Watchmen Episodio 2 Recensione: nazismo americano

La serie HBO scritta da Damon Lindelof si addentra nel primo atto, tra flashback sul passato dei personaggi e nuovi misteriosi colpi di scena.

Watchmen Episodio 2 Recensione: nazismo americano
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Con un inizio quasi speculare rispetto all'episodio inaugurale, la seconda puntata di Watchmen intitolata Martial Feats of Comanche Horsemanship riparte da ieri: il passato, questa volta, è leggermente più vicino rispetto ai fatti di Tulsa 1921. E' tipico di Damon Lindelof iniziare una storia ambientandola in un contesto culturale, sociale e storico completamente differente rispetto a quello atteso dallo spettatore, e la sensazione di straniamento è triplicata dall'uso di un narratore alquanto inaspettato, un ufficiale d'alto grado dell'esercito tedesco: la sequenza fa riferimento direttamente a quella che apriva lo scorso episodio quando diventa chiaro che la lettera che la dattilografa è incaricata di scrivere è quella che veniva affidata al bambino-Mosé di It's Summer and We're Running Out of Ice (leggi qui la recensione di Watchmen 1x01).

Paradossale, inquietante e spietato il suo contenuto, nel quale un tedesco decaduto si fa beffe dello spirito razzista degli Stati Uniti, deridendo i soldati afroamericani e profetizzando per loro un destino peggiore di quello che avrebbero avuto sotto la guida del Terzo Reich, che sarebbe sorto qualche anno più avanti.
Il ritorno al presente con Angela e il misterioso vecchio innesca un nuovo percorso narrativo per la protagonista, introducendo la parentesi della cospirazione (fondamentale nel Watchmen di Moore) ed esplicitando la tematica delle origini, che i prologhi delle due puntate hanno introdotto.

"Non sono un nazista, sono un comunista"

Fra citazioni al New Frontiersman, storico giornale di destra creato da Moore & Gibbons nella loro maxi-serie del 1986, ed evidenti rimandi al giornalaio Bernard e al lettore di fumetti Bernie (creati nel fumetto ma apparsi anche nel Watchmen di Zack Snyder, per lo meno nelle versioni Director's Cut e Ultimate Cut), Martial Feats of Comanche Horsemanship si muove per calare ancora di più il pubblico nella quotidianità dei protagonisti, tra ricordi e approfondimenti psicologici.

L'iconica figura del Rorschach di Walter Kovacs viene associata maggiormente a quella del "detective mascherato" Looking Glass, che fra movenze, atteggiamenti e modi di fare incalzanti nella scena di confronto con Sister Night rimanda non poco ai comportamenti estremisti ed eternamente sospettosi del sociopatico ma commovente vigilante mascherato impersonato da Jackie Earle Haley nel lungometraggio del 2009.

Nella stessa sequenza Red Scare recita la battuta più divertente della puntata in una scena che, oltre a riallacciarsi direttamente al prologo della Germania post-nazismo, strizza anche l'occhio a Falena, membro originale dei Minutemen il cui costume munito di grosse ali ha evidentemente ispirato questi neo-paparazzi volanti (un'idea di sceneggiatura semplicemente geniale).

La sequenza termina anche col primo stacco di montaggio in asse dell'episodio, una tecnica che sarà utilizzata in maniera sopraffina per allacciare numerose scene (altra citazione al Watchmen fumetto, che faceva ampio uso dei jump-cut soprattutto, e non a caso, nel secondo capitolo): il primo di questi fa sfumare l'abbraccio fra Sister Night e il cadavere appeso all'albero del capitano Crawford nel lento col quale Angela e suo marito Cal (Yahya Abdul-Mateen II) stanno attendendo la mezzanotte per festeggiare il Natale di qualche anno fa.

E' la sera dell'assalto congiunto alle forze dell'ordine da parte del gruppo terroristico della Settima Cavalleria, e dopo essere sopravvissuta per miracolo Angela si risveglia in ospedale con Crawford a vegliare su di lei: anche nell'episodio 2 del fumetto un personaggio deceduto, il Comico, tornava nei flashback di chi invece era ancora vivo, e per fortuna Lindelof con questo stratagemma può dare a Don Johnson nuove scene da recitare, visto quanto l'attore dimostra di essere in parte.
Il mano nella mano fra Angela e il suo vecchio amico e mentore ci riporta in jump-cut all'ultimo contatto fisico che i due avranno mai, con il corpo del capitano Crawford che viene portato via dalla scena del crimine, e nella seconda parte dell'episodio ci viene presentata una struttura specificatamente pensata per ricostruire gli alberi genealogici degli afroamericani vittime del massacro di Tulsa.

