Game of Thrones: 5 pregi e 5 difetti dell'ultima stagione

L'ultima stagione dell'epica serie HBO ha suscitato reazioni contrastanti tra i fan. Scopriamo cosa ha funzionato e cosa no.

Game of Thrones: 5 pregi e 5 difetti dell'ultima stagione
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L'ottava ed ultima stagione di Game of Thrones è stata un evento storico nel panorama seriale televisivo. La serie tratta da Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin ha rivoluzionato in maniera permanente ogni aspetto produttivo e narrativo della serialità stessa, ampliando la scala del racconto all'intero mondo immaginario di Westeros e presentando un'inedita coralità di protagonisti, tutti legati, in un modo o nell'altro, a misteriosi intrighi e sanguinosi scontri che convergono tutti su quel Trono di Spade che è simbolo stesso dei Sette Regni. Purtroppo lo sviluppo della serie non è sempre stato qualitativamente omogeneo, a tal proposito abbiamo anche stilato una classifica delle otto stagioni di Game of Thrones, dalla peggiore alla migliore.

La qualità è andata drasticamente aumentando sul piano tecnico, con un complementare calo del livello di scrittura che ha fatto storcere il naso anche ai fan più incalliti. Il culmine di questa dinamica è avvenuto proprio in occasione dell'ultima stagione della serie, che, dopo un'attesa di quasi due anni dalla fine della settima, prometteva un finale degno e definitivo alle vicende del Trono di Spade. Il risultato non ha però ripagato queste aspettative, spingendo più di un milione di spettatori a firmare una petizione online Game of Thrones 8, affinché l'intera stagione venisse riscritta e rigirata ex novo. Quali sono i motivi alla base di questa reazione e, se ce ne sono, quali sono stati invece i pregi dell'ottava stagione di Game of Thrones? Scopriamolo nel nostro speciale.

Il superamento dei romanzi

La parabola discendente di Game of Thrones era iniziata nella sesta stagione, quando gli showrunner Benioff e Weiss avevano dovuto fare affidamento sulla propria creatività, orfani del materiale originale di Martin, che era andato nel frattempo esaurendosi. Purtroppo la mancanza di novità sul fronte letterario ha penalizzato non poco gli eventi della serie, nonostante Martin avesse tracciato loro a grandi linee i punti chiave della trama di The Winds of Winter e A Day of Spring, gli ultimi romanzi della saga ancora in fase di scrittura, sebbene Martin confidi nella quarantena imposta dal lockdown per l'emergenza Coronavirus per poter progredire con i lavori.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti; un senso di transizione continuo, che porta a momenti topici, eventi di importanza capitale che stavamo aspettando da tempo, e che avrebbero dovuto rappresentare il suggellamento di anni e anni di sviluppo narrativo e dei personaggi, ma che un'evidente mancanza di lucidità e di direzione nella scrittura hanno portato a farci subire, più che godere. In generale si avverte una banalizzazione delle linee narrative, una volta articolate spirali tangenti che generavano twist narrativi emotivamente coinvolgenti, ma che ora lasciano spazio ad un incedere più freddo e diretto, che manca di quell'approccio genuino all'adattamento dell'opera di Martin.

Troppa fretta

"Cosa unisce le persone? Le armate? L'oro? Le bandiere? Le storie. Non c'è nulla al mondo più forte di una buona storia. Niente può fermarla, nessun nemico può sconfiggerla.". Si sbagliava Tyrion nel suo discorso a favore di Bran Lo Spezzato. O per lo meno, la sua era una mezza verità. Perché se è sacrosanto che le storie siano il collante della civiltà, non conta solo il contenuto di una storia, ma anche il modo in cui questa viene raccontata. Il nemico di ogni buona storia infatti è la fretta.

Game of Thrones ha quasi sempre cercato di bilanciare la qualità della narrazione con un ritmo adeguato, tra alti e bassi, a volte dilatando in maniera inusitata il racconto, a volte dimenticandosi di approfondirlo, ma uno dei fattori che più ha penalizzato l'ultima stagione è stato il collo di bottiglia del numero di episodi che, unito ad una scrittura superficiale, ha fatto precipitare ogni linea e arco narrativo, seminando pezzi dimenticati lungo il percorso.

