When They See Us: recensione della miniserie Netflix

Un racconto commovente che mette in secondo piano la suspense del genere crime, per sottolineare la fragile umanità dei suoi protagonisti

When They See Us: recensione della miniserie Netflix
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Era il 19 aprile 1989 quando, nel Central Park di New York City, la giovane Trisha Meili venne aggredita e violentata mentre faceva jogging. L'aggressione la lasciò in coma per dodici giorni, a lottare tra la vita e la morte. Quattro giovani afroamericani e un ragazzo ispanico vennero processati per il crimine e condannati a un lungo periodo di reclusione, tra processi e persecuzioni mediatiche, fino al 2002, quando una serie di eventi portarono alla liberazione dell'ultimo degli imputati.
Le indagini e il processo avvennero in un clima di pesante discriminazione razziale, e i pregiudizi contro la comunità afroamericana contribuirono a far degenerare i sospetti fino a portare alla vittoria dell'accusa. Dopo il documentario The Central Park Five, di Sarah Burns e David McMahon, a raccontarci questa angosciante vicenda è la miniserie ideata e diretta da Ava DuVernay, When They See Us, disponibile su Netflix.

Una serie che punta dritta al cuore

È il sentimento ad assumere un ruolo primario in When They See Us: più che le indagini e i processi, nella miniserie drammatica di Ava DuVernay a parlare sono le emozioni, e la disperazione dei giovani protagonisti è ciò che più canalizza l'attenzione dello spettatore.
Poiché narra eventi già noti alla cronaca, When They See Us non si basa sulla ricerca del colpo di scena o sull'elemento sorpresa, ma sulla poeticità di un racconto sincero nel quale una serie di tristi coincidenze hanno spezzato più di una vita. Quella di Trisha Meili è cambiata in modo irrimediabile quella sera del 19 aprile 1989 a Central Park, quando durante una corsa è stata aggredita e stuprata da uno o più assalitori, che la giovane non è mai stata in grado di riconoscere. È stata rovinata però anche quella di cinque ragazzi che si trovavano quasi per caso al parco quella stessa sera. Da quel momento in poi il tentativo di utilizzare le loro testimonianze come aiuto nelle indagini si è trasformato in una vera e propria coercizione, durante la quale degli agenti di polizia, particolarmente ansiosi di chiudere con successo il caso, hanno messo i ragazzi uno contro l'altro, costringendoli a confessare con vane promesse di libertà. La loro falsa testimonianza li ha condannati a una serie di processi sfiancanti, fino alla loro incarcerazione.

A differenza di quanto accade di fronte a dati scientifici e fatti di cronaca freddamente documentati, è impossibile mantenere il distacco durante la visione di When They See Us, un resoconto toccante di tutte le assurdità del sistema giudiziario statunitense alla fine degli anni ‘80 - reso ancora più ostile dal clima di razzismo che si respirava in quel periodo - e dei subdoli inganni di chi diceva di avere a cuore la sicurezza dei giovani protagonisti. Agghiaccianti anche le scene in carcere, tra momenti di violenza gratuita, istanti di pura disperazione e piccoli scorci di umanità.
Sono sottili le crudeltà a loro riservate, taglienti le insinuazioni e le allusioni, così come sono ambigue le richieste di confessione. Spaventati, raggirati e minacciati da agenti senza scrupoli che volevano sfruttare a proprio vantaggio l'odio razziale della società contro le comunità afroamericana e ispanica, i "Central Park Five" (come sono stati soprannominati) rappresentano al tempo stesso la traumatica uscita dall'età dell'innocenza e lo strenuo tentativo di fidarsi ancora dell'autorità che li doveva tutelare.

