The Umbrella Academy 3 Recensione: la stagione delle rivelazioni

Torna con una nuova e paradossale apocalisse la serie supereroistica più amata e disfunzionale di Netflix, convincendo nel bene e nel male.

The Umbrella Academy 3 Recensione: la stagione delle rivelazioni
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Non c'è due senza tre. Dopo aver archiviato un paio di apocalissi innescate dall'incontrollabile Vanya tra i nostri giorni e il 1963 (recuperate la nostra recensione di The Umbrella Academy 2), la famiglia Hargreeves è riuscita a tornare nei tempi moderni per distruggerli nuovamente. Quanto accaduto negli sweet sixties a Dallas ha infatti destabilizzato la realtà, modificando la storia. L'Umbrella Academy non esiste più e anzi non è mai esistita: al suo posto la più "commerciale" e sprezzante Sparrow Academy, sempre composta da 7 membri e fondata dall'eccentrico miliardario e avventuriero Reginald Hargreeves. Il prologo mette velocemente in chiaro quanto accaduto e la terza e trascinante stagione di The Umbrella Academy prende il via con fare movimentato sulle note di Footloose (che scena!), presentandoci i sette passerotti di Reggie e le loro strambe peculiarità.

The Umbrella Academy creata da Steve Blackman e basata sui fumetti di Gerard Way e Gabriel Bà torna su Netflix in grande spolvero per una nuova e paradossale fine del mondo. Tante le novità che lo show è pronto a introdurre al suo fedele pubblico e tanta la cura e la fedeltà con cui ha scelto di farlo, mantenendo prima di tutto vivo e unico il cuore stesso della serie: i suoi magnifici e disfunzionali protagonisti. Restano dunque intatte le indiscutibile e apprezzate virtù del prodotto, che però non riesce al contempo a sopperire alla diverse mancanze che continua a trascinarsi dietro da anni. Un equilibrio solido e corroborante che tiene in piedi l'intera costruzione dell'opera, oggi più intima e rivelativa di ieri, dove confronti e risoluzioni sono all'ordine del giorno e non c'è momento in cui l'illogicità non sia di casa.

Quattordici

New entry di questo terzo arco narrativo sono i supereroi della Sparrow Academy, che portano così il numero di "speciali" in circolazione a 14. Mentre nei fumetti questi personaggi sono appena stati introdotti da Way, la serie arriva a svilupparli prima e a superare così il lavoro dell'autore - che resta produttore esecutivo dello show.

A parte Ben, che pur essendo la copia esatta della controparte umbrellesca del personaggio è caratterialmente agli antipodi (un numero 2 arrivista, saccente e scontroso), gli altri sei membri della Sparrow sono dei graditi outsider, alcuni più tenebrosi di altri. In ordine sono Marcus, Fei, Alphonso, Sloane, Jayme e Christopher. C'è chi è forte, chi ha poteri telecinetici, chi comanda dei corvi, chi sputa allucinazioni e chi è solo uno strambo cubo nero parlante. Le loro abilità sono uniche esattamente quelle dei loro rivali, ma è il legame familiare a differire soprattutto rispetto a quello dell'Umbrella.
In questo senso, la terza stagione si trasforma in uno scontro tra la famiglia migliore, tra chi è meritevole di restare nell'universo mentre tutto intorno comincia ad accadere qualcosa di strano e forse irreversibile. In tutto ciò i nuovi interpreti hanno un carisma decisamente ridotto rispetto ai nostri affezionati, pure se in alcuni casi la bilancia relazionale messa in piedi dall'intreccio e la profusa alchimia di scena creano un clima disteso e curioso che non tarda a colpire lo spettatore. Ma è pur vero che il loro screen time è pensato in modo funzionale al corrispettivo apporto narrativo, in alcuni casi inesistente e in altri più occasionale che necessario (con menzione a parte per uno di loro).

Pur convincendo ed essendo una goduriosa novità, i membri della Sparrow Academy non sono del tutto essenziali, pure se la loro essenza è tutto nell'ottica delle diverse dinamiche familiari. Passeri e ombrelli si muovono così su di un'immaginaria scacchiera secondo mosse che spesso non sanno controllare, alla mercè della peggiore minaccia mai affrontata prima.

Spaventa addirittura Numero 5 (un sempre fenomenale Aidan Gallagher) e costringe il benamato Klaus (Robert Sheehan è davvero nato per questo ruolo) a una faccia a faccia con se stesso a lungo ritardato, mentre Luther e Diego sono catturati da altro. Tra di loro a subire un radicale cambio di passo è sicuramente Allison, motivo che rende la sua storyline la meno forte - dire debole sarebbe spropositato - e muta non poco l'ottica del suo personaggio, arrivando a dividere.

