È tempo di mandare in archivio anche il 2022, che paradossalmente ci ha tenuto col fiato sospeso fino all'ultimo o quasi per stilare questa lista - basti pensare a Peacemaker arrivato in Italia su TIMvision a dicembre inoltrato. Dunque, bando alle ciance e tiriamo le somme: che anno è stato per la serialità? Un anno eccelsamente denso e pregno di produzioni di qualità, un dato che sembrerebbe banale ma in realtà piuttosto curioso se si pensa che un numero impressionante di serie che abbiamo premiato lo scorso anno non hanno fatto ancora ritorno. E il pensiero corre immediatamente a prodotti come Arcane, Squid Game o Ted Lasso, ma per il resto vi rimandiamo alle migliori serie tv del 2021. In generale si può ad esempio affermare con tranquillità che gli ultimi 12 mesi hanno mostrato un genere fantasy con le sue multiformi sfaccettature in forma smagliante dopo alcune delusioni cocenti.
Un successo ottenuto, tra le altre cose, a discapito dei colossi Disney, estremamente in affanno tra serie Marvel che non riescono mai a superare i loro evidenti limiti e uno Star Wars salvato in extremis da Andor - e qui bisogna comunque ammettere che si tratta di un salvataggio grandioso. Se allora è il fantascientifico leggero con forti tratti fantasy a deludere, è chiaro che il pubblico avrebbe cercato quelle emozioni altrove. Ma è soltanto una delle numerosi chiavi di lettura di un 2022 che ha visto spesso trionfare gli insospettabili.
Andor
Partiamo con un po' di sana fantascienza, che sembra appunto essere sempre un po' mancante nei palinsesti, perlomeno quella di qualità. Ecco, di qualità Andor (qui potete recuperare la nostra recensione di Andor) abbonda eccome, giungendo a livelli - nonché una maturità - che da una produzione targata Star Wars era davvero difficile attendersi. D'altronde Guerre Stellari è un marchio che da troppi anni vive ancora sulle montagne russe, capace di dare ai suoi fan grandi gioie ed immense delusioni.
Andor non è la panacea di tutti i mali, intendiamoci, poiché è chiaramente un prodotto divisivo per molteplici ragioni, dalle tematiche fino ad un ritmo non esattamente adatto ad un telefilm. Ma l'insieme resta di uno splendore immane: personaggi e ambientazioni caratterizzati magnificamente, dialoghi e sequenze da pelle d'oca annoverabili senza dubbi tra i migliori dell'intero franchise e finalmente un'Impero crudele e sadico non solo sulla carta o per via della Morte Nera. Insomma, non solo un trionfo per Star Wars, bensì un thriller eccellente in generale sotto ogni punto di vista.
Black Bird
Spoiler: non è l'ultima e neanche la penultima volta che parleremo di Apple TV+ in questa classifica, forse il segnale più lampante di come il catalogo della celebre mela, pur non avendo minimamente la possibilità di sfidare Netflix o Prime Video sul piano della quantità, non abbia nulla da invidiare in quanto a qualità. Black Bird (non perdete la nostra recensione di Black Bird) in ciò è esemplare, poiché è una miniserie incredibilmente semplice alla base: un detenuto, per avere uno sconto sulla sua pena, deve avvicinare un serial killer e convincerlo a confessare - oltretutto basato su una storia vera.
Di Black Bird potremmo elogiare tante cose, come una regia squisitamente pulita, una scrittura dei dialoghi sopraffina e una gestione elementare ma molto funzionale di diversi piani temporali. Però sono aspetti che impallidiscono al cospetto del vero show, ovvero le interpretazioni fuori scala dei protagonisti Taron Egerton e Paul Walter Hauser, un piacere da ammirare lungo tutte le 6 puntate per la loro chimica e versatilità. Un piccolo capolavoro in pratica.
The Legend Of Vox Machina
L'animazione non può mai mancare questo appuntamento di fine anno, è un tema per noi molto caro. Un'annata priva di serie animate di un certo livello ci renderebbe particolarmente tristi, lo ammettiamo con franchezza. Ma fortunatamente non è il caso del 2022, visto che ci ha donato The Legend Of Vox Machina (vi rimandiamo alla nostra recensione di The Legend Of Vox Machina), un prodotto basato sulla prima campagna di Dungeons and Dragons del celebre canale YouTube e Twitch Critical Role.
