Trollhunters: la recensione della terza e ultima stagione

La spettacolare serie fantasy creata da Guillermo del Toro si è conclusa, ma per i racconti di Arcadia è solo l'inizio.

Trollhunters: la recensione della terza e ultima stagione
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Il sodalizio creativo tra il regista Guillermo del Toro e la DreamWorks Animation è nato nel 2010, inizialmente con il contributo del cineasta messicano in quanto produttore e/o consulente (vedi alle voci Megamind, Kung Fu Panda 2, Il gatto con gli stivali, Le 5 leggende e Kung Fu Panda 3) e poi come vero e proprio autore, complice la partnership tra lo studio d'animazione e Netflix per la realizzazione di storie seriali. Così è nato Trollhunters, originariamente incluso in un pacchetto che prevedeva una collaborazione con la Disney e divenuto un autentico fenomeno all'interno della programmazione del servizio di streaming per un pubblico più giovane.
Un progetto ambizioso, concepito con largo anticipo (quando è venuto a mancare Anton Yelchin, voce del protagonista Jim Lake in inglese, le sessioni di doppiaggio erano già state completate per le prime due stagioni e parte della terza) e trasformatosi in un tassello di un puzzle più grande, come si evince dalla scritta completa che appare nei titoli di testa: Trollhunters: Tales of Arcadia. La battaglia fra gli umani e i troll è il primo macrocapitolo di una trilogia, composta anche dal fantascientifico 3 Below (di cui si vede un accenno nel terzo ciclo di Trollhunters, ma talmente sottile da risultare invisibile se non si segue la lavorazione del franchise) e dal fantastico Wizards, in vista di un vero e proprio crossover nei mesi/anni a venire. Ciò non detrae però dalla visione dello scontro finale tra Jim e Gunmar: il futuro è aperto, ma la storia iniziata alla fine del 2016 è arrivata al capolinea, con quel misto di pathos, azione e malinconia tipico dell'opera di del Toro.

L'ultima caccia

Mentre le altre serie animate della DreamWorks disponibili su Netflix sono state occasionalmente realizzate in modo graduale (basti pensare alla prima stagione de Le avventure del gatto con gli stivali, i cui quindici episodi furono messi a disposizione in tre blocchi separati), Trollhunters è sempre stato concepito come un prodotto unitario suddiviso in tre cicli narrativi ben definiti, con tempi di produzione piuttosto dilatati. Questo è evidente soprattutto per quanto concerne la componente grafica, curata ai massimi livelli e basata sulla fusione di due identità visive riconoscibili: lo stile DreamWorks è riscontrabile nella fisionomia dei personaggi umani, mentre il mondo, le creature e le battaglie sono l'evidente risposta animata a ciò che del Toro è abituato a mettere in scena in pellicole come Hellboy e Il labirinto del fauno (le sequenze ambientate a Troll Market sono praticamente lo spin-off di uno dei momenti più memorabili di Hellboy II).
Già in precedenza abbiamo detto che Trollhunters è forse l'espressione più pura dell'immaginario del cineasta, senza limitazioni dettate dal budget, e viene spontaneo pensare che non solo questa serie, ma tutta l'idea di Tales of Arcadia sia in parte un contenitore di tutte le idee che del Toro avrebbe voluto inserire nel fantomatico Hellboy III (e non a caso è stato affidato a Ron Perlman, il primo interprete del demone divenuto eroe, uno dei principali ruoli da antagonista in Trollhunters). E sulla base di questi primi 52 episodi, già piuttosto intensi e ricchi sul piano narrativo e iconografico, ciò che abbiamo visto finora era (letteralmente) solo l'inizio.

La trasformazione dell'eroe

Per esigenze di produzione, la terza stagione è dominata da un passaggio di consegne importante per quanto riguarda il cast, con Emile Hirsch che ha sostituito il compianto Anton Yelchin, sebbene la voce di quest'ultimo rimanga presente in tutti gli episodi, anche solo in minima parte (i titoli di coda dicono "Additional Voice Talent Provided by Anton Yelchin"). Ironia del fato, proprio questi tredici episodi avrebbero potuto giustificare, sul piano narrativo, una voce diversa per Jim, la cui evoluzione eroica rimane il perno emotivo di un racconto che pur essendo calibrato per spettatori dai sette anni in su ha un'anima genuinamente universale, capace di conquistare bambini e adulti in egual misura.

Per esplicita ammissione di del Toro, tutto il suo cinema, e ora anche il suo operato televisivo, nasce dall'intento di mettere in scena avventure pure, senza tocchi cinici, ironici o postmoderni, e Trollhunters ne è un esempio perfetto, con il suo stile volutamente classico, ancorato nella mitologia arturiana e applicato al mondo di oggi senza mai scivolare nella trappola dell'irriverenza che è uno dei marchi di fabbrica della DreamWorks e che in questo caso specifico avrebbe ostacolato la credibilità dell'universo di Arcadia.
Un ingrediente essenziale di tale credibilità era proprio il personaggio di Jim e, per chi segue la serie in lingua originale, la performance vocale di Yelchin. Non è un caso che, sulla falsariga del finale di Spartacus, l'ultima parola spetti a lui, per ricordarci il fascino immortale di queste storie incentrate su maghi, troll, (prossimamente) alieni e, soprattutto, esseri umani. Trollhunters è finito, ma i racconti di Arcadia continueranno. E se siamo arrivati fino a questo punto, il merito è anche di Yelchin, imprescindibile dedicatario finale della serie.

Trollhunters Trollhunters si conclude all'insegna dell'epica, dei miti, degli eroi e del confine molto sottile tra umano e mostro. Leggende del passato vengono rielaborate con un tocco in equilibrio fra classico e moderno, per restituirci un racconto fuori da ogni epoca, dotato di un fascino universale. L'avventura di Jim Lake è finita (per ora), ma i racconti ambientati ad Arcadia sono destinati a continuare, grazie alla fruttuosa partnership tra Netflix, DreamWorks Animation e Guillermo del Toro.

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