Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey Recensione: una miniserie imperfetta

Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey è una miniserie imperfetta ma dal cuore a tratti indimenticabile, incarnato da un Samuel L. Jackson straordinario.

Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey Recensione: una miniserie imperfetta
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Ci sono determinate serie o anche film che riescono ad andare oltre gli evidenti problemi che li affliggono. E sì, si può senza patemi osservare simili eventualità e pensarle in modo banale come sprechi di potenziale, che su un livello esclusivamente cinico non è falso: se il loro concept, il loro messaggio o qualsivoglia elemento supera i difetti infestanti l'insieme, allora è un po' un peccato che quella forza di fondo non sia stata sfruttata al massimo. D'altro canto, a volte determinate potenzialità emergono paradossalmente proprio in un contesto mediocre e sarebbero annegate in un mare di confezionamento perfetto in caso contrario.

Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey, una delle numerose proposte della variegata offerta di Apple degli ultimi mesi (non perdetevi le uscite Apple TV+ di giugno 2022), è forse una perfetta testimonianza di un caso così paradossale, poiché ha chiari problematiche strutturali, produttive e di scrittura; eppure andando a guardare soltanto il cuore pulsante della miniserie si ha un'odissea personale talmente genuina e sentita che è impossibile non restarne almeno in parte ammaliati. E sottolineiamo in parte, perché forse la verità come spesso capita sta nel mezzo: Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey è di sicuro una serie intrigante e capace di appassionare nonché soprattutto emozionare, ma è anche un prodotto segnato da numerose cicatrici.

Tante cose da fare, ma poca memoria

Come già detto nelle nostre prime impressioni su Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey, le vicende si incentrano sull'omonimo protagonista (interpretato da un monumentale Samuel L. Jackson), un anziano di 91 anni affetto da una forma avanzata di demenza senile: è tormentato da visioni e reminiscenze di un passato ormai confuso, fa fatica a capire dove si trovi, a ricordare che giorno o anno sia, fino al punto che persino espletare le più basilari funzioni corporali diventa un compito disagevole. D'altronde come potrebbe essere altrimenti se non si sa dov'è il bagno o il prezioso cibo in scatola? Nella vita di Tolomeo allora riveste un ruolo a dir poco fondamentale il nipote Reggie (Omar Benson Miller), l'unico nell'enorme famiglia a provare un sincero affetto per lui, la sola persona che non lo vede come un assegno del governo vivente.

La situazione cambia drasticamente quando Reggie scompare in circostanze sospette e a Tolomeo viene offerto un trattamento sperimentale per recuperare la sua memoria, seppur per poco tempo. Si ha la tentazione di distinguere la serie in due tronconi nettamente separati e distinti, ovvero prima e dopo il recupero della mente da parte di Tolomeo, in quanto la sensazione è di ammirare parti comunicanti molto differenti - e non solo a livello tematico o di ritmo. La prima è una - eccessivamente, a nostro parere - lunga quasi disamina delle condizioni di vita di Tolomeo, dei fantasmi che vede di continuo, dei rimorsi che perseguitano la sua esistenza e, sopra ogni altro elemento, l'autentico bene incondizionato che prima Reggie e poi Robyn (Dominique Fishback, anche lei strepitosa) hanno riversato su di lui.

Incondizionato perché in fondo nessuno dei due ha la certezza che Tolomeo li stia davvero ascoltando o addirittura che si ricorderà di loro tra 10 minuti. Apprezzerà mai l'aiuto che sta ricevendo? Riuscirà anche solo a rendersi conto de gli sforzi di Robyn nel ripulire la sua casa? Probabilmente no o solo per pochi istanti, ma non frena i due dal soccorrerlo in ogni modo possibile, per la tenerezza istantanea che l'anziano suscita. Non è altro che un uomo buono e da un passato ricco di storie e aneddoti interessanti, una persona che dopo aver dato tanto ha bisogno di una mano. Questa è l'anima delle prime due puntate, che muta radicalmente dal capitolo successivo per entrare in un mix vorticoso di situazioni e generi, da un piccolo investigativo ad un altrettanto ridotto thriller per mettere insieme i pezzi di un puzzle riguardante il misterioso Coydog (Damon Gupton) e un fantomatico tesoro.

E già in sede di anteprima intravedevamo il pericolo di un tale cambiamento, che Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey perdesse la sua natura intimista per concentrarsi su argomenti più ritmati e accattivanti. Siamo lieti di constatare come ciò non sia avvenuto, anzi, la ritrovata lucidità da parte di Tolomeo non fa altro che aumentare a dismisura la dinamina fondante della serie: è da questo momento in poi che nascono i migliori momenti, un numero impressionante di profonde conversazioni tra Tolomeo e Robyn sulla vita, sulla morte, sull'essere giovani, sulla paura di tornare in balia della demenza. Sono scene meravigliose ed incredibilmente delicate, massime espressioni di quel bene incondizionato che sembra essere alla base del racconto.

Un pedaggio importante

Sono dei lati positivi che, però, sono stati ottenuti ad un prezzo elevato. Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey ha, infatti, almeno due grandi limiti, a partire da quelli tecnici. Già sul piano estetico la serie Apple si attesta su livelli generici senza guizzi, nonostante un'ambientazione potenzialmente eccezionale come Atlanta o la possibilità di inquadrare tramite infiniti modi diversi i vari flashback, per dare un tocco unico e realmente distintivo all'insieme. Invece è stato fatto il minimo sindacale, a tratti di una superficialità insopportabile e con alcuni set che rasentano quasi il ridicolo per povertà e mancanza - se non totale assenza - di cura dei dettagli.

L'altro elefante nella stanza è che Tolomeo Grey è palesemente un film, non una serie: per quanto alla fine siano i rapporti del protagonista con gli altri a scandire per davvero i ritmi, non si può negare che singolarmente gli episodi aggiungano pochissimo alla trama. Sono allungati, certe conversazioni sugli stessi argomenti si ripetono un po' troppe volte, vi è un quantitativo non indifferente di scene di transizione messe solo per raggiungere il minutaggio desiderato; chiariamoci, non rompono un giocattolino comunque di valore, non intaccano alla base un prodotto che è interessato a fare ben altro, ma è manifesto che con meno puntate o, appunto, una durata da lungometraggio la forza comunicativa della vita di Tolomeo avrebbe avuto un impatto ancora più travolgente.

The Last Days of Ptolemy Grey È chiaro a chiunque l'abbia vista che Gli Ultimi Giorni di Tolomeo Grey sia una miniserie dalle problematiche importanti: l'estetica che avrebbe potuto dare un'ulteriore spinta all'insieme si attesta su una dolorosa mediocrità e alcuni set lasciano parecchio a desiderare anche per quanto riguarda la cura dei - pochi - dettagli; a volte la sceneggiatura, sebbene interessata a fare ben altro, prosegue con un'esagerata leggerezza su tematiche non proprio semplici; i tempi e i ritmi sono palesemente quelli di un film allungato e non di una miniserie, con il risultato di avere in pratica ogni episodio "annacquato", ben più lungo di quel che dovrebbe essere. E sono tutte problematiche che provano a distruggere la serie dall'interno, ma non ci riescono perché il suo cuore pulsante è presente ed è semplicemente maestoso. Il ritratto della vita di Tolomeo, l'amore incondizionato che Reggie e Robyn gli riversano addosso, i sensazionali dialoghi sulla vita, sulla morte, sulla gioventù, sulla paura di tornare vittima della demenza; questi sono gli argomenti che la serie voleva mettere al centro e ci riesce alla perfezione, in un'odissea personale travolgente e drammatica.

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