5 serie TV diventate cult dopo un pessimo inizio

Scopriamo insieme quali sono stati gli show migliori che, dopo un inizio poco convincente, hanno saputo trasformarsi e diventare dei cult.

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Nel panorama televisivo internazionale, succede molto spesso di sentire parlare di serie che, in seguito a una o più stagioni d'apertura interessanti e convincenti, sono andate a perdersi con il tempo. Ciò che si imputa maggiormente a titoli simili è di non aver portato avanti degnamente le premesse narrative che si erano formate dopo i primi episodi. Capita molto più raramente di vedere prodotti che, dopo un inizio stentato, sappiano migliorarsi con il tempo e cambiare completamente le prospettive del pubblico, ma ciò non significa che non avvenga mai.

I cambiamenti in meglio possono essere di svariati tipi: a volte, per esempio, si assiste a un generale incremento della qualità narrativa e a un raggiungimento della maturità da parte degli sceneggiatori. Altre volte, invece, showrunner talentuosi incorrono in limitazioni nelle loro creazioni a causa del budget, e l'intervento delle case di produzione con investimenti più consistenti possono aiutare nell'impreziosire determinati prodotti. Infine, può semplicemente succedere che una trama, per svilupparsi e aprirsi al meglio, abbia bisogno di un considerevole screentime, ripagando l'attesa dei suoi spettatori. Nell'articolo odierno, cercheremo di mostrare alcuni dei migliori show televisivi che, partiti non sotto i migliori auspici, hanno avuto il modo di riprendersi e di diventare alcuni dei capisaldi del serial contemporaneo.

Star Trek: The Next Genetation

Si può dire che il primo ciclo di episodi di Star Trek: The Next Generation non sia stato tra i più brillanti della storia della TV. Uno dei più grandi problemi sofferti dallo show, che si presentava con l'intenzione di riportare in auge lo storico franchise ideato da Gene Roddenberry negli anni '60, è stato la sensazione iniziale di avere a che fare con un'opera fin troppo derivativa dell'originale, con dei personaggi che apparivano senza grandi personalità e che tendevano a non spiccare tra di loro, a differenza del carismatico Kirk o del freddo e calcolatore Spock, che avevano consentito a Star Trek di diventare un fenomeno socioculturale dell'età del boom economico americano.

Tuttavia, con il tempo, quello che sembrava il grande difetto della serie è diventato il suo più incredibile punto di forza, fino a farlo diventare uno dei prodotti di punta della televisione americana tra il 1987 e il 1994. La coralità della narrativa di The Next Generation, infatti, è stata in grado di distinguerlo completamente dallo show del 1966. Affrontare i punti di vista di svariati protagonisti ha permesso all'opera di esplorare molto più approfonditamente il carattere dei protagonisti e come si relazionano tra di loro, fatto quasi totalmente assente nell'Originale.

L'equipaggio della nuova Enterprise appare molto più sfaccettato e multidimensionale di quello comandato dal capitano Kirk. Jean-Luc Picard (interpretato dal talentuoso Patrick Stewart) è riflessivo e autorevole, ma non insensibile. Completamente diverso e molto più dedito all'azione il giovane William Riker (Jonathan Frakes). Le personalità di ognuno degli otto protagonisti principali si arricchiscono con il procedere delle stagioni, per quello che è definito da molti il miglior show della storia del franchise di Star Trek (di un altro gran prodotto trekkie uscito recentemente vi abbiamo parlato tramite la nostra recensione della serie animata su Amazon Prime Video Star Trek: Lower Decks).