E per questo le aspettative, perlomeno dal punto di vista del pubblico generalista e non degli appassionati, erano piuttosto basse e velate dai soliti pregiudizi. Pregiudizi morti e sepolti immediatamente dopo le prime puntate rese disponibili su Prime Video, che hanno mostrato una serie sorprendente, fresca e ben realizzata; l'ennesima dimostrazione di come il fantasy trattato con sapienza possa ancora dare tanto. Recuperatela e tifate insieme a noi per questi 7 emarginati che, nel tentativo di fare qualche soldo, si imbarcheranno in un conflitto immenso.
Mercoledì
L'assoluta sorpresa dell'anno non poteva non entrare in classifica. Chiariamo, che una serie Netflix basata sul personaggio di Mercoledì Addams (qui vi lasciamo la nostra recensione di Mercoledì) con Tim Burton al timone avrebbe avuto successo era un po' il segreto di Pulcinella. Che il prodotto si sia rivelato un competente coming age nostalgico il giusto mescolato ad ottimi elementi investigativi, che Jenna Ortega sia riuscita a portare su schermo una Mercoledi irresistibile grazie ad un'interpretazione clamorosa e che in generale il fascino macabro della famiglia Addams sia sopravvissuto così bene al passare del tempo, invece, era molto meno preventivabile.
Eppure la serie è questo e tanto altro, sbarcata sui nostri schermi probabilmente nel miglior momento possibile perché, visto il responso nostro e del pubblico, era evidente che un ritorno ad un certo tipo di comicità lugubre fosse in qualche modo atteso o voluto. Un pizzico di cinismo, delle atmosfere che ricordano i tempi di Harry Potter, un cast di personaggi convincente e storyline appassionanti e il gioco è fatto.
Scissione
È tempo di parlare ancora di Apple e della serie che ad inizio anno ha sconvolto chiunque. Scissione (non perdete la nostra recensione di Scissione) è in realtà descrivibile con una sola parola: capolavoro, su tutta la linea. E potremmo fermarci qui, ma il thriller psicologico creato da Dan Erickson e diretto quasi interamente da Ben Stiller con la sua strepitosa disamina della disumanizzazione merita ben altro spazio. Come per Andor, ci sentiamo di specificare che anche Scissione, per tempistiche e tematiche, sia lontana dal poter incontrare i palati di chiunque.
È infatti una produzione che cerca pochissimi compromessi con lo spettatore, che mette coraggiosamente al centro di ogni cosa il suo concept e l'estrema alienazione che ne consegue, per scavare fin quando possibile nella psiche umana e ciò che rende l'umanità tale. Ne fuoriesce un telefilm ansiogeno con un conglomerato, la Lumon Industries, che tenta in qualunque modo possibile, sia tramite la scienza sia il sogno dell'univero capitalistico, di strappare via la nostra individualità. Meravigliosamente inquietante, questo è poco ma sicuro.
The Sandman
Sì, The Sandman (qui potete recuperare la nostra recensione di The Sandman) è certamente la serie con più imperfezioni e problematiche in questa classifica, in particolar modo nella sua seconda metà. Ma d'altra parte la produzione Netflix riesce in una missione che, a detta di chiunque, era impossibile: adattare l'opera magna di Neil Gaiman, quel Sandman che ha semplicemente fatto la storia dei fumetti e del dark fantasy. Com'era possibile portare su schermo un lavoro così riflessivo, enigmatico ed iconico?
A detta di Neil Gaiman contava farlo e basta dopo aver "ucciso" decine e decine di altri adattamenti mediocri, nella maniera più fedele e rispettosa possibile di un materiale originario qualitativamente eccelso. Allora l'inizio dell'epopea di Morfeo si trasforma in un commovente omaggio, un - perdonateci il gioco di parole - sogno ad occhi aperti per i fan e una straordinaria iniziazione per chi non ha familiarità col lavoro di Gaiman. E si tratta soltanto del primo timido assaggio di un universo che tuttora non ha eguali.
