolate alla fermezza della regia del cineasta Park Chan-wook. Una raffinatezza che appartiene alle due identità, quella letteraria e quella visiva, che si incrociano così attentamente anche nella fattura della serie. Un thriller che vuole costantemente nascondersi, ma che regista e personaggi vanno lentamente a scardinare, per mostrarne tutti i suoi segreti e trucchi ad un febbricitante pubblico.

La tamburina La Tamburina mescola la fermezza registica di Park Chan-wook alle dinamiche spionistiche dei romanzi di John la Carré. Il perno della sua storia sono in assoluto i tre protagonisti principali interpretati da Florence Pugh, Alexander Skarsgård e Michael Shannon, che si calano completamente nelle personalità dei loro personaggi. Una messinscena che gioca tra spionaggio e recitazione, che si muove tra l'intrigo in atto e coloro che agiscono dietro le quinte. Una raffinatezza tinteggiata dai colori accesi degli abiti dei protagonisti, che non ce li fanno mai perdere d'occhio, anche quando la storia va sprofondando nel buio più totale.

7.5