Vikings

Nel caso di Vikings, si potrebbe parlare di qualità migliorata con il tempo sia per quanto riguarda il livello della produzione, sia per le capacità di scrittura dei affinata e portata a livelli straordinari. L'historical drama ideato da Michael Hirst per MGM History ha sofferto di una prima fase altalenante e dal carattere fin troppo documentaristico, con delle scene piacevoli alternate a momenti lenti e piatti non particolarmente interessanti, con una presentazione dei personaggi altamente dispersiva. Ciò sicuramente era dovuto a un enorme quantitativo di protagonisti conosciuti fin dalle prime puntate, ma anche a una scrittura a volte grezza e non totalmente a fuoco. La fortuna dello show è stata quella di aver comunque messo in scena sin dai primi istanti svariati combattimenti eccitanti che ci hanno appassionato e incollato al divano in attesa di scoprire il futuro dei nostri vichinghi preferiti.

Successivamente, anche dal punto di vista narrativo avviene un vero e proprio miracolo. Figure come quella di Ragnar (Travis Fimmel), di Lagertha (la Katheryn Winnick che di recente abbiamo visto nella nuova serie su Disney+ Star Big Sky) e degli altri guerrieri vichinghi iniziano ad assumere un'aura leggendaria, e le loro storie diventano sempre più interessanti, mostrando numerose sfaccettature del mondo norreno, tra fascino e brutalità.

La sceneggiatura appare sempre più brillante, e anche la coreografia degli epici scontri - che era già un fiore all'occhiello dell'intera produzione - migliora sempre di più per avvicinarne la fattura a quella dei più importanti kolossal americani. Impossibile non ricordare le incredibili scene dell'assalto a Parigi durante la terza stagione: la grande capacità di Hirst di trasmettere immensa potenza ed elevata drammaticità nei suoi punti più alti di trama ha permesso a Vikings di diventare il più grande titolo del suo genere uscito finora.

Parks and Recreation

Da molti bollata come una copia sbiadita di un capolavoro della comicità made in USA come The Office, la serie di Parks and Recreation ha davvero faticato a farsi strada tra gli show di successo. La prima stagione aveva aggiunto poco a una formula come quella del mockumentary, o per dirla all'italiana del "falso documentario" che si stava facendo sempre più largo nelle serie comedy statunitensi.

Se rapportate alla narrativa di un prodotto come Modern Family, che aveva fatto della tecnica del mock il suo marchio di fabbrica, o alla stessa The Office, le vicende di Leslie Knope (interpretata da Amy Poehler) e degli altri protagonisti non brillavano certo per originalità, anche a causa di una ripetitività delle situazioni inevitabile a causa del suo setting principale.

Il punto di svolta per la serie di Greg Daniels e Michael Schur ha soprattutto riguardato lo sforzo per aprire notevolmente la narrazione e ampliarla al di fuori dei suoi stessi confini. La decisione di iniziare a puntare, a partire dalle stagioni successive alla prima, sull'approfondimento delle vite personali - e non solo professionali - dei protagonisti, ci ha mostrato tutto un potenziale che era rimasto inespresso fino a quel momento nello show. Inoltre, l'elemento comico è diventato più mordace, più attuale e profondo, andando a colorare le divertenti battute dei membri del Parks and Recreation Department. La vera forza della serie non risiede nei buffi equivoci professionali, ma nello sguardo ironico e scanzonato, oltre che profondo e stratificato, con il quale le intere esistenze di Leslie, Ann (Rashida Jones), Tom (Aziz Ansari) e di nuovi grandi ingressi come quelli di Ben (Adam Scott) e Chris (Rob Lowe) vengono passate al microscopio. Un'osservazione così attenta dei personaggi consente di affezionarsi a ognuno di loro, senza dimenticare anche qualche momento romantico che in un prodotto del genere risultano sempre interessanti.

Buffy L'ammazzavampiri

Le prime puntate di Buffy L'ammazzavampiri ricadono perfettamente nel grande problema che la maggior parte dei teen drama possedevano fino a un paio di decenni fa. È particolarmente difficile riuscire a descrivere sinceramente e credibilmente un'età nella quale i cambiamenti sono all'ordine del giorno, e spesso avvengono in modo talmente repentino da rendere un teenager completamente irriconoscibile in brevissimo tempo.