Peacemaker
Temporalmente l'ultima a sbarcare sui nostri schermi, in pratica sul finire dell'anno grazie a TIMvision e tutti noi, alla notizia, abbiamo esclamato un liberatorio "Era ora!". La motivazione è molto banale: The Suicide Squad è uno dei migliori cinecomic degli ultimi anni e di conseguenza un suo spin-off, con James Gunn sempre incaricato della sceneggiatura e buona parte della regia, ispira una mole di fiducia non indifferente.
E, infatti Peacemaker non delude le aspettative, a partire dalla già virale - o almeno, virale a inizio anno quando è stato trasmesso - sigla d'apertura per giungere ad un'inevitabile summa dello stile di Gunn, sanguinoso e follemente eccentrico con deliziose punte di trash (fiondatevi la nostra recensione di Peacemaker). Poi è evidente che la trama sia forse un po' troppo semplicistica e, come sempre quando un regista cinematografico si lancia in un prodotto seriale, il ritmo ne soffre, ma la quantità di sequenze iconiche e la genuinità che il capo del nuovo DCU è riuscito ad estrarre da un ammasso di personaggi eufemisticamente secondari è, al pari di The Suicide Squad, un risultato mirabile.
House Of The Dragon
Torniamo in territori fantasy, per entrare nel merito della sfida tra titani del genere che si è scatenata per buona parte di questo autunno: Gli Anelli del Potere e, appunto, House Of The Dragon, che abbiamo preferito leggermente (non possiamo non consigliarvi la nostra recensione di House Of The Dragon). Magari sarà per la sua compattezza rispetto all'ambizione smodata del rivale o il ritorno in una Westeros scintillante e di nuovo morbosamente affascinante ci avrà colpito di più, soprattutto dopo le cocenti delusioni degli ultimi atti di Game Of Thrones; fatto sta che la serie HBO, almeno secondo noi, vince la prima battaglia di un confronto destinato a ripetersi nei prossimi anni - confronto accesissimo di cui, tra l'altro, beneficeremo soprattutto noi spettatori.
A prescindere da qualunque paragone, House Of The Dragon rimane un ritorno in pompa magna del franchise, che si ricorda una volta per tutte delle sue radici composte di fitte trame politiche ed equilibri delicati, senza tralasciare una dose generosa di spettacolarità. Adesso cerchiamo di non ripetere la stessa parabola sofferta dalla serie madre.
The Bear
Incontestabilmente l'underdog dell'anno, niente di più e niente di meno. La serie Disney+ è semplicemente la produzione che non ti aspetti, il segnale più eclatante di quanta libertà e maturità il medium seriale abbia ormai raggiunto. The Bear (non perdetevi la nostra recensione di The Bear) è all'apparenza una serie anche piuttosto scontata riguardante un cuoco che torna a casa ad occuparsi del negozio di famiglia in seguito al suicidio del fratello. Sicuramente una trama dall'impronta più drammatica del solito, che però lasciava presagire un'ormai classica dramedy sul posto di lavoro.
Nulla di più inesatto: la creatura di Christopher Storer è una sorpresa continua, un gioco di metafore e pugni emotivi nello stomaco lungo 8 episodi in cui persino una comune organizzazione della cucina si tramuta in una riflessione dolorosa sul lutto e sul senso della vita. Non ci sentiamo di aggiungere altro, poiché realmente qualunque dettaglio ulteriore potrebbe svelare qualcosa di troppo e rovinare la visione di una perla unica di questo 2022.
Pachinko
E per l'ultima volta ci ritroviamo sulle spiagge rassicuranti di Apple TV+ per parlare di Pachinko (qui vi rimandiamo alla nostra recensione di Pachinko), la serie tratta dall'omonimo libro di Min Jin Lee, anch'esso consigliato caldamente.