I sei episodi finali si sono rivelati troppo pochi per poter chiudere tutte le parentesi aperte e preparare la svolta finale. Incredibile che dopo quasi due anni di attesa tra la settima e l'ottava stagione, tutto quello che Benioff e Weiss sono riusciti a regalarci è stato uno spettacolo per gli occhi, che ha sacrificato la scrittura ai pixel, gettando alle ortiche un lavoro di costruzione certosina che, nel bene e nel male, è maturato per otto lunghi anni.

Tutto ciò ha portato ad un innaturale incedere della trama, attraverso un'accelerazione che ha compromesso tempi e spazi della narrazione, cancellando quel senso di gratificazione dello spettatore nell'assistere ad eventi cruciali attesi da quasi un decennio, privati ora del loro pathos e presentati più come necessaria incombenza narrativa, che come sudato frutto di un complicato meccanismo di semina e raccolta durato per sette intere stagioni. Forse esagera Martin nell'affermare che Game of Thrones avrebbe potuto affrontare altre cinque; senza dubbio equiparare il numero di episodi delle ultime due stagioni a quello delle precedenti sarebbe stato un buon inizio.

Sviluppo dei personaggi

Un altro aspetto di questa crisi si esplicita ancor più nell'esautorazione dei personaggi dal proprio ruolo. Basti pensare allo scempio compiuto sulla figura di Cersei. Il personaggio di Lena Haedey è sempre stato centrale e decisivo all'interno dell'impianto narrativo dello show. Purtroppo nell'ottava stagione assistiamo all'involuzione di Cersei, sia a livello di introspezione, che di dialoghi, che di presenza scenica. Le sue dinamiche sono sacrificate a favore delle vicende di Daenerys e non si oppongono ad esse in una dicotomia costruttiva, ma solo strumentale. Anche i percorsi di Jon Snow e della stessa Daeneris Targaryen sono a questo proposito emblematici; incorsi in uno sviluppo infelice che ne ha inficiato la costruzione in atto fin dall'inizio della serie.

Jon Snow, che da figlio bastardo di Ned Stark guadagna il suo riscatto sociale con le unghie e con i denti, che scala i ranghi dei Guardiani della Notte, fino a diventarne il comandante e annettere il Popolo Oltre la Barriera, che si guadagna un posto nella famiglia Stark e viene persino eletto Re del Nord, quello stesso Jon Snow subisce un tracollo che vanifica tutta questa tensione narrativa.

L'ottava stagione non rende giustizia al suo personaggio, che diviene vittima del rapporto con Daenerys, nel quale si annulla morbosamente, nonostante la scoperta della sua vera identità di legittimo erede al Trono di Spade e, in ultima istanza, il frutto di quella crasi tra ghiaccio e fuoco che dà il titolo alle cronache di Martin.

E che dire della sciagurata svolta di Daenerys Targaryen, Madre di Draghi e Distruttrice di Catene, e via discorrendo, che, dopo essersi riscattata dai soprusi come una figura quasi messianica per tutti i popoli in schiavitù, nonché come eroina simbolo della determinazione agli occhi di tutti, nel giro di un paio di episodi si trasforma nello stereotipo del padre, quell'Aerys Targaryen conosciuto con l'appellativo di "Re Folle", facendo strage degli innocenti di Approdo del Re e decretando la fine ingloriosa di tanti personaggi, tra i quali Cersei e Jaime Lannister.

Una conseguenza esemplare di quella fretta che ha pregiudicato un graduale e sensato sviluppo dei personaggi, divenuti così vittime di una serie di plot point obbligati, mai veramente sentiti o costruiti con consapevolezza, che hanno perso in questa stagione qualsiasi sbocco catartico.

Un universo semplificato

La semplificazione di un universo così complicato come quello creato da Martin nei suoi romanzi è una fase congenita nella scrittura di una serie televisiva per il grande pubblico; lo dimostrano alcune linee genealogiche della famiglia Targaryen, adattate per facilitare la collocazione e la comprensione del ruolo di Maestro Aemon. Ma fintanto che questa operazione interessa modifiche che non intaccano ontologicamente la narrazione, la giustificazione è legittima e a volte necessaria. Il problema sorge nel momento in cui questa semplificazione vada ad inficiare la narrazione stessa, distruggendo o sminuendo potenziali linee narrative e personaggi, come nel caso del filone dorniano in tutta l'ultima stagione della serie (e a dire il vero anche nelle precedenti).

