Vikings Valhalla 2 Recensione: troppi alti e bassi per la serie Netflix

La seconda stagione di Vikings Valhalla offre un bizzarro mix di alcuni dei migliori momenti della serie Netflix, ma anche dei peggiori.

Vikings Valhalla 2 Recensione: troppi alti e bassi per la serie Netflix
Articolo a cura di

All'inizio delle nostre prime impressioni su Vikings Valhalla 2 ci siamo posti una semplice domanda, ovvero se la creatura di Jeb Stuart potesse definirsi un'operazione compiuta. A seconda stagione conclusa, ci rendiamo conto di due modi per rispondere ad un tale quesito, diametralmente opposti: da un lato, infatti, vista anche la valutazione comunque sufficiente di questa recensione, non ce la sentiamo di definire Vikings Valhalla un fallimento, in quanto resta una produzione tutto sommato godibile; dall'altro non è possibile, almeno secondo il nostro punto di vista, considerarla una degna succeditrice di un colosso ingombrante come Vikings; Valhalla, nel confronto, non mette sul campo né personaggi né atmosfere alla pari della serie madre, sotto ogni aspetto. Manca in sostanza proprio l'ingegnosità e il carisma soprattutto delle gesta di Ragnar Lothbrok che avevano entusiasmato milioni di fan.

E allora come va collocato questo spin-off su Netflix (non dimenticatevi le serie Netflix di febbraio 2023)? Come un prodotto che troppo spesso si limita al compitino e poco più, offrendo spunti chiaramente intriganti alternati a storyline stantie o, forse ancora più grave, non aventi alcun ruolo all'interno della narrativa generale. Una serie che si lascia guardare ma che alla fine della visione non lascia un impatto duraturo, risultato lontano dalla voglia spasmodica di vedere il prosieguo cui bisognerebbe mirare.

Una biforcazione evidente

Ma riprendiamo le fila della narrazione, poiché dopo l'invasione di Kattegat da parte di Sweyn (Soren Pilmark) per i nostri due groenlandesi si aprono capitoli estremamente differenti: Leif (Sam Corlett) cerca inizialmente una diretta vendetta contro Olaf (Johannes Haukur Johannesson) per poi imbarcarsi in un'odissea infinita con Harald (Leo Suter); Freydis (Frida Gustavsson), invece, continua il suo percorso spirituale in qualità di ultima figlia di Uppsala, scalfendo solo ora la superficie di cosa rappresenti un simile onere all'interno di un mondo vichingo sempre più cristianizzato.

Sullo sfondo, infine, continuano ad imperversare le vicende politiche sul suolo inglese, dove la regina Emma (Laura Berlin) è impegnata a consolidare il proprio potere, nonostante non sia affatto benvoluta da una parte della popolazione. Ed è proprio da questa storyline che intendiamo cominciare la nostra analisi, un arco narrativo che rappresenta senz'ombra di dubbio il punto più basso toccato da Valhalla. Semplicemente manca qualunque elemento necessario a rendere coinvolgente una trama politica, perché in fondo lo spettatore ha poco se non nullo coinvolgimento emotivo in questi personaggi, non hanno alcun ruolo nelle vicende che la serie sembra voler raccontare e sono svolte con una superficialità insopportabile.

È evidente che siano una sottospecie di zavorra che ormai va portata avanti in qualche modo, obbligata ad essere presente in qualsivoglia forma, eppure ciò non basta a spiegare la monotonia e la totale mancanza di pathos che pervade un gioco di potere vuoto, prevedibile, che gira intorno sempre allo stesso problema evitando di risolverlo.

Fortunatamente, seppur tra numerosi alti e bassi, le vicende dei due protagonisti assumono ben altro spessore, mirando ad una profondità non banale. Freydis ne è probabilmente l'esempio cardine, inserita in una narrativa ricca di rimandi alla cultura norrena - in una serie stranamente povera su questo versante - e di un generale senso di misticismo che dona una volta per tutte un po' di sana atmosfera a Valhalla. Intendiamoci, è una storyline che non brilla affatto per originalità e, anzi, tenta spesso di riciclare temi classici di Vikings senza però riportarli con la dovuta attenzione e costruzione. Quando in Vikings si susseguivano valanghe di tradimenti in Inghilterra, ad esempio, che alla fine andavano a spazzare gli accampamenti vichinghi ottenuti con tanta fatica e una quantità invereconda di sangue versato, chi guardava era coinvolto emotivamente in questa distruzione perché aveva assistito agli sforzi immensi dei protagonisti.

