Ted Lasso 3 Recensione: un finale troppo ambizioso su Apple TV+?

Ted Lasso si conferma sotto molti aspetti una serie a dir poco monumentale, ma l'eccessiva ambizione ha provocato qualche problema di troppo.

Ted Lasso 3 Recensione: un finale troppo ambizioso su Apple TV+?
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La verità un po' triste e paradossale è che ci aspettavamo molto di più. Un'affermazione che può appunto sembrare assurda e in aperta contraddizione con un voto finale comunque estremamente positivo, eppure chi ci segue da tempo sa bene cosa pensiamo di Ted Lasso. Basta leggere la nostra recensione di Ted Lasso 2 o un piccolo estratto delle nostre aspettative sulle serie più attese del 2023 per rendersi conto che, almeno secondo noi, ad un certo punto è avvenuto un calo quasi drastico - in realtà percepito pure da molte altre realtà del settore. Ma non lasciamoci troppo trascinare da un pessimismo di stampo leopardiano o da fin troppo facili velleità di flame fini a sé stesse: la produzione Apple rimane un piccolo gioiello, una straordinaria prova di forza di come le comedy potranno evolversi nei prossimi anni ed in generale un telefilm che fa stare bene lo spettatore, forse il vero marchio di fabbrica di Bill Lawrence fin dai tempi di Scrubs.

Però Ted Lasso, con una stagione che a detta degli stessi Jason Sudeikis e Brett Goldstein rappresenta la chiusura ideale di un cerchio a prescindere da quello che sarà il futuro, era un potenziale 10 in pagella qualora si fosse riconfermata sugli stessi livelli o anche qualcosina di poco inferiore alla scorsa annata - in tal caso avremmo premiato l'intero percorso dello show, visto che nel genere esiste un prima e un dopo Ted Lasso. Semplicemente non è andata così e, nonostante l'assoluta genialità di alcune trovate e uno spirito comico che al momento non ha eguali, l'eccessiva ambizione ha portato troppi inconvenienti impossibili da ignorare.

Una galassia di storie

Facciamo celermente un passo indietro: Ted Lasso narra le vicende dell'omonimo protagonista (Jason Sudeikis), un coach di football americano che viene improvvisamente assunto da un club del massimo campionato di calcio inglese, il fittizio AFC Richmond; incarico che lui finisce per accettare pur non capendo nulla di questo sport e che gli è stato offerto per ragioni tutt'altro che oneste, per così dire. Il nostro buon Ted salpa allora verso l'Inghilterra con al fianco l'immancabile coach Beard (Brendan Hunt) senza sapere precisamente cosa lo attenderà

E la terza stagione inizia durante la preparazione del nuovo campionato, che vede il Richmond finalmente tornato nella Premier League dopo un anno di purgatorio, anche se nessuno - giocatori compresi - sembra credere nelle potenzialità della squadra, data come certa retrocessa. Ora, ne abbiamo discusso spesso, ma vale la pena ripetere che il calcio in Ted Lasso non è altro che una metafora, un escamotage narrativo o persino una scusa per in fondo concentrarsi sulle odissee personali e lavorative dei protagonisti, sfruttando l'alto numero di personaggi per dare il vita ad un vero e proprio mosaico strepitoso di tematiche e umorismi. Un'eccezionale varietà, accompagnata da un'altrettanto sontuosa profondità, di esperienze che anche stavolta non è venuta meno, anzi, sfiora delle vette di acume raramente riscontrabili in produzioni simili o persino nella totalità del mercato attuale. D'altronde bisogna essere dotati di un occhio deliziosamente penetrante per creare storyline come quella di Sam (Toheeb Jimoh), diviso in maniera dolorosa e complessa tra l'orgoglio di essere nigeriano e il razzismo che volente o nolente si fa spesso strada in ambiti competitivi, o di Colin (Billy Harris), che va a toccare delle corde quanto mai attuali con la questione dell'omosessualità negli sport di squadra.

E sono esempi che si potrebbero moltiplicare vorticosamente: un Roy (Brett Goldstein) che corona un percorso incentrato su cosa significhi vivere dopo il ritiro, la completa maturazione di Jamie (Phil Dunster), ormai uomo squadra più che individualista ossessionato dall'immagine di sé, la guarigione esplicita di Rebecca (Hannah Waddingham) dalla gabbia in cui Rupert (Anthony Head) l'aveva rinchiusa con un ulteriore comprensione del suo ruolo da proprietaria di un club - e dei sogni dei suoi tifosi. Sono sottotrame che hanno del miracoloso e definiscono con una precisione totalizzante cosa significhi l'etichetta dramedy tanto in voga negli ultimi anni, associata con fin troppa leggerezza a prodotti predominantemente drammatici aventi poco o nulla di comico.