Tutto ciò che abbiamo ottenuto dal potenziale narrativo di Dorne è stato un vago riferimento di Varys sul fatto che il nuovo principe di Lancia del Sole fosse dalla parte dei Targaryen e un cameo finale dell'attore Toby Osmond come rappresentante di Dorne nel concilio che elegge Bran lo Spezzato, nonostante lo stesso Osmond non sappia tuttora il nome del personaggio da lui interpretato e si diverta con le varie teorie dei fan, sperando in cuor suo di essere stato un rappresentante della famiglia Martell.

Stesso discorso per le Isole di Ferro e per Euron Greyjoy. L'interesse degli showrunner per le linee narrative di questa famiglia è sempre stato altalenante, con un punto d'interesse fisso solo per Theon. Lo stesso destino della sorella Yara è sempre stato vittima di eccessiva semplificazione, con veri e propri buchi di sceneggiatura tra un'apparizione e l'altra. Un vero peccato, perché l'introduzione di Euron e la rivolta delle Isole di Ferro avrebbero meritato ben altro, mentre in questa stagione assumono il ruolo di mere pedine al servizio di Cercei, strumentalizzate a favore della spettacolarizzazione e del conflitto tra la Regina di Approdo del Re e la pretendente al trono.

Ma la peggiore semplificazione narrativa dell'universo di Game of Thrones è quella compiuta nei confronti degli Estranei e della battaglia per Grande Inverno, un vero fuoco di paglia esauritosi nel giro di una puntata in un climax di dubbio gusto, che ha stimolato infinite diatribe tra i fan. L'affascinante mitologia degli Estranei è stata così annientata lasciandoci l'amaro in bocca riguardo moltissime questioni lasciate in sospeso sulla natura stessa di questi nemici e sulla mitologia che gravita intorno ad essi.

Una risoluzione che non ha avuto rispetto nei confronti di un nemico così importante, la cui costruzione si è basata tutta sul principio dell'attesa e del mistero, sbarazzandosi di entrambi a favore di una fine veloce e quasi indolore, per di più a metà stagione.

Domande senza risposta

Purtroppo nell'ultima stagione della serie HBO le domande che non trovano risposta sono più di quelle che hanno trovato una comunque debole considerazione. E, visto che non solo non torneremo presto a Westeros, ma non sono previsti sequel - solo prequel - di Game of Thrones, sono tante, troppe le questioni rimaste in sospeso dopo il series finale.

Sin dall'inizio, la serie si è rivelata piena di profezie a tutto campo sul destino dei nostri protagonisti, ma solamente quella relativa al matrimonio e ai figli di Cersei sembra aver trovato un vero appagamento nel corso delle stagioni. Chi è l'uomo o la donna con gli occhi verdi che Arya avrebbe dovuto uccidere, secondo la profezia di Melisandre? Che fine hanno fatto Nymeria, il metalupo di Arya, Daario Naharis e Jaqen H'Ghar, l'uomo senza volto? Che cosa ha visto Bran durante la Lunga Notte e quali sono i suoi veri poteri?

Ellaria Sand è morta sotto le macerie della Fortezza Rossa? A chi stava scrivendo Varys riguardo la vera identità di Jon Snow, prima di essere scoperto e giustiziato? A questo punto solo i libri di Martin potranno dare una risposta a queste e ad altre domande.


Eventi che non vedevamo l'ora di vedere

Nonostante risulti scontato, uno dei pregi della stagione finale di Game of Thrones rimane l'aver messo in scena degli eventi che attendevamo da anni. E se credete ancora che l'attesa del piacere sia essa stessa il piacere, forse non avete ancora visto un drago demolire un'intera città seminando morte e distruzione o un infinito esercito di non morti lanciarsi all'assalto dell'unico battaglione in grado di salvare i Sette Regni dalla sua minaccia.

Lasciando per un attimo da parte gli enormi difetti di scrittura insiti in questi pregi, è stato comunque eccitante e terrificante vedere la distruzione di Approdo del Re, anticipata nelle scorse stagioni dalla visione di Bran e da quella di Daenerys nella Casa degli Eterni di una Sala del Trono ridotta in macerie. Sebbene la follia della Regina dei Draghi non sia stata seminata a dovere, la conquista di Approdo del Re rimane un momento di capitale importanza all'interno delle vicende narrate ed è giusto annoverarla tra i pregi di questa stagione.