Ecco, quando lo spettatore capisce perfettamente cosa Pachinko voglia essere, ovvero un'odissea familiare che durerà circa un secolo, e riesce a giungere a patti con un ritmo molto lontano dalla comfort zone commerciale in cui volente o nolente siamo immersi la maggior parte delle volte, al suo cospetto si staglia un prodotto ai limiti della perfezione: scandito e interpretato magistralmente, dai valori produttivi elevatissimi e coronato da uno storia di insperate lotte continue venate da crudeli intermezzi di colonialismo e razzismo. Pachinko è, al pari del romanzo, un'opera totalizzante che trasuda amore e ingiustizia da ogni poro, che merita assolutamente la vostra attenzione. Non ve ne pentirete.
Dahmer
In un modo o nell'altro il true crime trionfa sempre e arriva ogni anno quel prodotto su un serial killer capace di catalizzare l'attenzione dell'intero pianeta o quasi. Per il 2022 è toccato a Dahmer (vi lasciamo qui la nostra recensione di Dahmer) la proposta Netflix dalla mente del prolifico Ryan Murphy, qui curiosamente in uno stato di grazia e lontano dalle sue classiche trovate di sceneggiatura. Ne fuoriesce una produzione in tutti i sensi mostruosa e disumana, che tenta quanto più possibile di spiegare ciò che fu Jeffrey Dahmer senza volerlo giustificare in alcun modo.
Niente voli pindarici, nessun tentativo di sorprendere a tutti i costi lo spettatore, Murphy ha orchestrato una sinfonia perfetta che culmina nella disturbante interpretazione di Evan Peters, letteralmente uno show nello show che gioca sul folle binomio vittima-maniaco creatosi in un individuo turbato fin dall'infanzia. Per gli appassionati del true crime o no rimane una serie imperdibile, che però in alcuni momenti toccherà corde e immagini alquanto forti.
The Boys
Con le note della canzone dei Dropkick Murphys di sottofondo urlanti "The boys are back and they're looking for trouble" e a distanza di diversi mesi dalla messa in onda, ci sentiamo di affermare che la terza stagione di Billy Butcher e i suoi ragazzi (non potete mancare l'appuntamento con la nostra recensione di The Boys 3) è ad ora la migliore e soprattutto la più costante: 8 puntate di pura e sana follia sanguinosa, personaggi improbabili e assurdi, missioni ancora più impossibili e numerosi plot twist che mutano costantemente le carte in tavola.
Una goduria senza soluzione di continuità che mescola il meglio di una prima annata folgorante e una seconda più riflessiva, con la speranza di una formula che possa evolversi sempre di più - e il materiale originale eccelso di Garth Ennis lo può permettere. L'unica pecca è rappresentata da un finale che ancora una volta fatica a smuovere gli equilibri in gioco una volta per tutte, riportando tutto allo status quo con giusto qualche cambiamento. Insomma, se già The Boys ha raggiunto vette fenomenali, con i giusti correttivi può entrare definitivamente nel pantheon del medium seriale.
Better Call Saul
E concludiamo questa lista con la serie che è arrivata a conclusione. Un finale più adatto di così è difficile trovarlo, no? Per chi si fosse posto la domanda, la risposta è sì, ci stiamo ovviamente riferendo sia al nostro articolo sia alla monopolizzante chiusura di Better Call Saul (qui vi rimandiamo alla nostra recensione di Better Call Saul 6), un unico più che raro esempio di commistione ineccepibile tra forma e contenuto, tra un virtuosismo che molto probabilmente non ha eguali nel panorama attuale e una sceneggiatura che non ha nulla da invidiargli.
Una serie che, tra pochissimi cali e scossoni, non ha mai perso di vista l'obiettivo, non ha mai perso di vista il suo protagonista, non si è mai dimenticata di costruire passo dopo passo e stagione dopo stagione un ritratto sfolgorante dell'essenza di Jimmy McGill/Saul Goodman. Poi sicuramente rimarrà una sensazione di malinconia dovuta al congedo da questi personaggi, ma ciò che Vince Gilligan è riuscito a costruire negli anni rimarrà indelebile, ne siamo convinti.
Da Andor a Better Call Saul, quali sono le migliori serie tv del 2022?