Il tema del razzismo alla base del sogno americano e quello delle origini (che potremmo definire radici, parlando di alberi genealogici) diventa un fil rouge che Damon Lindelof traccia lungo tutta la puntata e che si ricollega a quanto visto nel primo episodio: l'idea di rileggere l'opera di Alan Moore per illustrarne il futuro sembra procedere di pari passo con la sfida di superarla anche dall'altra parte della linea temporale, quella del passato, spingendosi più in là nel tempo di quanto non abbia fatto il fumetto, approfondendo così l'evoluzione di questo mondo in entrambi i sensi di marcia cronologica.

Amici Assenti

Martial Feats of Comanche Horsemanship non si ferma però a parallelismi con Amici Assenti (secondo numero del Watchmen fumetto) e addirittura, schiacciando l'acceleratore dell'ambizione, va a modificare la struttura narrativa stessa della serie HBO introducendo un racconto dentro il racconto: ispirandosi anche al terzo capitolo del fumetto, intitolato Il Giudice di tutta la Terra, nel quale Moore presentava I Racconti del Vascello Nero, un fumetto di pirati inserito fra le pagine del fumetto vero e proprio che assumeva un forte simbolismo nei confronti della storyline principale, Lindelof ci mostra il primo episodio di American Hero Story, una serie-dentro-la-serie incentrata sulle avventure di Giustizia Mascherata.

Il vigilante è il primo "supereroe" in assoluto ad essere comparso sulla scena pubblica del mondo di Watchmen, conquistando le prime pagine dei giornali nell'autunno del 1938: la sua maschera, ispirata alle tuniche del Ku Kluz Klan, ha sempre celato la sua identità tanto agli occhi degli altri personaggi quanto a quelli dei lettori, e Lindelof, un po' come Quentin Tarantino ha parlato col linguaggio delle serie televisive anni '60 negli spezzoni meta-narrativi di C'Era Una Volta a Hollywood (in cui Leonardo DiCaprio e Timothy Olyphant hanno dovuto recitare nella parte di attori che recitavano una parte da attori), sfrutta questo escamotage narrativo per omaggiare Zack Snyder.

La scelta è particolarmente felice perché, al di là della citazione pura e semplice, nel ricreare gli stilemi visivi che rappresentano il timbro dell'impianto filmico di Snyder, Lindelof conferisce un'impronta ben distinguibile alle scene di American Hero Story rispetto a quelle della trama principale, intavolando un discorso molto interessante e specifico sulla differenza fra i linguaggi visivi reali e quelli di finzione, discorso che si ricollega anche alla scena del cinematografo muto col quale si apre la serie.

"Voglio mostrarti da dove vieni

L'abito da Ku Kluz Klan rosso e viola del Giustizia Mascherata di American Hero Story diventa poi quello che Angela trova nell'armadio di Crawford, scena che fa da contrappunto all'idea di cospirazione introdotta ad inizio puntata e che rappresenta anche una citazione diretta alla primissima scena di Watchmen-fumetto, dove venivano riesumati simili scheletri nell'armadio, colpo di scena che apre a diverse speculazioni.

Il jump-cut che trasforma gli indiani a cavallo del titolo dell'episodio nell'Adrian Veidt in sella di un destriero bianco ci portano ad una rappresentazione teatrale delle origini del Dottor Manhattan, accompagnata dalla Cavalcata delle Valchirie con la quale Snyder in una celebre scena del suo adattamento cinematografico citava esplicitamente il Vietnam di Apocalypse Now (ma il riferimento assume anche tratti felliniani): Jon Osterman è il Dio che se n'è andato e che Ozymandias, Re dei Re, probabilmente sta cercando, e non solo a livello metaforico.

E quando l'orologio di Veidt si trasforma nella sveglia di Sister Night, la puntata finisce con un cliffhanger a dir poco sopra le righe tipico dell'incontro fra assurdo e realismo magico delle storie lindelofiane, con un magnete gigante che porta via l'auto di Angela con a bordo il vecchio. Che la lettera caduta dal cielo all'inizio della puntata nell'epilogo compia lo stesso movimento finendo fra le mani della protagonista, dopo un viaggio di quasi settant'anni, è calzante con l'andatura ciclica di quest'ora di narrazione, in continua alternanza tra ieri e oggi. Perché nulla finisce, nulla ha mai fine.