Salve a tutti, mi chiamo Edoardo Ferrarese. Forse vi ricordate di me per articoli come Guardare la serie di The Witcher senza aver giocato al gioco o la prima puntata di The Last of Us vista da chi non conosce il videogioco. Quindi ora confesso la terribile verità che ormai avrete capito: non ho mai giocato a The Last of Us. Prendetela come una confessione da alcolisti anonimi, perché di videogiochi ne ho consumati ma quello, complici millemila fattori fra cui una certa paura per il risvolto horror e la tremenda procrastinazione del "ma poi lo faccio", alla fine no, mai. So di aver sbagliato, ma ormai è andata così.
Anche perché poi, in maniera vagamente paracula, in redazione ripetevo "ma volete mettere un articolo del tipo com'è vedere The Last of Us senza aver mai giocato al gioco". Solitamente le risposte erano comunque insulti ai miei avi per non averci giocato ma alla fine della fiera eccoci qua. Ho visto tutta la serie HBO (e qua leggetevi la nostra recensione di The Last of Us) e l'ho adorata alla follia. Soprattutto, ero riuscito a non farmi alcuno spoiler su quello che sarebbe successo. E il viaggio è stato pazzesco. Se avete voglia di rifarlo con me, beh, provo a raccontarvelo.
Iniziare The Last of Us senza averci giocato
Già dal primo episodio ero entrato nel mood della serie. Perché la 1x01 aveva già tutte le coordinate per appesantirci lo spirito in vista di quello che sarebbe successo. L'ho vissuta senza sapere, ma da spettatore scafato immaginavo il destino di Sarah, quindi forse l'ho patito di meno rispetto a chi l'ha sperimentato con il videogioco. Paradossalmente, una delle cose migliori era proprio l'inserto iniziale, nel quale si vede la mano di Craig Mazin. Quel "we lose" ancora me lo sento nelle ossa, scoprendo solo dopo, grazie ad amici e colleghi, che nel gioco non c'era. E facendo quindi un salto in più nell'apprezzare come si passa da un medium a un altro.
E come si fa critica sociale con due frasi, scritte nella maniera giusta. Ma dopotutto era solo l'inizio, cominciavano a bombardarmi tutti con "ma sai che questo nel videogioco è così" oppure "guarda come l'hanno reso", talmente tanto da "sacrificarmi" e guardare il gameplay corrispettivo alla prima puntata e notare la splendida regia speculare di Craig Mazin per The Last of Us. A quel punto ero completamente dentro il mondo, volevo andare avanti. Dovevo. Per fortuna c'erano gli screener in anteprima.
Entrare nel mondo nuovo
Io non sono uno spettatore da binge-watching. Mi piace aspettare una settimana per l'episodio successivo. Certo, questo se non hai a disposizione subito tutta la stagione. Ma non so con quanti altri prodotti avrei ceduto così facilmente. Ho divorato The Last of Us in pochissimo tempo. Certo, la scusa che mi ripetevo era che fosse per lavoro, ma in realtà non riuscivo a resistere.
Volevo sapere, volevo vedere, capire come il rapporto tra Ellie e Joel si sarebbe evoluto, e il perché di tutte le maledizioni che mi sono state rivolte alla notizia che non ci avevo mai giocato. Maledizioni corrette, se posso permettermi. È stato un trascinarmi dentro a forza, con le luci spente e solo lo schermo davanti, e il telefono lontano, come al cinema. Così tanto che dopo il terzo episodio, uno dei prodotti seriali migliori visti nella tv contemporanea, ero lì a fissare il vuoto come un ebete, felice e disintegrato allo stesso momento. Scoprire poi che quasi tutto è stato aggiunto e modificato ha galvanizzato il cinefilo che è in me, dimostrandomi ancora quanto fosse splendido il lavoro fatto da Druckmann e Mazin con la serie di The Last of Us. Perché nella loro "traduzione" ci ho visto una conoscenza del mezzo rara, ed è come se avessi vissuto il videogioco con qualcosa in più, togliendo ovviamente l'atto fisico del giocarci e compiere le azioni. Ma era tutto talmente coinvolgente che non sentivo lo stacco, né forse il bisogno di premere un tasto. La serie lo faceva per me, e un po' anche con me. E lo faceva anche perché prendeva le piccole e giuste distanze dal gioco (che scoprivo man mano) trovando la propria strada e creando personaggi tangibili. Senza girare attorno tra colpe e qualità, perché erano veri, bastava quello.
