Tutta Colpa di Freud Recensione: la serie con Claudio Bisio è su Amazon

Tra rapporti moderni e difficoltà ad adattarsi a dinamiche che intorpidiscono la vita, Bisio guida il reboot seriale del film firmato da Genovese.

Tutta Colpa di Freud Recensione: la serie con Claudio Bisio è su Amazon
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Avevamo già affrontato con piacere l'anteprima di Tutta colpa di Freud. Dopo aver compreso che l'operazione, diretta da Rolando Ravello, nasceva con l'intenzione di andare a realizzare un reboot seriale del film del 2014 di Paolo Genovese, l'immersione in questa storia fatta di psicanalisi e modernità è stata piacevole ed ha stimolato la curiosità nei confronti di quello che avrebbe saputo offrire la seconda metà della serie.

Con leggerezza, ma non per questo senza toccare temi caldi e scottanti, Tutta colpa di Freud si è così ben inserita tra le proposte di Amazon Prime Video che, come successo già con altre serie italiane - come Made in Italy -, offrirà un'esclusiva temporale sulla serie. In autunno, infatti, ci sarà lo sbarco su Canale 5. È giunto così il momento di tirare le somme e capire cosa ci lascia davvero questa serie.

Stessa storia, diversi interpreti

Protagonista della serie, così come lo era stato nel film, è Francesco Tamarelli, psicanalista milanese che si è ritrovato a crescere completamente da solo le sue tre figlie, dopo esser stato lasciato dalla moglie. Nel film Tutta Colpa di Freud il protagonista era Marco Giallini, un uomo che doveva rapportarsi al mondo delle proprie figlie con un fare sì comprensivo, ma spesso malinconico con una verve tutta romana. Con Claudio Bisio la musica cambia leggermente: l'attore meneghino rivede le situazioni che gli si parano innanzi e prova a reinterpretarle con quella capacità di adattamento che abbiamo sempre avuto modo di apprezzare nella sua carriera. La capacità di essere padre e allo stesso tempo psicanalista è anche, però, motivo di alcuni contrasti interiori, che si dipanano nella seconda metà della stagione. Ogni paziente che viene seminato dalla sceneggiatura si rivela poi fondamentale per lo sviluppo della vicenda, andando a costruire degli intrighi che vedranno il sempre molto attento e rispettoso Tamarelli non infrangere mai il voto della sua professione.

Spaventato dal rischio di rimanere solo, e per questo morbosamente attaccato ancora alla moglie che lo ha lasciato, Tamarelli si ritroverà ben presto a condividere la propria casa, dapprima abitata dalla sola Emma, la più giovane delle tre figlie, anche con le altre due. Per una serie di vicissitudini che andranno a dettare quel ritmo mai svogliato e sempre molto dinamico delle vicende, le storie personali delle tre sorelle e del padre si intrecceranno, creando anche dei siparietti che alternano malinconia e ilarità, supportati dalla presenza di Max Tortora.

Una rimodulazione narrativa

Ravello, sempre su chiara spinta dell'autore del soggetto, Genovese, rimodula la forma proposta dal film del 2014 e inserisce all'interno del cast dei personaggi che diventano i mattatori di alcune vicende. È indubbio che se l'intera storia ruota attorno a quel fulcro rappresentato da Claudio Bisio, non si può non soffermarsi sul personaggio di Max Tortora, perfetto contraltare romano del milanese Tamarelli, in grado di fargli da angelo custode e saltuariamente anche da voce della coscienza, istigando l'austero e serioso medico verso una liberazione dei sensi e una maggior spontaneità. Quello che più funziona all'interno della serie girata da Ravello è la capacità di raccontare gli eventi precedenti alla narrazione senza mai intorpidire o smorzare il ritmo. Sì, perché la storia inizia in medias res, ci ritroviamo immediatamente nel pieno del racconto, quindi per poter conoscere il passato, per dare un'identità ben precisa al personaggio di Tortora, dobbiamo attendere i flashback saggiamente disseminati nel corso delle otto puntate. Flashback che impreziosiscono il sottotesto e aggiungono una venatura di malinconia e di completezza alla narrazione, ma gli intrecci sono costruiti talmente bene da non farci accusare l'assenza di una nozione pregressa.