Il 2022 ha saputo dare molto al medium seriale nonostante le difficoltà dei grandi nomi, criticità che hanno fatto emergere molte sorprese.
È tempo di mandare in archivio anche il 2022, che paradossalmente ci ha tenuto col fiato sospeso fino all'ultimo o quasi per stilare questa lista - basti pensare a Peacemaker arrivato in Italia su TIMvision a dicembre inoltrato. Dunque, bando alle ciance e tiriamo le somme: che anno è stato per la serialità? Un anno eccelsamente denso e pregno di produzioni di qualità, un dato che sembrerebbe banale ma in realtà piuttosto curioso se si pensa che un numero impressionante di serie che abbiamo premiato lo scorso anno non hanno fatto ancora ritorno. E il pensiero corre immediatamente a prodotti come Arcane, Squid Game o Ted Lasso, ma per il resto vi rimandiamo alle migliori serie tv del 2021. In generale si può ad esempio affermare con tranquillità che gli ultimi 12 mesi hanno mostrato un genere fantasy con le sue multiformi sfaccettature in forma smagliante dopo alcune delusioni cocenti.
Un successo ottenuto, tra le altre cose, a discapito dei colossi Disney, estremamente in affanno tra serie Marvel che non riescono mai a superare i loro evidenti limiti e uno Star Wars salvato in extremis da Andor - e qui bisogna comunque ammettere che si tratta di un salvataggio grandioso. Se allora è il fantascientifico leggero con forti tratti fantasy a deludere, è chiaro che il pubblico avrebbe cercato quelle emozioni altrove. Ma è soltanto una delle numerosi chiavi di lettura di un 2022 che ha visto spesso trionfare gli insospettabili.
Andor
Partiamo con un po' di sana fantascienza, che sembra appunto essere sempre un po' mancante nei palinsesti, perlomeno quella di qualità. Ecco, di qualità Andor (qui potete recuperare la nostra recensione di Andor) abbonda eccome, giungendo a livelli - nonché una maturità - che da una produzione targata Star Wars era davvero difficile attendersi. D'altronde Guerre Stellari è un marchio che da troppi anni vive ancora sulle montagne russe, capace di dare ai suoi fan grandi gioie ed immense delusioni.
Andor non è la panacea di tutti i mali, intendiamoci, poiché è chiaramente un prodotto divisivo per molteplici ragioni, dalle tematiche fino ad un ritmo non esattamente adatto ad un telefilm. Ma l'insieme resta di uno splendore immane: personaggi e ambientazioni caratterizzati magnificamente, dialoghi e sequenze da pelle d'oca annoverabili senza dubbi tra i migliori dell'intero franchise e finalmente un'Impero crudele e sadico non solo sulla carta o per via della Morte Nera. Insomma, non solo un trionfo per Star Wars, bensì un thriller eccellente in generale sotto ogni punto di vista.
Black Bird
Spoiler: non è l'ultima e neanche la penultima volta che parleremo di Apple TV+ in questa classifica, forse il segnale più lampante di come il catalogo della celebre mela, pur non avendo minimamente la possibilità di sfidare Netflix o Prime Video sul piano della quantità, non abbia nulla da invidiare in quanto a qualità. Black Bird (non perdete la nostra recensione di Black Bird) in ciò è esemplare, poiché è una miniserie incredibilmente semplice alla base: un detenuto, per avere uno sconto sulla sua pena, deve avvicinare un serial killer e convincerlo a confessare - oltretutto basato su una storia vera.
Di Black Bird potremmo elogiare tante cose, come una regia squisitamente pulita, una scrittura dei dialoghi sopraffina e una gestione elementare ma molto funzionale di diversi piani temporali. Però sono aspetti che impallidiscono al cospetto del vero show, ovvero le interpretazioni fuori scala dei protagonisti Taron Egerton e Paul Walter Hauser, un piacere da ammirare lungo tutte le 6 puntate per la loro chimica e versatilità. Un piccolo capolavoro in pratica.
