"Se Daryl muore, noi ci ribelliamo." Questo motto dei fan di The Walking Dead ci fa capire fino a che punto Daryl Dixon, personaggio creato appositamente per l'adattamento televisivo e non preso dai fumetti di Robert Kirkman e Charlie Adlard, sia entrato nel cuore del pubblico, rendendolo uno dei tre protagonisti della serie - gli altri due sono Rick e Carl Grimes - che sono ufficiosamente off-limits quando è necessario uccidere qualcuno per motivi drammaturgici. Uno status quo che rende molto intrigante l'idea di un episodio come The Cell, dove l'amato arciere è vittima di varie umiliazioni per mano di Negan, un personaggio che incarna contemporaneamente il meglio e il peggio dello show. E The Cell, per quanto soddisfacente come unità drammatica in sé, è sintomatico del problema principale di The Walking Dead.
Tragedia infinita
In quanto "zombie movie che non finisce mai" (queste le parole di Kirkman), The Walking Dead è destinato a ripetersi costantemente, seguendo uno schema ciclico legato alla minaccia di turno, l'illusione di una situazione migliore dopo aver sconfitto l'antagonista, l'arrivo di un nuovo grande villain, e così via. Le limitazioni del genere - che non prevede, nella maggior parte dei casi, un ritorno alla normalità pre-zombie - rendono particolarmente importante il dover trovare uno stratagemma per uscire dalla ripetitività che caratterizza ogni prodotto seriale ma può essere gestito più o meno efficacemente. L'ingresso di Negan, cattivone imprevedibile e spietato, doveva essere la risposta giusta, e la premiere di questa stagione ha giustamente sconvolto il pubblico fedele grazie alla brutalità del personaggio. Adesso però, vedendolo interagire sia con Daryl , imprigionato e umiliato, che con lo scagnozzo Dwight, di cui scopriamo il passato prima che diventasse la carogna che è oggi, risulta chiaro che tale imprevedibilità sarà presente solo a sprazzi, e che l'arco narrativo legato al Santuario non sarà tanto diverso da Woodbury, Terminus o Alexandria: le condizioni di vita dei protagonisti sono attualmente precarie, ma prima o poi qualcuno - forse lo stesso Daryl - eliminerà Negan e tutto tornerà come prima, in attesa del prossimo problema. Uno schema che di per sé funziona, come dimostra il successo continuo della serie, ma che sta iniziando a mostrare segni di stanchezza. Certo, The Cell come episodio intimo ma tragico funziona, grazie alle interazioni fra Norman Reedus e Jeffrey Dean Morgan, ma diventa sempre più difficile distaccarsi da una minima preoccupazione per ciò che accadrà complessivamente a livello strutturale, a meno che non si sia disposti ad accantonare ragionamenti più profondi ed esperire The Walking Dead come una semplice serie splatter a base di morti viventi, cosa che il programma non è. O almeno, non dovrebbe essere.
The Walking Dead 7x03: Negan vs. Daryl
Si torna alla storyline principale legata all'antagonista, mantenendo però la componente più intima dell'episodio precedente.
"Se Daryl muore, noi ci ribelliamo." Questo motto dei fan di The Walking Dead ci fa capire fino a che punto Daryl Dixon, personaggio creato appositamente per l'adattamento televisivo e non preso dai fumetti di Robert Kirkman e Charlie Adlard, sia entrato nel cuore del pubblico, rendendolo uno dei tre protagonisti della serie - gli altri due sono Rick e Carl Grimes - che sono ufficiosamente off-limits quando è necessario uccidere qualcuno per motivi drammaturgici. Uno status quo che rende molto intrigante l'idea di un episodio come The Cell, dove l'amato arciere è vittima di varie umiliazioni per mano di Negan, un personaggio che incarna contemporaneamente il meglio e il peggio dello show. E The Cell, per quanto soddisfacente come unità drammatica in sé, è sintomatico del problema principale di The Walking Dead.
Tragedia infinita
In quanto "zombie movie che non finisce mai" (queste le parole di Kirkman), The Walking Dead è destinato a ripetersi costantemente, seguendo uno schema ciclico legato alla minaccia di turno, l'illusione di una situazione migliore dopo aver sconfitto l'antagonista, l'arrivo di un nuovo grande villain, e così via. Le limitazioni del genere - che non prevede, nella maggior parte dei casi, un ritorno alla normalità pre-zombie - rendono particolarmente importante il dover trovare uno stratagemma per uscire dalla ripetitività che caratterizza ogni prodotto seriale ma può essere gestito più o meno efficacemente. L'ingresso di Negan, cattivone imprevedibile e spietato, doveva essere la risposta giusta, e la premiere di questa stagione ha giustamente sconvolto il pubblico fedele grazie alla brutalità del personaggio. Adesso però, vedendolo interagire sia con Daryl , imprigionato e umiliato, che con lo scagnozzo Dwight, di cui scopriamo il passato prima che diventasse la carogna che è oggi, risulta chiaro che tale imprevedibilità sarà presente solo a sprazzi, e che l'arco narrativo legato al Santuario non sarà tanto diverso da Woodbury, Terminus o Alexandria: le condizioni di vita dei protagonisti sono attualmente precarie, ma prima o poi qualcuno - forse lo stesso Daryl - eliminerà Negan e tutto tornerà come prima, in attesa del prossimo problema. Uno schema che di per sé funziona, come dimostra il successo continuo della serie, ma che sta iniziando a mostrare segni di stanchezza. Certo, The Cell come episodio intimo ma tragico funziona, grazie alle interazioni fra Norman Reedus e Jeffrey Dean Morgan, ma diventa sempre più difficile distaccarsi da una minima preoccupazione per ciò che accadrà complessivamente a livello strutturale, a meno che non si sia disposti ad accantonare ragionamenti più profondi ed esperire The Walking Dead come una semplice serie splatter a base di morti viventi, cosa che il programma non è. O almeno, non dovrebbe essere.
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