Abbiamo già elencato la battaglia contro gli Estranei tra le semplificazioni dell'ottava stagione, ma non possiamo esimerci dal confessare che questa fosse la battaglia più attesa di tutte: la luce contro l'oscurità, i vivi contro i morti. L'elemento soprannaturale di Game of Thrones è sempre stato uno degli aspetti più affascinanti dell'intera serie, con una forza tematica prorompente e un appeal estetico/narrativo che ha saputo intrigare come pochi. Vedere finalmente questo scontro epico e grandioso ha tolto un peso dallo stomaco a più di un fan di lunga data, sebbene ne abbia regalati altri di ugual importanza.

I draghi

"Stanno arrivando, stanno arrivando!". Questo prometteva continuamente George R.R. Martin agli increduli Stan e Butters in un memorabile episodio di South Park. Ma chi? I draghi ovviamente! Grandissima incognita delle prime stagioni, i draghi hanno cominciato man mano ad emergere nell'iconografia della serie, fino ad assumere un ruolo da co-protagonisti nelle ultime due stagioni.

Uno dei pregi di questa stagione è averli schierati a tutto campo, soprattutto nelle battaglie. Nonostante la fine ingloriosa e prematura di Raeghal, è stata una vera gioia per gli occhi vedere queste enormi bestie mitologiche duellare nei cieli, sputando fuoco e lasciando terreno bruciato alle proprie spalle.

Lo scontro aereo tra il Re della Notte, Daenerys e Jon nella battaglia per Grande Inverno non ha forse avuto l'epicità che meritava, ma è stato un momento di forti emozioni, moltiplicate poi dalla distruzione di Approdo del Re ad opera di Drogon. I draghi, insieme agli Estranei, hanno sempre rappresentato un elemento chiave della mitologia della serie e vederli in azione ha rappresentato una piacevole parentesi tra i gravissimi difetti strutturali di cui soffre questa stagione.

Regia

La regia nelle serie tv veicola la visione degli showrunner attraverso la personalità e le capacità del regista, che si fa carico del difficile compito di trasmetterla al meglio allo spettatore. In Game of Thrones sono molti i registi che si sono avvicendati dietro la macchina da presa, ma pochi hanno avuto l'impatto di Miguel Sapochnik. La sua mano esperta è dietro ad episodi emblematici come Hardhome, The Winds of Winter e The Battle of the Bastards. Ed è proprio lui che prenderemo come esempio virtuoso nella gestione dei due momenti epocali della serie, la Lunga Notte e la distruzione di Approdo del Re, entrambi diretti da lui.

Nel rappresentare uno dei momenti più attesi, la battaglia contro il Re della Notte - le cui riprese sono durate due mesi e per la quale Sapochnik aveva proposto anche un attacco congiunto di Metalupi - il regista sapeva che il punto di vista di un singolo personaggio in battaglia avrebbe potuto aumentare l'empatia dello spettatore - come accaduto per la Battaglia dei Bastardi -, ma non sarebbe riuscito a mantenere decine di minuti di scontri senza annoiare e senza perdere i momenti più importanti relativi ai singoli personaggi.

La soluzione viene paradossalmente trovata nel centellinare l'elemento action con meno combattimenti possibile per ogni sequenza, per ottenere un miglior risultato in termini di attenzione e, come seconda strategia, cambiare continuamente il genere. Azione, horror, suspense e dramma rappresentano gli ingredienti di una ricetta dalle tinte scure che intrattiene in maniera vincente e accattivante per tutto l'episodio.

Allo stesso modo in The Bells, avendo lo spinoso onere di presentare il cambiamento di Daenerys e la successiva follia seguita alla morte di Missandei, Sapochnik decide di mostrare la Regina dei Draghi in giustapposizione con Tyrion, un uomo che ha a sua volta commesso moltissimi sbagli e messo in discussione tutto, facendo intendere che la donna non sta più ragionando sul suo operato, scivolando di pari passo verso la follia.

Da lì in poi Daenerys diventa un tutt'uno con Drogon, pura forza distruttiva, per questo la regia decide di non mostrarla più direttamente, ma di calare la macchina da presa tra le strade di Approdo del Re, per empatizzare con il popolo che subisce l'ira di Daenerys, documentando da un punto di vista ordinario la morte e la distruzione portate da colei che doveva essere la salvatrice di Westeros.

