Da Cowboy Bebop a Resident Evil: cosa sta sbagliando Netflix?

I live action delle opere orientali vengono compressi e reinventati da Netflix per renderli appetibili ad un pubblico evidentemente troppo vasto.

Da Cowboy Bebop a Resident Evil: cosa sta sbagliando Netflix?
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Manga, videogiochi e lavori di animazione fanno ormai parte della cultura e dell'immaginario collettivo dopo aver goduto dell'amore silenzioso di quella nicchia di appassionati chiamati nerd, in un periodo nel quale l'uso della parola nascondeva ancora connotazioni negative di bullismo, prima della rivalutazione sociale che l'ha resa un fenomeno squisitamente pop e privo di reale significato. Con lo scoppio della bolla occidentale che nascondeva i suoi tesori è partita la caccia all'oro delle aziende verso quei prodotti che fino a pochi anni fa venivano completamente ignorati dalle masse: è molto difficile al giorno d'oggi trovare qualcuno che non abbia mai sentito parlare di Berserk, mentre le vendite stratosferiche di Chainsaw Man sottolineano come il bacino di appassionati lettori sia aumentato a dismisura, e lo stesso vale per i capolavori d'animazione targati Studio Ghibli, passati addirittura per una seconda volta nei cinema italiani a decenni dalla loro distribuzione originale.

Le piattaforme streaming, dopo aver sconvolto l'industria cinematografica ridimensionandola e trovandole un nuovo significato, si sono ovviamente gettate a capofitto in questo nuovo corso di riappropriazione universale, con Netflix a fare da apripista con i suoi adattamenti live action di manga, videogiochi ed anime orientali. Non bastano però le buone intenzioni ed una nutrita fan-base a sancire il successo di un opera, perché il risultato delle sue riproposizioni è molto raramente in linea con le altissime aspettative degli appassionati, e la sconfortante serie tv che vi abbiamo descritto nella recensione di Resident Evil è solo l'ultima di una lunga serie di riletture malriuscite.

Il doloroso colpo d'occhio

Ciò che risalta immediatamente nella visione di un live action targato Netflix è la scarsa cura per la realizzazione tecnica, con una messinscena spesso carente la quale sembra riflettere una mancanza di fondi economici che in realtà non sussiste.

Ogni adattamento ordinato dalla piattaforma streaming ha avuto a disposizione un budget importante, anche se non faraonico, di sicuro sufficiente a plasmare scenografie e costumi migliori di quelli che tormentano ad esempio il Cowboy Bebop visto sulla piattaforma streaming. Molto spesso a mancare è il bilanciamento tra computer grafica e ricostruzione scenica, perché la prima dissangua le casse della produzione e costringe a ridimensionare tutti gli altri comparti tecnici, causando l'effetto irrealistico che accompagna lo spettatore ad ogni movimento di telecamera. Lo scopo della CGI intensiva in questi adattamenti è quello di aumentare l'impatto visivo e spettacolare con elementi ultraterreni, come è accaduto per i mostri giganteschi di Resident Evil, ma per preservare lo spirito dell'opera originale avrebbe avuto più senso concentrarsi sulla restituzione di una confezione visiva realistica e soddisfacente, un elemento in cui sono manchevoli tutte i live action Netflix. Il senso artistico perduto del materiale di partenza precipita le pellicole facendole crollare sotto il peso di una realizzazione non consona che scontenta tanto gli appassionati quanto coloro che non conoscono l'opera originale, come vi raccontavamo nella recensione di Cowboy Bebop.

Riscrittura e condensazione della trama

Nel voler proporre una storia scollegandola dal suo contesto artistico, Netflix attua una riscrittura della trama che è quantomeno obbligata dal passaggio di medium, ma la trasposizione non ha ancora raggiunto livelli accettabili dal grande pubblico, con il triste adattamento del manga di Tsugumi Oba descritto dalla recensione di Death Note che rimane la macchia più scura sul catalogo del colosso streaming. Il desiderio di generalizzare e rendere appetibile un'opera estremizzante - come molto spesso sono i manga più autoriali, proprio come tutte le produzioni artistiche - porta alla stesura di sceneggiature prive di mordente che non si assumono alcun rischio narrativo, cadendo spesso nel baratro di stereotipi e situazioni già esplorate in opere simili.

L'ordito che nel materiale originale si sviluppa nel corso di svariati volumi, episodi o titoli giocati deve essere per forza di cose condensato eseguendo una semplificazione estremamente complicata, perché bisogna asciugare gli orpelli e mantenere intatti gli eventi fondamentali, ma non è sempre semplice distinguere i due. I piccoli particolari emersi in conversazioni apparentemente banali, gli sguardi indiscreti e i gesti quotidiani si rivelano essere centrali nell'economia del progetto, ma le scene rilassate sono le prime ad essere eliminate dal computo di un adattamento cinematografico.

Per fare un esempio concreto, se qualcuno azzardasse un live action di Neon Genesis Evangelion di certo sorvolerebbe sul gigantesco minuto di silenzio e stasi visto nell'iconica scena dell'ascensore, eppure la sequenza ha un valore diegetico incalcolabile pur senza presentare risvolti di trama. Il lavoro per uno sceneggiatore è quindi molto (forse troppo) complicato, e la sua visione dell'opera porta ad una riscrittura che scontenterà per forza di cose una fetta di appassionati, perché difficilmente storie così lunghe ed intricate possono essere condensate in poche ore di visione.

Lo spirito nipponico

Un elemento che viene puntualmente perso nelle riproposizioni occidentali, anche in quelle riuscite o in parte soddisfacenti, è l'approccio asiatico alle modalità di narrazione. Il gusto estetico è qualcosa di indefinibile, sfuggevole eppure centrale ed evidentissimo, tanto fondamentale da far notare la sua rumorosa assenza negli adattamenti targati Netflix.

Sono stati soprattutto i giapponesi ad aver esportato da noi quei toni narrativi indefiniti, tra il serio ed il faceto, che animano le loro opere più importanti, ma questa è una cifra stilistica che pervade molti settori artistici provenienti dall'Est, la quale non viene mai afferrata con il dovuto rispetto dai nostri sceneggiatori. Capcom ha orchestrato con Resident Evil un horror visivamente votato al sangue e all'efferatezza, ma ha bilanciato la sua anima adulta con una componente di trama auto-ironica, aiutata da alcune scene sopra le righe che spezzano l'orrore per aprirlo ad un'insperata risata nervosa. L'adattamento targato Netflix cerca di ricreare lo stesso spirito bivalente inserendo dialoghi esagerati e bislacchi, ma il tempismo sbagliato e lo stile generale inconcludente che fiacca la serie tv li rende irritanti e addirittura peggiorativi per l'economia generale del prodotto. Le lungaggini espositive e l'impianto eccessivo che contraddistinguono i manga e gli anime giapponesi rientrano in un contesto artistico difficilmente riproponibile da un film occidentale, perché provengono da una cultura millenaria che ha imparato a trasformare il dramma più nero facendolo scadere nel patetico, sapendo trasformare l'orrore in grottesco e la commedia in deprimente riflessione, camminando come un equilibrista sul prezioso filo che gli adattamenti Netflix ancora non riescono ad afferrare.