Finire con Ellie e Joel
Però poi il fulcro sono loro due. Anzi, loro due e il viaggio, eterno amico e nemico che sblocca i rapporti e li distrugge ricostruendoli, puntata dopo puntata. E io, come immagino quasi tutti, mi sentivo davvero lì con loro. The Last of Us riesce ad afferrare anche chi è digiuno della sua controparte videoludica e lo mette in macchina con Ellie e Joel, o a dormire sotto le stelle, a scappare dagli infetti e a tentare di trattenere le lacrime. Fallendo, di solito. Perché diventa commozione collettiva, sentirsi parte di qualcosa di più, anche a distanza, anche fra i tagli. Anche se le scelte sono tragiche, dove non c'è mai giusto o sbagliato.
E arrivato a quel finale, che non conoscevo, sono rimasto attonito di fronte alla maturità di una storia che non si ferma a pensare se premere il grilletto o no. Lo fa e basta, accettandone le conseguenze. Che poi sono quelle di aver afferrato al volo valanghe di persone come me che per i più disparati motivi diversi non avevano mai giocato. Ma che adesso non possono più tornare indietro. E sapete cosa? Ora voglio rivederla. Anche un po' per me, certo, ma voglio rivederla per condividerla con le persone a cui voglio bene. Con chi magari non l'avrebbe mai guardata o con chi aspettava solo la spinta di un consiglio per iniziarla. Perché in The Last of Us è impossibile non ritrovarsi. Ci siamo tutti noi, pure se ci mancano dei pezzi. E forse qualche nostro frammento, grazie alla serie, riusciamo anche a recuperarlo.
P.S. Se per caso mi incontrate non fate spoiler sulla Parte 2. Poi ci gioco, promesso.
Com'è vedere The Last of Us senza aver mai giocato al videogioco
Il racconto di chi non ha mai giocato a The Last of Us ma ha visto tutta la serie HBO senza sapere nulla della storia, amandola.
Salve a tutti, mi chiamo Edoardo Ferrarese. Forse vi ricordate di me per articoli come Guardare la serie di The Witcher senza aver giocato al gioco o la prima puntata di The Last of Us vista da chi non conosce il videogioco. Quindi ora confesso la terribile verità che ormai avrete capito: non ho mai giocato a The Last of Us. Prendetela come una confessione da alcolisti anonimi, perché di videogiochi ne ho consumati ma quello, complici millemila fattori fra cui una certa paura per il risvolto horror e la tremenda procrastinazione del "ma poi lo faccio", alla fine no, mai. So di aver sbagliato, ma ormai è andata così.
Anche perché poi, in maniera vagamente paracula, in redazione ripetevo "ma volete mettere un articolo del tipo com'è vedere The Last of Us senza aver mai giocato al gioco". Solitamente le risposte erano comunque insulti ai miei avi per non averci giocato ma alla fine della fiera eccoci qua. Ho visto tutta la serie HBO (e qua leggetevi la nostra recensione di The Last of Us) e l'ho adorata alla follia. Soprattutto, ero riuscito a non farmi alcuno spoiler su quello che sarebbe successo. E il viaggio è stato pazzesco. Se avete voglia di rifarlo con me, beh, provo a raccontarvelo.
Iniziare The Last of Us senza averci giocato
Già dal primo episodio ero entrato nel mood della serie. Perché la 1x01 aveva già tutte le coordinate per appesantirci lo spirito in vista di quello che sarebbe successo. L'ho vissuta senza sapere, ma da spettatore scafato immaginavo il destino di Sarah, quindi forse l'ho patito di meno rispetto a chi l'ha sperimentato con il videogioco. Paradossalmente, una delle cose migliori era proprio l'inserto iniziale, nel quale si vede la mano di Craig Mazin. Quel "we lose" ancora me lo sento nelle ossa, scoprendo solo dopo, grazie ad amici e colleghi, che nel gioco non c'era. E facendo quindi un salto in più nell'apprezzare come si passa da un medium a un altro.