The Legend Of Vox Machina
L'animazione non può mai mancare questo appuntamento di fine anno, è un tema per noi molto caro. Un'annata priva di serie animate di un certo livello ci renderebbe particolarmente tristi, lo ammettiamo con franchezza. Ma fortunatamente non è il caso del 2022, visto che ci ha donato The Legend Of Vox Machina (vi rimandiamo alla nostra recensione di The Legend Of Vox Machina), un prodotto basato sulla prima campagna di Dungeons and Dragons del celebre canale YouTube e Twitch Critical Role.
E per questo le aspettative, perlomeno dal punto di vista del pubblico generalista e non degli appassionati, erano piuttosto basse e velate dai soliti pregiudizi. Pregiudizi morti e sepolti immediatamente dopo le prime puntate rese disponibili su Prime Video, che hanno mostrato una serie sorprendente, fresca e ben realizzata; l'ennesima dimostrazione di come il fantasy trattato con sapienza possa ancora dare tanto. Recuperatela e tifate insieme a noi per questi 7 emarginati che, nel tentativo di fare qualche soldo, si imbarcheranno in un conflitto immenso.
Mercoledì
L'assoluta sorpresa dell'anno non poteva non entrare in classifica. Chiariamo, che una serie Netflix basata sul personaggio di Mercoledì Addams (qui vi lasciamo la nostra recensione di Mercoledì) con Tim Burton al timone avrebbe avuto successo era un po' il segreto di Pulcinella. Che il prodotto si sia rivelato un competente coming age nostalgico il giusto mescolato ad ottimi elementi investigativi, che Jenna Ortega sia riuscita a portare su schermo una Mercoledi irresistibile grazie ad un'interpretazione clamorosa e che in generale il fascino macabro della famiglia Addams sia sopravvissuto così bene al passare del tempo, invece, era molto meno preventivabile.
Eppure la serie è questo e tanto altro, sbarcata sui nostri schermi probabilmente nel miglior momento possibile perché, visto il responso nostro e del pubblico, era evidente che un ritorno ad un certo tipo di comicità lugubre fosse in qualche modo atteso o voluto. Un pizzico di cinismo, delle atmosfere che ricordano i tempi di Harry Potter, un cast di personaggi convincente e storyline appassionanti e il gioco è fatto.
Scissione
È tempo di parlare ancora di Apple e della serie che ad inizio anno ha sconvolto chiunque. Scissione (non perdete la nostra recensione di Scissione) è in realtà descrivibile con una sola parola: capolavoro, su tutta la linea. E potremmo fermarci qui, ma il thriller psicologico creato da Dan Erickson e diretto quasi interamente da Ben Stiller con la sua strepitosa disamina della disumanizzazione merita ben altro spazio. Come per Andor, ci sentiamo di specificare che anche Scissione, per tempistiche e tematiche, sia lontana dal poter incontrare i palati di chiunque.
È infatti una produzione che cerca pochissimi compromessi con lo spettatore, che mette coraggiosamente al centro di ogni cosa il suo concept e l'estrema alienazione che ne consegue, per scavare fin quando possibile nella psiche umana e ciò che rende l'umanità tale. Ne fuoriesce un telefilm ansiogeno con un conglomerato, la Lumon Industries, che tenta in qualunque modo possibile, sia tramite la scienza sia il sogno dell'univero capitalistico, di strappare via la nostra individualità. Meravigliosamente inquietante, questo è poco ma sicuro.
The Sandman
Sì, The Sandman (qui potete recuperare la nostra recensione di The Sandman) è certamente la serie con più imperfezioni e problematiche in questa classifica, in particolar modo nella sua seconda metà. Ma d'altra parte la produzione Netflix riesce in una missione che, a detta di chiunque, era impossibile: adattare l'opera magna di Neil Gaiman, quel Sandman che ha semplicemente fatto la storia dei fumetti e del dark fantasy. Com'era possibile portare su schermo un lavoro così riflessivo, enigmatico ed iconico?
A detta di Neil Gaiman contava farlo e basta dopo aver "ucciso" decine e decine di altri adattamenti mediocri, nella maniera più fedele e rispettosa possibile di un materiale originario qualitativamente eccelso. Allora l'inizio dell'epopea di Morfeo si trasforma in un commovente omaggio, un - perdonateci il gioco di parole - sogno ad occhi aperti per i fan e una straordinaria iniziazione per chi non ha familiarità col lavoro di Gaiman. E si tratta soltanto del primo timido assaggio di un universo che tuttora non ha eguali.