Ted Lasso invece si ricorda sempre della sua anima comedy, che avvolge al pari di una coperta calda e confortevole questa galassia sconfinata di storie drammatiche i cui apici si possono fregiare di un realismo talmente commovente da rimanere impressi a lungo. Non ci sono voli pindarici, non c'è una banalità o un intento forzatamente moralizzante nelle soluzioni, a volte non ci sono neanche delle risoluzioni definitive perché la vita può anche essere così e va accettata volente o nolente, non si può costantemente intervenire per venirne a capo. E a proposito del versante comico, la terza stagione di Ted Lasso assume le forme clamorose di un compendio globale del genere, dalla forza tanto dirompente da mettere in imbarazzo i diretti rivali.

Intuizioni geniali e superficialità fuori luogo

Ecco, per sfruttare un paragone videoludico, Ted Lasso compie un'operazione alla Super Mario Odyssey: grazie alla mirabolante varietà dei suoi personaggi riesce a mettere in campo una storia enciclopedica della risata, che affonda le sue radici in praticamente qualunque tipologia dallo slapstick al dark humour, dalla comicità situazionale ai giochi di parole più stucchevoli, dal surreale improvviso al grottesco più sfumato e cinico.

Dunque niente di nuovo all'orizzonte? Per certi versi sì, ma proprio come la più recente avventura in 3D del celebre idraulico baffuto, è la freschezza e la genuinità del miscuglio dei vari elementi a fare la differenza e a dargli una carica innovativa, piuttosto che la presunta novità assoluta dei singoli componenti. Ted Lasso quindi si trasforma in una sorpresa continua, un parco giochi infinito per gli amanti delle comedy che verranno a ripetizione sommersi da gag senza soluzione di continuità, non potendo mai presagire quale sfumatura verrà dopo. Se poi leghiamo a doppio filo un risultato già così sbalorditivo al fatto che le nuove puntate adottano spesso e volentieri un minutaggio superiore rispetto alle scorse stagioni, la creatura di Lawrence, Sudeikis e Hunt assume caratteri disumani, poiché sarebbe stato impensabile per chiunque proporre un umorismo di qualità sublime e capace di coprire miracolosamente questo elevato tempo su schermo. Fin qui, insomma, Ted Lasso ha tutti i crismi di una serie da 10, all'appello non manca nulla e gli obiettivi raggiunti sono da inserire immediatamente in un ipotetico manuale di storia del medium. Purtroppo, però, più passavano le settimane, più le puntate uscivano e più qualcosa si è andato via via irrimediabilmente spezzando.

Un calo qualitativo che, almeno secondo noi, è da imputare a due fattori che a volte si sfiorano soltanto ed altre sono in diretta relazione: in primis la volontà di incastrare in 12 episodi quanti più eventi fondamentali possibile, probabilmente dovuta al fatto di voler davvero realizzare una stagione conclusiva sotto ogni aspetto. E, lo abbiamo già detto, il più delle volte le storyline sono di una brillantezza insuperabile, qualcosa che paradossalmente fa risaltare ancora di più le storture e le imperfezioni. Se c'è un leitmotiv negativo nella terza stagione di Ted Lasso, è da ricercare certamente nel fastidioso abbandono repentino di alcune idee, che appaiono e vengono congedate in maniere fulminee al punto da non consegnare nulla all'insieme e al campionato del Richmond.

Viene comprato un nuovo giocatore che è palesemente una fantastica parodia di Ibrahimovic? Un paio di puntate dopo svanisce senza lasciare traccia, senza aver dato nulla allo show, che ritorna con una facilità e una nonchalance estrema sui binari precedenti. Keeley (Juno Temple) inciampa in un interesse che le fa scoprire inediti e inaspettati lati di sé? Stesso modus operandi, passano un paio di episodi e finisce tutto come se non fosse mai avvenuto e non viene più menzionato. Singolarmente sono intuizioni ottime, peccato che la loro realizzazione trasudi mediocrità da tutti i pori e non lasci mai un segno duraturo. La sensazione sgradevole che ne fuoriesce è un mero quanto tormentato tentativo di coprire minutaggio e questa osservazione ci porta direttamente al secondo fattore.

