Game of Thrones ha davvero cambiato la storia della serialità televisiva?

Ripercorriamo il viaggio di Game of Thrones dall'inizio della serie a oggi, per constatare come la serie abbia rivoluzionato ogni approccio.

Game of Thrones ha davvero cambiato la storia della serialità televisiva?
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Sono ormai 7 stagioni, a partire dal lontano 2011, che Game of Thrones ci tiene compagnia e che folle corsa è stata fin qui. Da Ned Stark a Oberyn Martell, da Joffrey Baratheon a Olenna Tyrell, quante morti incredibili - al punto di avere generato una serie di poster d'arte chiamati Beautiful Death - e quanti intrighi politici e amorosi abbiamo vissuto col fiato sospeso, a livelli che la tradizionale sigla di apertura di Xena non si immaginerebbe neppure. Game of Thrones ha cambiato le carte in tavola in moltissimi modi in questi ultimi sette anni e lo ha sempre fatto a modo suo, in maniera del tutto inattesa. Perché, tanto per cominciare, mai ci si sarebbe aspettati un successo così dirompente per una saga fantasy. Game of Thrones è sempre stata un racconto di fantasia, anche quando i draghi e gli eserciti di morti viventi erano una prospettiva sfocata e lontana. Sin dall'inizio abbiamo avuto a che fare con un reame enorme dalle caratteristiche bizzarre: stagioni climatiche dai cicli annuali, un grande continente con un enorme muro di ghiaccio ai confini estremi della civiltà al nord - sorvegliati per garantire protezione da chissà quale millenaria minaccia - e una lontana terra esotica, quasi orientaleggiante, ad est, con tanto di popolazione di guerrieri tribali dalle tradizioni più brutali.

Nessuno è al sicuro

Un mondo fuori canone abitato però da grandi casate medievali, composte da persone che serbano a vicenda odio, che difendono amori proibiti, che anelano a un potere inarrivabile. Il cuore del gioco del trono è sempre stato questo, molto di più delle creature mitologiche e delle ampolle di magico altofuoco: un grande "Beautiful" dai tratti medievaleggianti, intinto nel sangue e governato da un'unica grande regola, ovvero la possibilità della morte inattesa per (quasi) chiunque.

Perché se c'è una cosa che George Martin ci ha insegnato, con la sua canzone di ghiaccio e di fuoco, è che nessuno è al sicuro in questa danza di draghi e di corvi e ognuno dei personaggi può avere i giorni i contati. Lo shock delle nozze rosse e il suono scricchiolante del cranio del principe Oberyn che va in frantumi sono eventi che ricorderemo a lungo come rappresentativi di una serie che non ha mai temuto di osare, come non aveva tentato nessun altro. Volenti o nolenti, Il Trono di Spade ha cambiato le regole dello scrivere storie, mettendo in discussione l'importanza vitale per la storia anche dei personaggi più carismatici e meglio tratteggiati. Ed è nel fare questo che la serie ha cambiato anche il nostro modo di guardare a diversi tipi di opera, perché dopo tanti colpi di scena e tante morti truculente e impreviste, anche noi spettatori siamo oramai più difficili da impressionare, pronti a vedere ogni testa saltare, ogni cuore trafitto da un minuto all'altro.

Una nuova prospettiva?

Basti pensare alla settima stagione appena conclusa. È vero che si tratta di una delle stagioni dalla sceneggiatura più fallace, con alcuni personaggi come il carismatico Tyrion notevolmente appiattiti sullo sfondo, vittime anche di un apporto minore in fase di stesura da parte del vecchio Martin in persona. Eppure, concentrandosi un attimo sui cambiamenti drastici avvenuti, spesso è stata mossa la lamentela di una scarsa audacia nell'uccidere altri grandi nomi rimasti in gioco.

Eppure, a conti fatti, di personaggi di calibro ne sono venuti a mancare svariati nel corso dei 7 episodi più recenti. Fra la scorsa stagione e i primi episodi della settima, ad esempio, abbiamo visto estinguere l'intera famiglia Tyrell. Anche i rimasugli delle forze di Dorne sono stati massacrati, con le vipere della sabbia uccise brutalmente da Euron Greyjoy, eccetto una lasciata a morire avvelenata insieme a Ellaria Sand. Petyr Baelish è stato infine messo a tacere da Arya con una stilettata alla gola. Persino il padre e il fratello di Sam Tarly sono morti come "traditori" fra le fiamme di Drogon. Oltre la barriera ci hanno detto addio Thoros di Myr e Benjen Stark. E come dimenticare Viserion, colpito a morte dal Night King e diventato una marionetta putrescente fra le fila dell'esercito dei morti?

