Tredici: recensione della seconda stagione

La storia di Hannah Baker non si è ancora conclusa: in questi tredici nuovi episodi la serie Netflix torna ad affrontare temi importanti e attuali.

Tredici: recensione della seconda stagione
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Lo scorso anno ha fatto molto parlare di sé Tredici (titolo originale: Thirteen reasons why), serie originale Netlix tratta dal best seller di Jay Asher e incentrata sul suicidio della liceale Hannah Baker, che prima di uccidersi ha inciso su dei nastri i motivi per cui ha deciso di togliersi la vita, ognuno legato a un compagno di scuola. La serie affrontava in maniera diretta, cruda e senza abbellimenti temi attuali molto importanti per il pubblico di riferimento: bullismo, emarginazione, discriminazione, stupro e violenze sessuali. E se da un lato Tredici è stata lodata per il messaggio di fondo (fare attenzione al prossimo, perché ogni nostra azione ha delle conseguenze e anche un gesto apparentemente insignificante può colpire nel profondo), dall'altro è stata anche tacciata di glorificare il suicidio (la scena della morte di Hannah è stata molto criticata da psicologi ed esperti perché rischia di portare all'emulazione).
Critiche o meno, la serie ha riscontrato un enorme successo e Netflix l'ha rinnovata per una seconda stagione che va oltre gli eventi del romanzo, esauritisi con la prima carrellata di episodi: il suicidio di Hannah fa sempre da sfondo alla narrazione, che però stavolta assume toni diversi - quello del dramma legale - e ancora una volta affronta temi scottanti e molto attuali, dal victim blaming alla cultura dello stupro.
Attenzione: seguono spoiler della seconda stagione!

Niente più cassette, ma polaroid

Tredici riparte alcuni mesi dopo la fine della prima stagione: Clay (Dylan Minnette) è ancora ossessionato dalla morte di Hannah (Katherine Langford), mentre sta per iniziare il processo che vede la madre di lei (Kate Walsh) contro la scuola, a sua detta colpevole di aver ignorato il bullismo perpetrato nei confronti della figlia e le sue richieste di aiuto. Mentre Alex (Miles Heizer) affronta le conseguenze fisiche e psicologiche del suo tentato suicidio, Jessica (Alisha Boe) deve fare i conti con la violenza subita e con il fatto che Bryce Walker (Justin Prentice), il suo stupratore, continua a camminare liberamente per i corridoi della scuola. E proprio in questo frangente si insinuano delle misteriose polaroid (un espediente che crea un punto di collegamento con le cassette della prima stagione, motore esterno di tutta la vicenda) che vengono recapitate a Clay e che fanno capire senza ombra di dubbio che Hannah e Jessica non sono state le uniche vittime di Bryce. Da qui si snodano le vicende della stagione: da un lato il processo, che vede sul banco dei testimoni i protagonisti delle cassette di Hannah, dall'altro la ricerca di prove schiaccianti contro Bryce nella speranza di poterlo incriminare.

Ancora una volta temi attuali

Non erano in pochi a essere scettici di fronte alla prospettiva di una seconda stagione: gli eventi del romanzo si sono esauriti con la prima carrellata di episodi, e insistere sulla storia di Hannah sembrava un po' un tentativo di cavalcare l'onda del successo della serie, sacrificandone l'aspetto didascalico - perché è una serie che punta più alla riflessione che al mero intrattenimento - per puntare magari al dramma adolescenziale. Già dai primi episodi della seconda stagione però vediamo che l'intento istruttivo e di critica sociale è ancora lì, bene in vista, e anzi si arricchisce di nuovi elementi, approfondendo tematiche che nella prima stagione venivano trattate più superficialmente.