Per ovviare a tale problema, spesso si insisteva nel cristallizzare le esistenze dei personaggi a dei tipi statici, i quali spesso potevano incorrere in alcuni cambiamenti minori - dovuti soprattutto a motivi di trama - ma che non uscivano mai dalla propria comfort zone per confrontarsi con il mondo circostante. La trama della prima stagione di Buffy, in questo senso, si evolve solo verticalmente, nell'ottica della caccia di Buffy Summers (Sarah Michelle Gellar) ai demoni paranormali che infestano Sunnydale.

Il grande coraggio di Joss Whedon, che decide di sperimentare vie mai tentate prima da altri show adolescenziali, ha premiato l'autore trasformando la sua creatura in un vero e proprio cult generazionale. I personaggi crescono, maturano (pur rimanendo genuinamente dei ragazzi della loro età per scelte compiute) e imparano dai loro errori. Sperimentano gli amori, le delusioni, e persino il contatto con il "mondo degli adulti", fatto a volte di difficoltà e tristezza, permettendo alla serie di toccare tematiche delicate come quelle della malattia e della morte, il tutto non dimenticando mai il proprio target di riferimento.

Se c'è infatti qualcosa che Buffy ha permesso di approfondire è quell'educazione sentimentale dei giovani che la televisione potrebbe agevolare, ma di cui spesso si dimentica. La serie di Whedon ha fatto da apripista a un fenomeno che a metà degli anni 2000 ha preso sempre più piede, e che ha portato a nuovi orizzonti narrativi per i prodotti su misura degli adolescenti.

Breaking Bad

In molti ritengono Breaking Bad uno degli show televisivi qualitativamente migliori della storia. La capacità di unire una grande narrazione - sempre in un crescendo di pàthos ed emozioni - a una regia illuminata e brillante, ha assicurato alla serie e ai suoi protagonisti di scrivere il loro nome nella leggenda del piccolo schermo. La storia di Walter White (interpretato da un brillante Bryan Cranston) e di Jesse Pinkman (Aaron Paul), diventa sempre più avvincente, torbida, affrontando temi mai veramente trattati prima da show televisivi come lo scompenso tra moralità e necessità, tra desiderio e ambizione, tra fragilità della vita umana e brama di immortalità. Le dinamiche tra i personaggi si complicano, si arricchiscono di strati sempre più difficili da decifrare, il rapporto tra Walt e Jesse assume le fattezze di una distorta dipendenza, che a volte li allontana, ma finisce sempre per portarli sulla stessa strada. La serie viaggia soprattutto su una simmetria che lega il fato dei suoi due protagonisti assoluti, dove l'uomo buono diventa cattivo, e l'uomo cattivo decide invece di redimersi.

È un dato di fatto, tuttavia, che i 7 episodi che compongono la prima stagione abbiano sofferto di un ritmo altalenante, e di una narrazione che si appoggiava principalmente alla bravura degli interpreti piuttosto che su di una scrittura coinvolgente. Per un prodotto come questo, le problematiche hanno soprattutto riguardato la natura molto esplorativa della sua trama. Era difficile vedere ciò che la serie sarebbe potuta diventare, prevedere l'evoluzione contorta e malata dei suoi personaggi, l'intenso mondo circostante che sarebbe stato descritto con minuzia maniacale dal genio dietro all'opera che risponde al nome di Vince Gilligan.

Il tutto senza dimenticare lo sperimentalismo tecnico e creativo che, a partire dalle stagioni successive, ha caratterizzato svariati episodi della serie, come l'oltremodo discusso e analizzato La mosca, un viaggio introspettivo della durata di una semplice puntata nella maniacalità e nell'oscurità del fu Walter White, ormai totalmente calato nella parte di Heisenberg. La caratterizzazione e la capacità di coinvolgere della trama, che hanno dato una scossa emotiva a tutti gli spettatori dello show, rimangono ancora senza eguali nella storia della televisione.