La prima stagione di Titans è stata un esordio tutto sommato positivo per il servizio di streaming DC Universe, e un buon successo per Netflix che l'ha distribuita nel nostro paese. Malgrado qualche episodio meno riuscito e qualche incertezza, i creatori Akiva Goldsman, Geoff Johns e Greg Berlanti sono riusciti nell'intento di rinnovare l'ìmmagine di un team di supereroi ormai noto soprattutto per la serie di animazione Teen Titans, riuscendo a dar vita ad una versione più adulta e dark, che non ha lesinato su drammi e sangue versato.
Dal fumetto alla serie
La serie originale creata da Bob Haney e Bruno Premiani negli anni 60 si prefiggeva di riunire in un supergruppo tutte le spalle dei principali eroi della DC Comics, perché i giovani lettori dell'epoca si potessero identificare e vivere con loro storie più semplici, leggere, a volte anche educative.

Le avventure di Robin, Aqualad, Wonder Girl e Kid Flash, poi affiancati anche dalla spalla di Freccia verde Speedy, hanno riscosso un buon successo per alcuni anni, per poi cominciare ad affrontare temi più adulti e di stretta attualità come il razzismo e la guerra del Vietnam. Nel 1976 la serie chiuse senza troppi rimpianti, per essere poi ripresa e rivoluzionata nel 1980 da Marv Wolfman e George Perez (creatori anche del mega-crossover Crisi sulle terre infinite da cui prende spunto l'omonima storia dell'Arrowverse), che affiancarono a Robin nuovi personaggi come Raven, Starfire e Garfield Logan e cominciarono ad analizzare il rapporto degli eroi con i loro genitori e i loro mentori, l'emancipazione e la crescita personale.
Padri e figli
Temi, questi, già in parte affrontati nella prima stagione. Il "f**k Batman" del trailer era piuttosto esplicito in tal senso. Ma è con questa seconda parte che le cose si fanno più serie. Il conflitto dei protagonisti divisi tra il loro dovere e gli istinti personali fa da filo conduttore in gran parte del racconto. I due Robin e Batman (Iain Glen), Starfire e il suo ruolo a corte nel pianeta Tamaran, Raven e l'eredità del padre/demone Trigon, e così via. Anche i nuovi personaggi non sfuggono a questa scelta narrativa: il soggetto 13 (Joshua Orpin) è alle prese con le sue origini, e Rose Wilson e Jericho (Chelsea Zhang e Chella Man) devono le loro vicissitudini all'ingombrante presenta del padre, acerrimo nemico dei Titans originali, ovvero il killer silenzioso e letale noto come Deathstroke.
È proprio la presenza di Deathstroke (intepretato dal bravo Esai Morales) a garantire aTitans il necessario cambio di passo e a far dimenticare un inizio un po' zoppicante. Il demone Trigon era un nemico pericoloso, ma evidentemente la sua psicologia e i suoi poteri non erano funzionali alla storia da narrare. Così il primo episodio (l'unico co-scritto da Geoff Johns, autore di tutti i migliori spunti nella prima stagone) lo toglie di mezzo in maniera un po' frettolosa, dando a Dick Grayson l'illusione di potersi prendere un po' di pausa per crescere come persona e far maturare i giovani componenti del gruppo. Ovviamente non potrà essere così, e coadiuvato da un altro supercriminale - Dr. Light (Michael Mosley) - il temibile Deathstroke arriverà a rompere le uova nel paniere.
Ritmi cadenzati
La seconda stagione di Titans è un crescendo che beneficia molto del binge-watching su Netflix. Mentre in originale la serie è andata in onda un episodio a settimana, la possibilità di guardarne più consecutivamente ci ha consentito di passare sopra ad alcuni difetti della produzione, evidenti in particolar modo nelle prime puntate, penalizzate da una sceneggiatura pigra e da effetti speciali non sempre all'altezza.Quando, dopo il terzo episodio, l'ambientazione diventa prevalentemente urbana, cominciano a venire fuori i punti di forza della serie. Brenton Thwaites si prende con decisione il ruolo da protagonista e dimostra di essere entrato con più convinzione nei panni di Dick Grayson, la regia si fa più attenta e il montaggio più serrato. Da sottolineare la messa in scena dei combattimenti, mostrati con chiarezza e coreografati in maniera da risultare coinvolgenti senza ricorrere a trucchetti narrativi come l'insistenza sui primissimi piani o una onnipresente shaky-camera. Una cura del dettaglio che riporta alla mente la prima stagione di Daredevil. La fotografia più oscura è poi utile sia ad affascinare lo spettatore, trasmettendogli un senso di pericolo imminente e nascondendo alcuni dei difetti tecnici sopra riportati, anche se alcune scene (come l'improbabile resa grafica del potere di Dr. Light) continuano a far storcere il naso.
È poi la strategia di Deathstroke, che ama pianificare attentamente ogni propria mossa e si prende tutto il tempo necessario per mettere in atto la sua vendetta, a dare il ritmo all'intera serie. L'ex Delta Force fa valere la propria esperienza e la conoscenza del gruppo e appare una minaccia più tangibile e personale di quelle viste finora. La narrazione è più cadenzata, meno intervallata da momenti più leggeri e fuori contesto, e la serie sembra sapere in ogni momento dove vuole andare a parare.

Apprezzata eredità della prima stagione è invece l'attenzione per alcuni personaggi secondari, spesso protagonisti esclusivi di alcuni episodi come il sesto e l'ottavo, fondamentali per definire l'ambientazione e renderla più completa e reale. Se la giovanissima Raven (Teagan Croft) e Gar (Ryan Potter) fanno un passo indietro uscendo almeno in parte dalla luce dei riflettori, Wonder Girl (Conor Leslie) riesce a arricchire il suo background con illuminanti flashback, Starfire (l'ottima Anna Diop) continua ad essere uno dei personaggi più intriganti anche senza apparire sullo schermo per interi episodi e soprattutto il secondo Robin, Jason Todd (Curran Walters), fa un deciso salto di qualità, non solo per una presenza scenica sempre convincente, ma anche riuscendo a uscire dal ruolo di macchietta che in parte sembrava ingabbiarlo.