Recitazione

Nonostante uno sviluppo per nulla eccezionale dei personaggi nel corso dell'ottava stagione, gli interpreti rimangono l'anima dei protagonisti di Game of Thrones e non c'è dubbio che la serie HBO abbia uno dei migliori cast mai visti. Le loro performance sono senz'altro uno dei pregi di quest'ultima stagione, dove tutti gli archi narrativi giungono al loro termine.

Peter Dinklage è forse l'unico attore che è riuscito a mantenere con coerenza la dualità del personaggio di Tyrion Lannister tra le ferite interiori che lo lacerano e la lucidità del suo processo decisionale; in quest'ultima stagione non è stato da meno, dovendo riconsiderare il suo sostegno per Daenerys e guidare l'elezione di Bran alla guida dei Sei Regni. Anche Sophie Turner ha saputo mostrare con convincente tenacia la maturazione di Sansa Stark da ragazza frivola a Regina del Nord, mentre una delle interazioni di coppia più significative della stagione è stata quella tra Gwendoline Christie e Nikolaj Coster-Waldau, che hanno reso memorabile il rapporto tra Brienne di Tarth e Jaime Lannister.

Alfie Allen ha espresso il rimorso per le azioni di Theon Greyjoy e la volontà di riscatto di quest'ultimo in ogni inquadratura della quale è stato protagonista, mentre l'interpretazione di Lena Haedey ha eclissato la pessima e immeritata scrittura riservata al personaggio di Cersei Lannister.

Sebbene i personaggi più penalizzati per importanza siano proprio quelli di Jon Snow e Daenerys Tagaryen, sia Kit Harington che Emilia Clarke sono riusciti a infondere nuovo slancio ai rispettivi personaggi; il primo ha chiuso lo struggente destino di Jon giocando un ruolo fondamentale nella deposizione di Daenerys, dilaniato tra l'amore morboso e la consapevolezza della cosa giusta da fare, la seconda gestendo il brusco cambio di prospettiva della Regina dei Draghi al meglio delle proprie possibilità, in un ritratto che alterna fragilità, determinazione e follia.

Effetti speciali e comparto tecnico

L'ottava stagione di Game of Thrones avrà un sacco di difetti, ma non si può dire nulla del comparto tecnico che, nel corso delle precedenti stagioni, è stato oggetto di continui miglioramenti. L'aumento di budget derivato dal successo della serie ha permesso di elevare in maniera esponenziale anche la qualità degli effetti speciali, da sempre fondamentali e propedeutici alla sospensione dell'incredulità dello spettatore nel mondo creato da Martin.

In vista di una stagione finale nella quale si è allargata esponenzialmente la scala dell'azione e nella quale era fondamentale che anche l'effettistica seguisse di pari passo questo aumento, si è deciso di dilatare i tempi di post-produzione, appoggiandosi anche a pluripremiate realtà come la Weta Digital - la società neozelandese artefice degli effetti speciali de Il Signore degli Anelli e di Avatar - elevando la serie verso standard inediti nel panorama seriale contemporaneo e rendendo la visione di Game of Thrones una gioia per gli occhi.

Più in generale ogni reparto ha contribuito in maniera brillante al successo di quest'ultima stagione sul piano tecnico, dalla fotografia agli splendidi costumi, passando per la scenografia - e no, la tazza di Starbucks e la bottiglietta d'acqua non rientrano tra gli errori madornali - l'immane lavoro che si cela dietro la costruzione del mondo di Westeros ha fatto sì che quest'ultima stagione risultasse la più riuscita e la più bella da vedere. Peccato per i contenuti.

Game of Thrones - Stagione 8 “Game of Thrones” è una delle serie più amate di tutti i tempi e meritava decisamente un finale più ragionato e meno frettoloso. L’ottava ed ultima stagione ha alternato momenti memorabili, con una regia solida, ottime interpretazioni e una qualità tecnica eccelsa ad una scrittura scadente, sacrificando lo sviluppo dei personaggi alla fretta di giungere ai momenti topici del racconto, che hanno in gran parte perso il loro valore catartico per una eccessiva semplificazione della trama e di quelle linee narrative che avrebbero potuto garantire maggiore ricchezza e qualità alla serie. Il più grande peccato di Benioff e Weiss è stato pensare che la spettacolarizzazione di momenti attesi da anni potesse ripagare l’investimento degli spettatori in termini di tempo e di emozioni, restituendo invece la fastidiosa sensazione di avere assistito ad un meraviglioso quanto vuoto esercizio di stile.