A Jomsborg, quando si ripete lo stesso ed identico ciclo di fobia mescolato ad un senso quasi di nazionalismo imperante, quella magia non si può ripetere, è una terra in cui adesso abbiamo messo piede e non vi è alcun crescendo emotivo. Un difetto non superficiale tuttavia colmato da una discreta atmosfera, personaggi stimolanti e una degna sensazione di urgenza, di dramma imminente, di fine del mondo che non fa ragionare lucidamente le pedine in campo. Un netto presentimento di pericolo incombente distribuito tra l'altro saggiamente lungo le puntate, ognuna delle quali aggiunge un tassello e ha qualcosa da dire, non solo scarni momenti di passaggio.

Un viaggio vincente

Dove invece Valhalla dà il meglio di sé sovvertendo persino le nostre aspettative e predizioni è sulla storia di Leif, per il quale avevamo immaginato nel nostro primo sguardo alla seconda stagione una banale storyline di vendetta o poco più. E non potremmo essere più lieti di esserci sbagliati: d'altronde il groenlandese si immerge totalmente in una delle tematiche per noi più care delle avventure vichinghe, ovvero le esplorazioni. Non solo, il viaggio verso altri lidi di Leif e Harald è tratteggiato al pari di una vera e propria odissea come non si vedeva dai primissimi viaggi di Ragnar e Floki verso l'Inghilterra ed è una piccola meraviglia rivivere qualcosa del genere.

Un viaggio particolarmente ricco di pericoli, di problematiche logistiche, di colpi di scena continui e drammatici; un mix che funziona egregiamente e che rappresenta con facilità il picco creativo di queste due stagioni, sebbene non sia in toto scevro da qualche leggera forzatura - in particolar modo sulle relazioni interpersonali, un po' troppo casuali e poco coltivate. Potenzialmente è il nucleo con il futuro più roseo e la possibilità di offrire qualcosa di nuovo ai fan di lunga data, d'altronde osservare il popolo norreno in contesti lontani dalla sua comfort zone è da sempre una delle ispirazioni più ricche e coinvolgenti - e ci aspettiamo un'evoluzione simile anche dalla storyline di Freydis, ad essere onesti, è tempo di mettere in campo una sorta di crociata in nome dei vecchi Dei.

Sorge dunque una domanda: perché allora solo una sufficienza che può giustamente apparire anche alquanto risicata? Perché, non c'è motivo di girarci intorno, Vikings Valhalla è una serie tecnicamente mediocre, problematica che in un prodotto action non può passare inosservata. E non ci riferiamo al piano estetico, anche qui affascinante ed evocativo quanto basta, ma proprio a livello di regia ed effetti, entrambi dozzinali nella stragrande maggioranza dei casi.

Le sequenze d'azione non riescono mai a convincere del tutto, molto disgiunte e con repentini cambi di inquadratura che rendono di difficile lettura i combattimenti - fin troppo statici. Gli effetti, dal canto loro, sono un tallone d'Achille arduo da giustificare e le esplosioni della première sono un manifesto evidente di una mancanza di budget o di impegno. Con un nome del genere, un colosso come Netflix alle spalle e un buon riscontro di pubblico, Vikings Valhalla meriterebbe molto di più.

Vikings: Valhalla - Stagione 2 La seconda stagione di Vikings: Valhalla si rivela un mix quanto mai bizzarro, contenente i migliori e i peggiori momenti dell'intera serie. Le storyline principali dei groenlandesi Freydis e Leif si rivelano potenzialmente vincenti, in particolare l'odissea vissuta da quest'ultimo insieme ad Harald, che riporta in auge uno dei classici di Vikings, ovvero le esplorazioni. Ed è un tema che ancora funziona alla grande e ci ha sinceramente entusiasmato. Il resto purtroppo non si posiziona allo stesso livello: la vicenda di Freydis e si interessante e ricca di simbolismi, quindi tutto sommato funzionale, ma comunque attanagliata da una certa ripetizione superficiale; la trama politica in Inghilterra continua ad essere un enorme punto debole, vuota e priva di ogni pathos. Ma il vero aspetto che abbassa la nostra valutazione di Valhalla è la realizzazione tecnica a dir poco mediocre, che in una serie dalla forte impronta action è una problematica ingombrante. Speriamo che la terza stagione riceva più attenzione.

6