A questo proposito, la storyline meglio costruita e più d'impatto è certamente quella di Jessica, da un lato singola vittima che affronta le conseguenze della violenza subita, tra victim blaming e paura di sporgere denuncia, e dall'altro portavoce di tante donne vittime di violenza. Particolarmente emblematica in questo senso è la scena del processo contro Bryce, in cui la testimonianza di Jessica si mescola a quella degli altri personaggi femminili della serie (con un richiamo fortissimo al #MeToo e allo scandalo Weistein, considerando che l'episodio rievocato da uno dei personaggi ricorda proprio una delle tante testimonianze contro l'ex produttore cinematografico).
In effetti, in questa seconda stagione Tredici sembra voler ispirare una riflessione sull'attualità rifancendosi a veri casi di cronaca: l'avvocato che accomuna il trauma di Jessica al crimine di Bryce ("due vite sono state cambiate per sempre") e il giudice che alla fine lo condanna ad appena tre mesi di libertà vigilata ricordano il caso di Brock Turner, studente americano - bianco, ricco, promettente atleta - condannato a sei mesi di reclusione (e rilasciato dopo tre) per lo stupro di una ragazza.

Troppo crudo?

Accanto a Jessica trovano spazio anche altre storyline, dal percorso di redenzione di Justin (Brandon Flynn) alla sofferenza di Alex. E se ogni personaggio permette di toccare temi importanti - come la dipendenza da stupefacenti, argomento appena introdotto che verrà approfondito in una eventuale prossima stagione - è pur vero che anche a livello narrativo la scelta di utilizzare di nuovo i flashback funziona: ogni testimone al processo ha qualcosa da racconta che lo rende un personaggio più sfaccettato e reale, e anche il personaggio di Hannah si fa più concreto e meno idealizzato.
È qui però che subentra quella che è forse la maggiore problematica della stagione: la storyline di Tyler (Devin Druid), che da un lato vuole far riflettere sulle sparatorie a scuola e sulla violenza, dall'altro rischia però di creare empatia con il personaggio (per quanto comunque nel finale di stagione la strage venga scampata). E in questo senso la scena dello stupro di Tyler risulta superflua, forse persino spettacolarizzata, come se servisse solo a scioccare lo spettatore.

Il futuro di Tredici

Ancora una volta Tredici si chiude in maniera aperta, con elementi in sospeso che fanno pensare a una potenziale terza stagione. Questioni come la gravidanza di Chloe (Anne Winters) e la dipendenza di Justin creano però dei dubbi: portare avanti la serie non rischia di sminuirne il suo significato e la sua importanza, rischiando di scadere in banali tinte da teen drama?

A prescindere da un possibile sequel, questa seconda stagione nel complesso funziona (nonostante alcune scelte poco efficaci, come l'idea di Hannah fantasma della coscienza di Clay). Se alcuni flashback sembrano stonare con la Hannah che avevamo pensato di conoscere nella prima stagione, a livello narrativo comunque non rendono i primi episodi meno drammatici. Gli attori riescono in linea di massima a coinvolgere lo spettatore con le loro interpretazioni, con picchi di qualità e talento per quanto riguarda Dylan Minnette e Kate Walsh (e una menzione speciale per Derek Luke, che interpreta il consulente scolastico Kevin porter). Tredici resta comunque un prodotto con un pubblico di riferimento molto specifico - gli adolescenti e gli adulti che ruotano loro intorno, genitori e insegnanti - che espone senza filtri gli aspetti più difficili e drammatici, se non tragici, della vita liceale. E lo fa con schiettezza, senza abbellimenti - eppure il rischio di romanzare il tutto è dietro l'angolo, ed è un problema con cui la serie Netflix dovrà presto fare i conti.

Tredici - Stagione 2 La seconda stagione della serie originale Netflix va oltre gli eventi descritti nel romanzo di Jay Asher, portandoci dietro le aule di un tribunale e tornando a concentrarsi su temi difficili e molto attuali, come il victim blaming e il bullismo. Nonostante qualche scelta narrativa non del tutto soddisfacente, la stagione resta valida, riconfermando Tredici come un prodotto importante per il suo pubblico di riferimento.

7.5