Peacemaker
Temporalmente l'ultima a sbarcare sui nostri schermi, in pratica sul finire dell'anno grazie a TIMvision e tutti noi, alla notizia, abbiamo esclamato un liberatorio "Era ora!". La motivazione è molto banale: The Suicide Squad è uno dei migliori cinecomic degli ultimi anni e di conseguenza un suo spin-off, con James Gunn sempre incaricato della sceneggiatura e buona parte della regia, ispira una mole di fiducia non indifferente.
E, infatti Peacemaker non delude le aspettative, a partire dalla già virale - o almeno, virale a inizio anno quando è stato trasmesso - sigla d'apertura per giungere ad un'inevitabile summa dello stile di Gunn, sanguinoso e follemente eccentrico con deliziose punte di trash (fiondatevi la nostra recensione di Peacemaker). Poi è evidente che la trama sia forse un po' troppo semplicistica e, come sempre quando un regista cinematografico si lancia in un prodotto seriale, il ritmo ne soffre, ma la quantità di sequenze iconiche e la genuinità che il capo del nuovo DCU è riuscito ad estrarre da un ammasso di personaggi eufemisticamente secondari è, al pari di The Suicide Squad, un risultato mirabile.
House Of The Dragon
Torniamo in territori fantasy, per entrare nel merito della sfida tra titani del genere che si è scatenata per buona parte di questo autunno: Gli Anelli del Potere e, appunto, House Of The Dragon, che abbiamo preferito leggermente (non possiamo non consigliarvi la nostra recensione di House Of The Dragon). Magari sarà per la sua compattezza rispetto all'ambizione smodata del rivale o il ritorno in una Westeros scintillante e di nuovo morbosamente affascinante ci avrà colpito di più, soprattutto dopo le cocenti delusioni degli ultimi atti di Game Of Thrones; fatto sta che la serie HBO, almeno secondo noi, vince la prima battaglia di un confronto destinato a ripetersi nei prossimi anni - confronto accesissimo di cui, tra l'altro, beneficeremo soprattutto noi spettatori.
A prescindere da qualunque paragone, House Of The Dragon rimane un ritorno in pompa magna del franchise, che si ricorda una volta per tutte delle sue radici composte di fitte trame politiche ed equilibri delicati, senza tralasciare una dose generosa di spettacolarità. Adesso cerchiamo di non ripetere la stessa parabola sofferta dalla serie madre.
The Bear
Incontestabilmente l'underdog dell'anno, niente di più e niente di meno. La serie Disney+ è semplicemente la produzione che non ti aspetti, il segnale più eclatante di quanta libertà e maturità il medium seriale abbia ormai raggiunto. The Bear (non perdetevi la nostra recensione di The Bear) è all'apparenza una serie anche piuttosto scontata riguardante un cuoco che torna a casa ad occuparsi del negozio di famiglia in seguito al suicidio del fratello. Sicuramente una trama dall'impronta più drammatica del solito, che però lasciava presagire un'ormai classica dramedy sul posto di lavoro.
Nulla di più inesatto: la creatura di Christopher Storer è una sorpresa continua, un gioco di metafore e pugni emotivi nello stomaco lungo 8 episodi in cui persino una comune organizzazione della cucina si tramuta in una riflessione dolorosa sul lutto e sul senso della vita. Non ci sentiamo di aggiungere altro, poiché realmente qualunque dettaglio ulteriore potrebbe svelare qualcosa di troppo e rovinare la visione di una perla unica di questo 2022.
Pachinko
E per l'ultima volta ci ritroviamo sulle spiagge rassicuranti di Apple TV+ per parlare di Pachinko (qui vi rimandiamo alla nostra recensione di Pachinko), la serie tratta dall'omonimo libro di Min Jin Lee, anch'esso consigliato caldamente.
