Hill House: la recensione della serie horror di Netflix

Mike Flanagan si conferma uno dei talenti contemporanei dell'horror, confezionando una serie solida e sinceramente spaventosa.

Hill House: la recensione della serie horror di Netflix
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È del 1959 una delle più eleganti e influenti narrazioni della letteratura horror del '900, non solo paragonata alle più importanti storie di fantasmi, prime tra tutte Giro di vite di Henry James, ma anche e soprattutto fonte di ispirazione imprescindibile, punto fermo di tutta una scuola successiva con a capo il Re del terrore, Stephen King. "L'incubo di Hill House" di Shirley Jackson proponeva, con uno stile gotico mai banale ed estremamente sottile, la storia di una casa infestata, divenuta luogo di interesse per fanatici e studiosi intenti a scovarne il mistero celato. Era una storia di possessioni, paura e umanità, fatta di tensioni crescenti, introspezione e allusioni, fino a un finale aperto memorabile. Un'opera talmente importante che negli anni ha ispirato diverse trasposizioni cinematografiche dalle alterne fortune, fino a ispirare anche Netflix per la sua prima serie originale di taglio horror, diretta da Mike Flanagan (già regista dell'ottimo Il gioco di Gerald). Da questa combinazione nasce Hill House, disponibile sulla piattaforma streaming dal 12 ottobre.

La casa infestata

Flanagan, diversamente da quanto operato per la trasposizione cinematografica del testo di King, decide di non riportare pedissequamente su schermo il lavoro della Jackson, ma anzi sconvolge totalmente la trama mantenendo solamente la base della casa infestata e omaggiando il romanzo riprendendone i nomi di alcuni dei personaggi. Questa volta infatti a Hill House approda la famiglia Crain per ristrutturarla e rivenderla nel corso di una calda estate di fine anni '80.

Hugh (Henry Thomas) e Olivia (Carla Gugino) sono imprenditori/architetti che vanno girano per gli Stati Uniti scovando vecchie case da rivalorizzare portandosi dietro i propri figli, Steve, Shirl, Theo, Luke e Nell. Hill House non è però una casa come le altre, tant'è che i vecchi custodi si rifiutano di rimanerci dopo il tramonto, e ben presto soprattutto i bambini inizieranno ad assistere a strani fenomeni e visioni. La permanenza della famiglia non sarà però duratura, perché si vedrà costretta a fuggire lasciandosi alle spalle mostri, momenti di terrore e una tragedia che sconvolgerà le loro vite per sempre.

Gli intrecci di Hill House

La narrazione messa in piedi da Flanagan si districa tra quella terribile estate e il momento presente, quando ormai ciascun componente della famiglia ha imboccato la propria strada. Steve (Michiel Huisman) è adesso uno scrittore di successo grazie al romanzo tratto dai fatti dell'estate a Hill House; Shirley (Elizabeth Reaser) lavora in un obitorio con suo marito; Theodora (Kate Siegel) è una psicologa infantile, germofobica e con presunti poteri ESP; Luke (Oliver Jackson-Cohen) è un tossicodipendente e la sua gemella Nell (Victoria Pedretti), la più piccola, ancora soffre degli incubi della casa. Vite ormai indipendenti e isolate vengono sconvolte e riunite da una rinnovata tragedia che vede la morte di uno dei cinque fratelli. Questo drammatico evento risveglia i vecchi spettri della casa, portando i fratelli a indagare nel proprio passato e a fare i conti con la propria oscurità. Similmente al romanzo della Jackson, la serie ricorre a un tipo di terrore elegante, mai urlato, che si insinua nello spettatore e nella storia gradualmente, arrivando a prendere il sopravvento anche grazie ad un sapiente uso dei piani temporali, mescolati da Flanagan in maniera articolata ma mai caotica. Il regista infatti costruisce una narrazione intrecciata che parallelamente ci mostra le conseguenze e le cause, svela i suoi trucchi, ci mostra il terrore passato e agisce coerentemente nel presente. Una struttura chiara e funzionale, che nei primi episodi si prende tutto il tempo per presentare i propri protagonisti, per poi travolgerci e portarci dritti verso lo scioglimento, più netto dell'allusivo e fumoso romanzo, ma altrettanto potente e poetico.

Il terrore dell'umanità

È un horror atipico di questi tempi, il cui terrore sta più nella costruzione della tensione, nell'atmosfera generale, che in veri e propri momenti di spavento. Non vuole fare paura a tutti i costi, anzi, sembrerebbe quasi che non voglia fare affatto paura, che il suo scopo non sia spaventare, ma raccontare, raccontare di una famiglia, dei suoi drammi, delle relazioni, delle personalità. È il racconto di un'umanità dilaniata, sconfitta e superficialmente ricostruita, di un'umanità nascosta dietro una felicità di facciata, pronta a crollare alla più piccola scossa. L'horror è quindi più un contenitore, ottimamente costruito e molto funzionale, per un altro discorso.

E in questo senso si leggono più chiaramente alcuni momenti, si giustificano degli episodi un po' troppo lunghi e diluiti, che però servono alla costruzione di questa atmosfera e di questi personaggi; si apprezzano ancora di più le scelte di regia, i movimenti di camera, la qualità della messa in scena; si valorizzano le buonissime prove di un cast semisconosciuto ma pienamente in parte; ci si abbandona a questa lingua orrorifica sussurrata, ma non per questo in fin dei conti meno spaventosa. Perché no, Hill House non è quel tipo di horror tutto urla, violenza e jumpscare, non fa saltare dalla sedia o tremare irrazionalmente e improvvisamente. È un racconto di dolore, di consapevolezza, di accettazione, sentimenti che alla fine di tutto fanno molta più paura di un fantasma che ci fissa ghignante.

The Haunting of Hill House - Stagione 1 Sulla base di un capolavoro della letteratura horror, Mike Flanagan mette in scena un prodotto raffinato, emozionale e ben raccontato. Una storia di fantasmi mai sopra le righe, per una costruzione del terrore graduale, ed al fine spaventosa.

8.5