The Walking Dead 11x22 Recensione: il riscatto di Negan?

Basterà la “fiducia” che dà il titolo all'episodio a creare un'empatia che col tempo è andata frantumandosi? Probabilmente no.

The Walking Dead 11x22 Recensione: il riscatto di Negan?
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Gli ultimi episodi di The Walking Dead ci stanno scivolando tra le dita così come i giorni che ci avvicinano sempre più al series finale. E come stiamo ormai constatando da settimane, la sensazione non è catartica come ci saremmo aspettati, anzi. Nelle ultime puntate abbiamo avuto anzi la percezione opposta, ovvero di trovarci prossimi ad un season finale dei più classici, con tanto di nuovi elementi di world building aggiunti all'ultimo (il più importante e sconvolgente è senza dubbio la variante zombie per ora scomparsa dai radar). Tutto questo ci fa senz'altro pensare anche alla natura stessa del coinvolgimento emotivo che lo show nato dalle pagine di Robert Kirkman cerca ormai di raggranellare qua e là, con scarsi risultati. "Faith", l'episodio di questa settimana, ne è forse l'esempio lampante.

Questione di fiducia

In un mondo oscuro e allo sfascio, i nostri protagonisti hanno sempre cercato di remare contro. E lo ha fatto a suo modo anche uno degli antagonisti più odiati dell'universo di TWD. Quel Negan che ha tolto la vita a Glenn e ad Abraham a colpi di mazza da baseball (una delle morti più sconvolgenti di The Walking Dead). Ma ora Lucille è distrutta, il vecchio Negan se n'è andato, lasciando il posto ad una forse altrettanto odiata versione apologetica di sé che, non trovando sostegno nei suoi vecchi nemici che pur ha contribuito a salvare, si è rifatto una vita, una moglie, e sta per diventare padre. Se la cosa non è andata giù agli spettatori, peggio è evoluta per coloro che hanno ragioni ben più concrete per vederlo morto e non sono disposti a superare il passato. Maggie, in primis, ed ora Ezekiel, che si ritrova prigioniero del Commonwealth proprio insieme a Negan. Forse, però, c'è ancora qualcosa che l'ex leader dei Salvatori può fare per migliorare la situazione e dare una possibilità a sua moglie e a tutti gli altri.

Nel frattempo, nel non troppo adorato Commonwealth si sta svolgendo il processo farsa ai danni di Eugene. La Corte è nelle mani di Pamela Milton, questo è fuori discussione, nonostante l'arringa di Yumiko metta in evidenza elementi non certo brillanti della gestione della governatrice e riesca ad ottenere il favore del popolo presente in aula. Ciò che manca è una presa di posizione di Mercer, che con i suoi militi in armatura di lucasiana ispirazione potrebbe sia ostacolare definitivamente il tentativo ultimo di Yumiko, Eugene e Max, sia decretare la fine del Commonwealth per come lo conosciamo.

In ultima istanza, troviamo Daryl e compagni che, dopo l'assalto al treno della scorsa settimana (la nostra recensione di The Walking Dead 11X21 vi chiarirà le idee), hanno scoperto che il luogo di reclusione dei loro amici, il famoso Outpost 22, è nientemeno che Alexandria, la casa per la quale tanto hanno combattuto nel corso delle ultime stagioni.

Questione di empatia

Siamo tornati ad Alexandria e stiamo sicuramente per dare il via alla rivolta che rovescerà il Commonwealth di Pamela Milton anche grazie all'aiuto di Mercer, e permetterà ai nostri di continuare a sopravvivere nel mondo post-apocalittico liberi dalle minacce dei viventi, almeno per un po' - i non morti "senzienti" sono un altro discorso che sfugge ancora varie ed eventuali contestualizzazioni. Le congiunzioni astrali elaborate nella writing room gestita da Angela Kang dovrebbero muoversi proprio in questo senso perché, al costo di essere pedanti, siamo davvero agli sgoccioli e per nulla pronti ad un series finale.

Il fatto è che negli anni, con l'aggiunta sempre più bulimica di trame, sottotrame e personaggi, The Walking Dead non è riuscito a gestire con oculatezza tutto il materiale narrativo che si è trovato tra le mani. Questo ha comportato il totale abbandono di alcuni archi di sviluppo abbozzati e mai veramente espansi, ma ha anche ridotto l'impatto dei nostri protagonisti e l'empatia con il pubblico. Senza elencare tutti i difetti a livello di drammaturgia che si sono rivelati perfettamente anticlimatici rispetto alla fase in cui ci troviamo - per questo ci sono tutte le scorse recensioni - basterà riflettere per un secondo sulla posta in gioco che questo series finale mette sul piatto per ridurre ulteriormente le aspettative di coinvolgimento dello spettatore.

Prendiamo Negan. Approfondiremo in un'altra sede la sua evoluzione (o involuzione a detta di molti) che non mi trova molto d'accordo sul parere generalmente negativo che riguarda le scelte di Kang e soci per il suo ruolo. In questo episodio ci troviamo al cospetto di un momento topico per il personaggio di Jeffrey Dean Morgan, eppure la gestione dello script, delle tre linee narrative della puntata, non danno la giusta gravitas alla scelta finale dell'uomo e a ciò che ne consegue, smorzando in maniera non indifferente l'evoluzione del rapporto stesso con Ezekiel e gli altri.

Dall'altra parte sperimentiamo la stessa sensazione seguendo l'irruzione di Daryl e soci. Un'enfasi che punta più al risultato che alle dinamiche che portano ad esso, soprattutto ora che il tempo stringe. Ed è anche per questo che non riusciamo a percepire il pathos della fine, ad abbracciare l'inevitabile conclusione di uno show che seguiamo da undici stagioni e che ci lascia quasi indifferenti in vista del series finale. E se tanto mi dà tanto, non sarà l'ultima volta che proveremo questa sensazione prima dell'epilogo.

The Walking Dead Stagione 11 Lasciando perdere il fatto che strutturalmente quest’ultima stagione di The Walking Dead non ci sta conducendo verso un finale desiderato e soddisfacente, analizziamo per un attimo il fatto che “Faith” rappresenta un momento di svolta su tutti i fronti, dal Commonwealth ad Alexandria; da Negan a Mercer. Ciò che manca è la complicità con lo spettatore, l’empatia che ci fa temere e gioire con i nostri protagonisti. Qui, sappiamo che per molti la strada è già segnata, tra spin-off e progetti paralleli; quindi, un po’ di quel brivido si perde. Per di più a livello drammaturgico non avvertiamo la gravitas del momento nello srotolarsi degli eventi, con gli sceneggiatori che paiono avere più fretta di arrivare al punto che interessarsi di come - o, peggio ancora, se - gli spettatori li seguiranno.