Welcome the Hotel Obsidian

The Umbrella Academy resta un'opera mainstream con una forte anima indipendente, ammantata di fascino e mistero, esasperata negli ambienti e nelle forme, nel vestiario e nella trama. Non c'è niente che sia "normale" nella serie Netflix, che è anzi adesso più che in passato un glorioso manifesto alla diversità e all'inclusione, non fredda e meccanica ma calorosa e voluta, quasi fosse bisogno d'espressione.

È casa e nutrimento per chi vuole essere libero e se stesso, come dimostra anche la splendida gestione del percorso di transizione di Elliot Page e l'inserimento del suo Viktor all'interno della narrazione, senza scardinare nulla ma lavorando con l'anima stessa del personaggio, la sua psicologia, i suoi trascorsi. È per questo che Umbrella Academy rappresenta una loggia accogliente per chi si sente rifiutato o confuso, disperso o distante dal mondo, esattamente come l'Hotel Obsidian accoglie i suoi rifugiati senza fare domande, sospeso nel tempo quasi fosse una strana e immobile entità.
L'Hotel è cardinale per l'economia del racconto ma anche spazio "teatrale" dove far sbocciare ancora di più questi magnifici personaggi e i loro rapporti - conflittuali o meno -. La serie recupera in effetti questa dimensione più raccolta salvo le dovute e ovviamente presenti escursioni all'esterno delle mura della Sparrow Academy e dell'Hotel, ma di fondo è come ci fosse un continuo rimpallo tra questi due luoghi. Il secondo è poi una costante sorpresa e scenograficamente impressionante per la cura dei dettagli e la volontà di renderlo vivo e vibrante di personalità, quanto mai necessaria data la centralità dell'edificio.

La serie di Blackman è insomma un conferma, sia nei vizi che nei pregi. Il passo è quello di un progetto che ha ormai una sua specifica e collaudata dimensione, talmente sicuro di sé in chiave inventiva e nella scrittura relazionale tra i personaggi da apparire persino vanitoso, specie quando sfrutta l'impianto teatrale di cui sopra per sopperire a delle sostanziose mancanze di budget, necessario e ancora non pervenuto come dovrebbe per dare reale risalto a effettistica, regia e contenuti.

Si nutre voracemente di certa inadeguatezza ormai ingiustificabile dopo tre stagioni per poi rigettarla in modo scomposto nonostante un successo lungo sei anni, ma allo stesso tempo riesce a convincere senza riserve per la sua direzione creativa, per le idee messe in campo, per un immaginario ciclico-apocalittico che cambia costantemente pelle e struttura pur restando lo stesso. Umbrella Academy è l'esatta definizione di sicurezza seriale al netto di consapevoli lacune che mai verranno sanate. È un po' Klaus, un po' Numero 5 e anche un po' Diego. È diversa e fuori dall'ordinario e si accetta così com'è, lucente ma imperfetta come la grezza ossidiana nei cui neri e avvolgenti riflessi è possibile ammirare persino l'oblio.

The Umbrella Academy - Stagione 3 The Umbrella Academy 3 è una conferma della bontà della serie Netflix nel bene e nel male. Lo show di Steve Blackman è oggi più di ieri grande e importante manifesto alla diversità e all'inclusione, dove i suoi diretti e magnifici e disfunzionali protagonisti rappresentano da soli l'eterogenea bellezza che rendo ognuno di loro unico e speciale, dall'estroverso Klaus al piccolo-grande Numero 5. Si aggiungono anche i membri della Sparrow Academy, curiosi e intriganti outsider rivali, mentre l'intreccio è questa volta più solido e ben articolato al netto di un'insieme di assurdità ordite dallo showrunner (e dall'apporto di Gerard Way) per generare un po' di sano e divertente caos. La centralità narrativa dell'Hotel Obisidian e i suoi interni - quando spaziosi e quando labirintici - sono anche essenziali per sopperire a un'ormai ingiustificabile mancanza di budget che non aiuta a far livellare regia ed effettistica del prodotto, che comunque si assestano sul discreto. Il cuore restano i suoi protagonisti, i loro dialoghi, i rapporti. In questo senso la scrittura è sempre e comunque centrata e a tratti brillante, così come per le rispettive caratterizzazioni e interpretazioni. Un progetto in grado di restare fedele a se stesso e reinventarsi di continuo. Ovviamente imperdibile.

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