Un Icaro moderno

Sì, la già menzionata durata estesa degli episodi, che molte volte sfiora e supera neanche di così poco l'ora. È lapalissiano che Ted Lasso sia una serie particolarmente complessa e stratificata rispetto ad altre dramedy, ma rimane nel suo cuore pulsante una comedy.

E non è difficile notare che le puntate di questo genere non dovrebbero assumere quasi la lunghezza di un lungometraggio; si corre il rischio di allungare inutilmente il brodo e perdere di vista le varie storyline, oltre che a diluire i percorsi dei vari protagonisti. Esattamente ciò che è successo qui: l'eccessivo minutaggio ha annichilito la forza di determinate sottotrame, a partire ad esempio da Nate (Nick Mohammed), che da potenziale pseudo-villain alla Marvel - per come era stato trattato il cliffhanger nella scorsa stagione, quasi ad imitare una post-credit - o comunque una figura piena di risentimento nei confronti di Ted e del Richmond, si è rivelato subito una macchietta. Non proseguire almeno per un po' su una sua discesa nei sentimenti negativi rimane una scelta stilistica degli sceneggiatori, intendiamoci, anche se non ci ha convinto fin dalla premiere.

Però pensare, con un minutaggio del genere, di poter costruire un viaggio di redenzione di Nate in sostanza infinito è una scommessa fallita su tutti i fronti, dal secondo episodio in poi è già lampante cosa gli accadrà, e viene trascinato per tutta la stagione. Una storyline spenta e priva di qualunque pathos, come Keeley che decide di mettersi in proprio, densa di avvenimenti vuoti e ripetitivi - e che di nuovo, arrivano sulle scene e spariscono subito dopo. Sembrano sciocchezze, ma in realtà sono due degli archi narrativi principali della stagione e risultano piatti, indefiniti, tristemente generici.

La terza e forse ultima incursione nelle nostre vite di Ted Lasso è questa; prosegue tra intuizioni che fanno esclamare al capolavoro e cult istantaneo e idee non messe a fuoco o abbandonate con troppa facilità. C'è addirittura un riferimento alla cosiddetta Superlega, uno dei dibattiti più accesi e violenti che stanno animando la storia recente del calcio, e ovviamente viene archiviato dopo una singola riunione e mai più nominata, quando invece poteva rappresentare un perno monumentale della stagione.

Se sia stata una smodata ambizione, una smania esuberante di voler impacchettare quanta più sostanza possibile, degli errori di calcolo strutturali e di ritmo che sono stati presi un po' sottogamba, non lo possiamo dire ad oggi con certezza. Resta il fatto che per metà o qualcosina di più, Ted Lasso è lo splendore che abbiamo atteso per quasi due anni, mentre per il resto è un caos disordinato e confuso che sperpera una vena ricchissima di potenziale.

Ted Lasso Chiariamo subito una cosa: la terza stagione di Ted Lasso rimane assolutamente ottima; è la conclusione soddisfacente ed emozionante di un cerchio ideale e rimane una produzione di pregio all'interno del catalogo di Apple TV+ e nell'attuale mercato in generale. E ci riesce con le sue solite armi, usando il calcio come una scusante per raccontare un mosaico strepitoso di vicende emotivamente devastanti, caratterizzate da un'acume e da una varietà semplicemente senza rivali. Se poi ci aggiungiamo un compendio quasi enciclopedico della comicità che intrattiene e fa ridere dal primo all'ultimo minuto, mettendo spesso e volentieri in imbarazzo le comedy e dramedy "rivali", Ted Lasso sembra la perfetta serie da 10 in pagella. Purtroppo non è andata così, perché ad un certo punto è come se l'equilibrio si rompesse: troppe novità vengono introdotte e abbandonate dopo un paio di episodi senza che riescano a lasciare la loro impronta sullo show (in sostanza presenti o meno non sarebbe cambiato nulla), troppe storyline principali che alla lunga perdono mordente e si abbandonano ad una genericità che stona con l'attenzione maniacale dedicata al resto, troppe puntate che vanno addirittura oltre l'ora di minutaggio, per una produzione che non ha saputo gestire la montagna di sostanza che voleva inserire.

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