A dare spessore al commovente racconto dei processi sono le interpretazioni davvero eccellenti dei cinque giovani attori che interpretano Antron McCray, Yusef Salaam, Korey Wise, Kevin Richardson e Raymond Santana, rispettivamente Caleel Harris, Ethan Herisse, Jharrel Jerome, Asante Blackk e Marquis Rodriguez, che attirano lo sguardo dello spettatore sui loro visi stravolti dal dolore, l'attimo prima speranzosi, quello dopo delusi e sconvolti. Un'interpretazione che supera per qualità, sensibilità e credibilità quella delle loro controparti adulte.
Ottimi anche gli interpreti dei personaggi secondari, a partire da una tagliente Vera Farmiga nei panni del membro dell'accusa Elizabeth Lederer, affiancata da Linda Farstein, qui interpretata da Felicity Huffman e da un comprensivo e amichevole Joshua Jackson nel ruolo dell'avvocato difensore di uno dei ragazzi.
Fiducia e disperazione si intrecciano nel corso delle quattro puntate di questa miniserie, che lo spettatore non può che guardare con un rimescolamento allo stomaco di fronte alle assurdità di un'accusa che mette in gioco prove inconsistenti, indizi privi di validità e testimonianze contrastanti per fare di cinque innocenti il capro espiatorio per un crimine contro una donna bianca. Quando il crimine e la giustizia in realtà non dovrebbero mai avere un colore.

La tematica sempre attuale della discriminazione razziale

La miniserie si apre alla fine degli anni ‘80, in un clima di fermento culturale ma ancora profondamente attraversato da odio razziale e chiusura mentale. È impossibile non provare un senso di déjà-vu di fronte a puntate in cui la discriminazione sembra superare il buon senso. Il cameo di Donald Trump - sotto forma di reali testimonianze video in cui l'attuale presidente degli Stati Uniti affermava di desiderare il ritorno della pena di morte - fa venire i brividi al pensiero di quanto attuale sia questo prodotto Netflix. Non presenta una forma esplicita di razzismo, ma un comportamento che non può che andare in quella direzione, dal momento in cui i membri di una minoranza sono stati sfruttati a livello giudiziario e mediatico per scovare il "colpevole più probabile".
Esempi di ingiustizia sociale si respirano ancora oggi in Paesi che vengono ritenuti civili e progressisti, e la recente politica di Trump non sembra lasciare, oggi come allora, grande spazio per l'uguaglianza e l'accettazione. È probabilmente proprio per questo triste legame tra le vicende dei Central Park Five e i fatti di cronaca che ancora oggi sentiamo ai notiziari che questa miniserie colpisce così duramente le nostre coscienze, lasciandoci con un profondo senso di amarezza.
Difficile credere che When They See Us possa davvero riuscire nel suo intento ammonitore, per insegnare alle società di tutto il mondo che è necessario conoscere prima di additare e giudicare, ma certamente è in grado di narrare una storia di prevaricazione e speranza con una grande sensibilità, con la delicatezza di chi sa come difendere l'innocenza.

When They See Us non è però solo un racconto di discriminazione e dolore, ma un esempio meraviglioso di quanto il supporto della famiglia e di qualche persona amica faccia la differenza tra la volontà di andare avanti con la propria vita e la disperazione. I giovani imputati non sono mai stati abbandonati dai loro cari, sostenuti fino in fondo da familiari e dalla nuova amicizia che li ha uniti prima e dopo il processo. Un piccolo barlume di luce in una vicenda buia che minaccia fin troppo spesso di ripetersi anche nel ventunesimo secolo.

When They See Us Tratta da una storia vera, When They See Us è una miniserie che trasforma i fatti di cronaca in qualcosa di vivo e pulsante, una storia commovente di ingiustizie e soprusi a danno di cinque giovani ragazzi appartenenti alle comunità afroamericane e ispaniche di New York. La recitazione dei suoi giovani interpreti, la regia efficace, la fotografia cupa rendono questo prodotto un resoconto agghiacciante delle discriminazioni razziali della fine degli anni '80, delle assurdità di un sistema giudiziario non estraneo a episodi di razzismo e delle gravi problematiche sociali purtroppo ancora troppo attuali.

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