Vikings 6x03 Recensione: tra destino e misticismo

La terza puntata di Vikings conferma le buone impressioni della doppia premiere, riportanto in scena personaggi ed elementi fondamentali

Vikings 6x03 Recensione: tra destino e misticismo
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A volte la qualità di una serie può essere intravista specialmente tra le piccole cose. È quasi semplice parlare di quanto un determinato plot twist possa aver sconvolto il pubblico o di come in alcune fasi il ritmo sia piacevolmente serrato. Ma un telefilm non è fatto solo di colpi di scena o sequenze mozzafiato, è anche tutto ciò che accade in mezzo, tra le pause. E la terza puntata della sesta stagione di Vikings è la prova di questo concetto: senza stravolgimenti o ritmi indiavolati, l'episodio dimostra il buon stato di salute dei vichinghi più importanti del piccolo schermo. Anzi, riesce persino a placare delle perplessità sorte nei fan dopo la quinta stagione, in cui la serie sembrava incunearsi in un vortice di superficialità e incapacità di sorprendere.

Certo, viene a galla quello che probabilmente sarà il vero tallone d'Achille di questa midseason, ma il bilancio rimane positivo. È tempo, quindi, di dividerci di nuovo tra Kattegat e Kiev, così lontane e così unite tra di loro da un destino che appare sempre più comune. Dopo avervi raccontato i primi due episodi di Vikings 6, gettiamoci ora nella recensione della terza puntata.

Quel destino che ritorna sempre

A Kattegat, Bjorn (Alexander Ludwig) ha finalmente preso una decisione: il re andrà in aiuto di Harald (Peter Franzen), tenuto prigioniero e spogliato dei suoi averi da Olaf (Steven Berkoff). Nel frattempo verrà temporaneamente sostituito da Ubbe (Jordan Patrick Smith), che ha accettato di ritardare il suo viaggio in Islanda e di ridare slancio all'economia della città. Numerosi sono gli aspetti positivi da segnalare, a partire proprio dal ritorno in scena di Harald, personaggio sicuramente divisivo ma dal carisma innegabile, incapace di perdere il suo atteggiamento spigliato nonostante la prigionia. Ma il risvolto più importante è il ritorno di un certo alone di fascino che in Vikings mancava da troppo tempo, dovuto a quell'incapacità di sorprendere cui accennavamo.

L'incontro tra Olaf e Bjorn è rappresentato in una maniera estremamente evocativa e per certi versi delirante, mentre Ubbe nel riaprire le vie commerciali - e segnare le varie direzioni in cui si muoverà la sesta stagione - sembra anticipare la fortuna immensa della stirpe vichinga e normanna. Torna a far capolino l'idea di destino, incarnato dalla figura di Bjorn, che passo dopo passo si costringe suo malgrado a ripetere la parabola del padre. Insomma, c'è una forte componente di misticismo, elemento cardine fin dalla prima stagione ma che per lunghi tratti è stato dimenticato.

L'unico neo è lo sviluppo della vicenda di Lagertha (Katheryn Winnick), che avrà a che fare con i criminali che Bjorn ha esiliato durante la premiere. Non c'è molto da dire, purtroppo, poiché è un crogiolo di tematiche già viste e propositi che la fanciulla dello scudo ha realizzato tempo fa. Prevedibile e fiacca, la storyline che poteva chiudersi con un dolce ed emozionante commiato ad uno dei personaggi storici di Vikings si candida prepotentemente - e tristemente, aggiungiamo noi - per l'ambito premio di elemento riempitivo di questa midseason.

A Kiev, intanto, si respira un'aria profondamente diversa. L'amicizia perversa e macabra tra Ivar (Alex Hogh Andersen) e il principe Oleg (Danila Kozlovsky) si fa sempre più solida. Ecco, nella caratterizzazione del regnante-profeta russo la penna di Hirst raggiunge nuove vette: Oleg è un personaggio sorprendente e imprevedibile, una necessaria ventata d'aria fresca per la serie e il mix di crudeltà privo di logica che si instaura con Ivar è memorabile. Il destino truculento riservato al principe Dir (Lenn Kudrjawizki) ne è la prova, un contrappasso nato da una banale battuta dopo troppi bicchieri di vino. Vikings è in forma e non vediamo l'ora che ogni storyline spicchi completamente il volo.

Vikings - Stagione 6 Questa terza puntata, pur non accelerando particolarmente i ritmi della narrazione né stravolgendo le carte in tavola, conferma le buone impressioni intraviste nella doppia premiere: l'amicizia tra Oleg e Ivar è un notevole punto di forza e riporta in auge le qualità della penna di Hirst; un Bjorn sempre più dubbioso e insicuro sceglie di soccorrere Harald; Ubbe presagisce il futuro grandioso della stirpe vichinga e normanna. Tra momenti evocativi estremamente riusciti e un ritorno della componente più marcatamente mistica, la midseason inizia ad assumere una precisa fisionomia. L'unico neo è la piattezza della storyline di Lagertha, che da dolce commiato si sta trasformando in riciclo di tematiche già ampiamente sfruttate.