Accanto agli interpreti già nominati, Ravello poi si affida anche a figure di alto rango come Claudia Pandolfi, qui nei panni di una psicanalista che deciderà di aiutare Bisio, nel rispetto del concetto che i giudici vanno giudicati, i custodi custoditi e, di conseguenza, come ricordava la satira di Giovenale, gli psicanalisti psicanalizzati. Con lei Stefania Rocca e, infine, Luca Bizzarri nei panni di un cinico e per niente affabile fondatore di una media agency che lavora prettamente con gli influencer.

In questo insieme di personaggi di prim'ordine, Ravello riesce a mantenere sempre quel ritmo adatto a raccontare una vicenda che in otto episodi non ha mai un momento di stanca e riesce ad intessere una ragnatela di eventi che condizionano anche i personaggi secondari. Questo perché l'interpretazione di Tortora non può fermarsi soltanto a quella di spalla di Bisio, ma deve avere un'identità sua, una storia sua. Discorso analogo per lo stesso Bizzarri che, pur presentandosi in un segmento narrativo che lo vede apparire solo al fianco di Emma, guadagna spazio e coerenza nell'incedere delle puntate.

Modernità senza presunzione

In Tutta colpa di Freud c'è tutto quello di cui abbiamo bisogno in una serie tv che punta a essere leggera, ma che non vuole dimenticarsi di toccare degli elementi moderni. Ne avevamo già parlato in sede di anteprima, ma è importante sottolineare come la scrittura degli autori Chiara Laudani e Carlo Mazzotta, con la collaborazione di Veronica Galli, si soffermi sull'amore omosessuale, sui rapporti tra una neo maggiorenne e un uomo che si avvia per i cinquanta, sui soprusi che si vivono sull'ambiente di lavoro e, spesso, sulle relazioni malsane. Non si ha paura di affrontare quegli argomenti che oramai non rappresentano più un tabù, pur ritrovandoci a volte in un'esasperazione di fondo di quel mondo degli influencer che viene ancora edulcorato e trattato con scarsa cognizione di causa.

Nel saper approcciare, però, l'amore e ciò che comporta, la serie riesce a schierare in campo tutte le sfumature possibili, mettendo al centro le tre figlie di Tamarelli, che riescono ad animare le vicende, trasformando Tutta colpa di Freud in una piacevole commedia al femminile, senza mai sfociare necessariamente nel genere romantico o sentimentale.

Quello che alla fine ci resta è un intrattenimento di poco più di sette ore più che piacevole, come già detto, in grado di intessere vicende gradevoli e leggiadre, con un colpo di scena finale leggermente telefonato e prevedibile, ma che non guasta, tantomeno nel momento in cui chiama a gran voce una seconda stagione che, siamo sicuri, nel momento in cui il palinsesto autunnale comunicherà l'esito dello share sulla tv pubblica, non tarderà ad essere annunciata.

Questo perché Ravello, in maniera furba, lascia molti casi irrisolti, semina nelle ultime due puntate dei plot twist che meriteranno di essere snocciolati e di essere al centro di quello che avverrà tra un anno, probabilmente. Resta importante, però, ricordare che Tutta colpa di Freud si propone con quella leggiadria che abbiamo già ripetute volte segnalato; non aspettatevi, quindi, una trattazione pedagogica dell'amore omosessuale o delle tematiche che verranno presentate. La serie va presa per quella che è: un racconto della sfumature della vita umana contestualizzate in una famiglia che deve ritrovarsi e gestire le situazioni domestiche.

Tutta Colpa di Freud - Stagione 1 Tutta colpa di Freud riprende quegli stilemi che già nel 2014 erano stati in grado di far risultare piacevole il film di Paolo Genovese. C'è la vivacità del cast, nonostante le difficoltà e le problematiche affrontate ogni giorno, c'è la leggerezza del racconto, che non sfocia mai in momenti cupi o in problematiche che spingono ad alzare la voce: persino un litigio tra Bisio e Tortora viene risolto in un attimo, con un "bacetto" e senza rancore. Le dinamiche create da Ravello e Genovese riescono a intrattenere riuscendo a rimodulare quanto era stato fatto sette anni fa, proponendoci, grazie a dei comprimari diversi, una versione differente della famiglia Tamarelli. Il cambio di format, da un lungometraggio di quasi due ore a una serie di otto episodi da 40 minuti l'uno, ha dato la possibilità agli autori di espandere e costruire in maniera solida anche la presenza dei comprimari stessi.

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