Ecco, quando lo spettatore capisce perfettamente cosa Pachinko voglia essere, ovvero un'odissea familiare che durerà circa un secolo, e riesce a giungere a patti con un ritmo molto lontano dalla comfort zone commerciale in cui volente o nolente siamo immersi la maggior parte delle volte, al suo cospetto si staglia un prodotto ai limiti della perfezione: scandito e interpretato magistralmente, dai valori produttivi elevatissimi e coronato da uno storia di insperate lotte continue venate da crudeli intermezzi di colonialismo e razzismo. Pachinko è, al pari del romanzo, un'opera totalizzante che trasuda amore e ingiustizia da ogni poro, che merita assolutamente la vostra attenzione. Non ve ne pentirete.
Dahmer
In un modo o nell'altro il true crime trionfa sempre e arriva ogni anno quel prodotto su un serial killer capace di catalizzare l'attenzione dell'intero pianeta o quasi. Per il 2022 è toccato a Dahmer (vi lasciamo qui la nostra recensione di Dahmer) la proposta Netflix dalla mente del prolifico Ryan Murphy, qui curiosamente in uno stato di grazia e lontano dalle sue classiche trovate di sceneggiatura. Ne fuoriesce una produzione in tutti i sensi mostruosa e disumana, che tenta quanto più possibile di spiegare ciò che fu Jeffrey Dahmer senza volerlo giustificare in alcun modo.
Niente voli pindarici, nessun tentativo di sorprendere a tutti i costi lo spettatore, Murphy ha orchestrato una sinfonia perfetta che culmina nella disturbante interpretazione di Evan Peters, letteralmente uno show nello show che gioca sul folle binomio vittima-maniaco creatosi in un individuo turbato fin dall'infanzia. Per gli appassionati del true crime o no rimane una serie imperdibile, che però in alcuni momenti toccherà corde e immagini alquanto forti.
The Boys
Con le note della canzone dei Dropkick Murphys di sottofondo urlanti "The boys are back and they're looking for trouble" e a distanza di diversi mesi dalla messa in onda, ci sentiamo di affermare che la terza stagione di Billy Butcher e i suoi ragazzi (non potete mancare l'appuntamento con la nostra recensione di The Boys 3) è ad ora la migliore e soprattutto la più costante: 8 puntate di pura e sana follia sanguinosa, personaggi improbabili e assurdi, missioni ancora più impossibili e numerosi plot twist che mutano costantemente le carte in tavola.
Una goduria senza soluzione di continuità che mescola il meglio di una prima annata folgorante e una seconda più riflessiva, con la speranza di una formula che possa evolversi sempre di più - e il materiale originale eccelso di Garth Ennis lo può permettere. L'unica pecca è rappresentata da un finale che ancora una volta fatica a smuovere gli equilibri in gioco una volta per tutte, riportando tutto allo status quo con giusto qualche cambiamento. Insomma, se già The Boys ha raggiunto vette fenomenali, con i giusti correttivi può entrare definitivamente nel pantheon del medium seriale.
Better Call Saul
E concludiamo questa lista con la serie che è arrivata a conclusione. Un finale più adatto di così è difficile trovarlo, no? Per chi si fosse posto la domanda, la risposta è sì, ci stiamo ovviamente riferendo sia al nostro articolo sia alla monopolizzante chiusura di Better Call Saul (qui vi rimandiamo alla nostra recensione di Better Call Saul 6), un unico più che raro esempio di commistione ineccepibile tra forma e contenuto, tra un virtuosismo che molto probabilmente non ha eguali nel panorama attuale e una sceneggiatura che non ha nulla da invidiargli.
Una serie che, tra pochissimi cali e scossoni, non ha mai perso di vista l'obiettivo, non ha mai perso di vista il suo protagonista, non si è mai dimenticata di costruire passo dopo passo e stagione dopo stagione un ritratto sfolgorante dell'essenza di Jimmy McGill/Saul Goodman. Poi sicuramente rimarrà una sensazione di malinconia dovuta al congedo da questi personaggi, ma ciò che Vince Gilligan è riuscito a costruire negli anni rimarrà indelebile, ne siamo convinti.
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