E come si fa critica sociale con due frasi, scritte nella maniera giusta. Ma dopotutto era solo l'inizio, cominciavano a bombardarmi tutti con "ma sai che questo nel videogioco è così" oppure "guarda come l'hanno reso", talmente tanto da "sacrificarmi" e guardare il gameplay corrispettivo alla prima puntata e notare la splendida regia speculare di Craig Mazin per The Last of Us. A quel punto ero completamente dentro il mondo, volevo andare avanti. Dovevo. Per fortuna c'erano gli screener in anteprima.
Entrare nel mondo nuovo
Io non sono uno spettatore da binge-watching. Mi piace aspettare una settimana per l'episodio successivo. Certo, questo se non hai a disposizione subito tutta la stagione. Ma non so con quanti altri prodotti avrei ceduto così facilmente. Ho divorato The Last of Us in pochissimo tempo. Certo, la scusa che mi ripetevo era che fosse per lavoro, ma in realtà non riuscivo a resistere.
Volevo sapere, volevo vedere, capire come il rapporto tra Ellie e Joel si sarebbe evoluto, e il perché di tutte le maledizioni che mi sono state rivolte alla notizia che non ci avevo mai giocato. Maledizioni corrette, se posso permettermi. È stato un trascinarmi dentro a forza, con le luci spente e solo lo schermo davanti, e il telefono lontano, come al cinema. Così tanto che dopo il terzo episodio, uno dei prodotti seriali migliori visti nella tv contemporanea, ero lì a fissare il vuoto come un ebete, felice e disintegrato allo stesso momento. Scoprire poi che quasi tutto è stato aggiunto e modificato ha galvanizzato il cinefilo che è in me, dimostrandomi ancora quanto fosse splendido il lavoro fatto da Druckmann e Mazin con la serie di The Last of Us. Perché nella loro "traduzione" ci ho visto una conoscenza del mezzo rara, ed è come se avessi vissuto il videogioco con qualcosa in più, togliendo ovviamente l'atto fisico del giocarci e compiere le azioni. Ma era tutto talmente coinvolgente che non sentivo lo stacco, né forse il bisogno di premere un tasto. La serie lo faceva per me, e un po' anche con me. E lo faceva anche perché prendeva le piccole e giuste distanze dal gioco (che scoprivo man mano) trovando la propria strada e creando personaggi tangibili. Senza girare attorno tra colpe e qualità, perché erano veri, bastava quello.
Finire con Ellie e Joel
Però poi il fulcro sono loro due. Anzi, loro due e il viaggio, eterno amico e nemico che sblocca i rapporti e li distrugge ricostruendoli, puntata dopo puntata. E io, come immagino quasi tutti, mi sentivo davvero lì con loro. The Last of Us riesce ad afferrare anche chi è digiuno della sua controparte videoludica e lo mette in macchina con Ellie e Joel, o a dormire sotto le stelle, a scappare dagli infetti e a tentare di trattenere le lacrime. Fallendo, di solito. Perché diventa commozione collettiva, sentirsi parte di qualcosa di più, anche a distanza, anche fra i tagli. Anche se le scelte sono tragiche, dove non c'è mai giusto o sbagliato.
E arrivato a quel finale, che non conoscevo, sono rimasto attonito di fronte alla maturità di una storia che non si ferma a pensare se premere il grilletto o no. Lo fa e basta, accettandone le conseguenze. Che poi sono quelle di aver afferrato al volo valanghe di persone come me che per i più disparati motivi diversi non avevano mai giocato. Ma che adesso non possono più tornare indietro. E sapete cosa? Ora voglio rivederla. Anche un po' per me, certo, ma voglio rivederla per condividerla con le persone a cui voglio bene. Con chi magari non l'avrebbe mai guardata o con chi aspettava solo la spinta di un consiglio per iniziarla. Perché in The Last of Us è impossibile non ritrovarsi. Ci siamo tutti noi, pure se ci mancano dei pezzi. E forse qualche nostro frammento, grazie alla serie, riusciamo anche a recuperarlo.
P.S. Se per caso mi incontrate non fate spoiler sulla Parte 2. Poi ci gioco, promesso.
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