Quando il pubblico cambia percezione

Ne sono morti di personaggi grandi e piccoli, ma spesso non li abbiamo più nemmeno percepiti, perché in qualche modo eravamo ormai già pronti a vederli possibilmente andarsene all'improvviso. Game of Thrones ha la "colpa" di averci induriti di fronte alla morte fittizia, dopo che ha fatto fuori nel tempo dozzine di personaggi, al punto che ormai siamo talmente assetati di tutto ciò da avere bisogno di standard sempre più alti anche in termini di sorpresa e questo lo abbiamo sentito con forza proprio nella stagione passata, che aveva lo scomodo onere di portare a schermo eventi a lungo previsti.

Sapevamo che Jon a Daenerys avrebbero dovuto convergere in uno sviluppo delle vicende comune, sapevamo che i morti stavano arrivando e che avrebbero dovuto discutere tutti di come affrontarli ad un certo punto e sapevamo anche che si sarebbe dovuta chiarire la questione delle origini regali di Jon, ormai da tempo chiaramente erede di casa Targaryen, ma al contempo anche purosangue Stark. La prevedibilità della stagione ha gravato ulteriormente su una sceneggiatura goffa e sui copioni deboli, regalandoci una stagione tanto intensa quanto più povera di guizzi inattesi e di profondità dei personaggi come invece speravamo e ci aspettavamo. Il muro doveva cadere, lo sapevamo già, e che Daenerys potesse trovare il suo "felici e contenti" - se mai lo troverà - con accanto tutti e tre i suoi draghi era sempre meno possibile, quindi anche la morte di Viserion ci ha colti meno impreparati, pur rimanendo un momento estremamente triste.
Anche l'aspetto da telenovela della serie, se mi si passa l'espressione, è venuto fuori in maniera più grezza dai dialoghi e dalle scene, a questo giro spesso stesi in maniera frettolosa e poco convincente, al punto di farci rendere improvvisamente conto che il cuore delle vicende è proprio fatto di quei legami diversificati fra i personaggi, che però godono solitamente di un livello di dettaglio e di cura ben superiore.

Cosa ci aspetta il futuro

Aspettando l'ottava stagione, che non arriverà poi tanto presto, due sono le certezze insindacabili. Una è che da qui in poi, a differenza appunto di quanto accaduto attendendo la settima stagione, non sappiamo più cosa aspettarci. Qualunque cosa può accadere e non c'è modo di prevedere l'esito delle vicende di Westeros. Per quel che ne sappiamo potrebbero morire tutti e Game of Thrones potrebbe finire con una grande apocalisse zombie surgelata. Oppure Aegon e Daenerys potrebbero sconfiggere il Night King al costo delle proprie vite, lasciando il mondo nelle mani di Cersei - per quanto sia improbabile. Drogon e Rhaegal potrebbero morire o sopravvivere entrambi, così come il destino di Cersei e Jaime ormai non più limpido, anche se ci sono le teorie più disparate formulate in funzione della profezia della straga, che vorrebbe che Cersei non possa avere più dei figli che le sono stati promessi e che quindi debba necessariamente morire prima della fine della sua gravidanza. Tutto, o quasi, può essere.

L'altra sicurezza è che l'ultima stagione della serie prenderà una piega sensibilmente più fantasy che in passato. Abbiamo già visto sempre più creature leggendarie e bizzarrie magiche a schermo, ma l'ottava stagione dovrà mettere in campo al massimo draghi, zombie, draghi zombie, giganti non morti, estranei e chi più ne ha più ne metta. I draghi e il Night King saranno al centro delle vicende della conclusione della saga e l'atmosfera sarà più surreale che mai, specie in confronto alle prime stagioni in cui si respirava un'aria per lo più molto umana, con giusto qualche accenno di fantasia. I toni saranno molto più sovrannaturali e il tutto chiaramente prenderà una piega più da epica fantasy classica, ora che sappiamo che i soggetti della canzone di ghiaccio e fuoco sono Jon a Daenerys e che il tema della profezia di Azor Ahai è sempre più importante.

Sarà una storia di principi e principesse promesse e della guerra dell'umanità e dei draghi contro la morte forgiata con le sembianze di un esercito di cadaveri gelati. Il tutto è appunto un po' ironico pensando a quanto diversa era la serie ai suoi albori, specie agli occhi degli avventori più novelli del genere, che si sono appassionati proprio per gli sviluppi di trama molto da "telenovela". Ed è inutile negarlo, in prima battuta anche noi avvezzi al genere ci siamo legati alle vicende del trono proprio per via dei suoi intrighi e sotterfugi, molto di più che per le spade, le battaglie e le scene di sesso incensurate. Ad averci stregati è stato il carisma della serie e dei suoi personaggi caratteristici, ma anche della fine nel sangue di molti di essi. Di Game of Thrones ci è sempre piaciuto il suo essere fuori dagli schemi e il suo saperci sconvolgere anche quando pensavamo di sapere cosa ci aspettava. Ebbene, dinanzi alla ottava e ultima stagione, ancora una volta non sappiamo cosa ci aspetta.