In un mondo in cui le produzioni televisive si fanno sempre più vicine alla massima fruizione e l'imponenza cinematografica ha colonizzato il piccolo schermo, le serie italiane hanno sempre faticato a imporsi oltre il panorama delle fiction vecchio stampo. Col passare del tempo, tuttavia, investimenti di varia natura hanno portato alla nascita di progetti interessanti che potessero ampliare le prospettive e permettere di avvicinarsi a una vera cultura di genere.
In tal senso, Sky e la sua scommessa Gomorra - La serie rappresentano forse il primo vero esperimento riuscito; l'apice di un lungo percorso che ha consacrato il crime italiano, portandolo al successo planetario. Il successore spirituale (o meglio, la massima evoluzione) della serie su Romanzo Criminale può considerarsi inequivocabilmente l'opera televisiva più maestosa mai prodotta nel nostro paese. In attesa dell'ultima stagione di Gomorra, analizziamo il fenomeno seriale italiano, mentre i più curiosi dovranno consolarsi con il trailer di Gomorra 5.
Il perfetto connubio tra crime e drama
L'epopea delle famiglie criminali di Napoli, distribuita in oltre 190 paesi e inserita fra le 5 migliori produzioni tv internazionali dell'ultima decade dal New York Times, ha infranto ogni record in Italia per poi affacciarsi con prepotenza al mondo intero.
Forte di una chiara direzione dettata dalla sapiente mano di Stefano Sollima, lo show si è da subito mostrato come un'opera dal respiro internazionale: Gomorra, specialmente dopo l'omonimo film di Mattero Garrone, ha voluto ramificarsi e percorrere nuove strade sin dalle sue prime battute, rifiutando ogni sorta di compromesso in favore di un'autenticità che potesse dar vita al perfetto connubio tra crime e drama. L'adattamento televisivo del romanzo di Roberto Saviano ha presto raccolto consensi fino a divenire la serie più vista di sempre in Italia, un fenomeno insperato e - probabilmente - irripetibile. Sviscerare un'opera così complessa appare un compito assai difficile, ma doveroso. Prima di tutto perché Gomorra rientra fra quei prodotti che vanno "osservati" oltre la superficie e analizzati al di là del contesto rappresentato, per essere pienamente compresi.
Dopo quattro stagioni e un lungometraggio dedicato che hanno trascinato milioni di spettatori negli angoli più bui di Napoli, non si può certo restare indifferenti di fronte al lavoro compiuto da Sky e soci. Nel portare su schermo un dedalo narrativo che racconta con freddezza le faide tra camorristi, esplorando in maniera innovativa le dinamiche tra i personaggi coinvolti nelle vicende, la serie si eleva ben oltre la semplice rappresentazione criminale e le critiche alla possibile idolatria o alla cattiva morale.
Tra il sangue e il grigiore, Gomorra è l'opera che più di tutte è riuscita a imporsi perché non pone il crimine al centro del racconto, ma sfrutta le motivazioni e le intenzioni di chi si muove nella malavita per esplorare fino all'estremo le possibili derive del mezzo criminale. Un contrasto netto con le abitudini e le convenzionalità, volto a rappresentare una cupa nube di ombre e misfatti, una lunga discesa verso un inferno in cui, forse, non c'è più spazio neppure per i dannati.
Tra stile e sostanza
Il pretesto di Gomorra, seppur semplice nella sua concezione e già visto nelle sue potenziali dinamiche, cela dietro le proprie premesse un'articolata serie di elementi tenuti insieme da una struttura ferrea. Raccontando con uno stile inconfondibile le avventure e le disgrazie dei clan, per poi analizzare i particolari rapporti fra individui sull'orlo del baratro, l'occhio di Sollima e colleghi è riuscito a sfruttare ogni frammento di contenuto per porre Napoli al centro della scena.
Le conquiste dei Savastano, i dolori di Ciro Di Marzio, le battaglie di Sangueblu si configurano dunque come parti di una tragedia che si rivede molto nella tradizione drammaturgica e teatrale. Un complesso gioco di interazioni che vede l'onore e il desiderio come motore principale delle vicende. Il passaggio di testimone compiuto da Sollima dopo le prime stagioni non ha avuto particolare peso proprio perché Gomorra aveva ormai assunto i connotati e la risma di un kolossal: in funzione di quella continuità narrativa e stilistica che ha fatto le fortune dello show, la ribalta di registi come Claudio Cupellini e Francesca Comenicini si è posta con la giusta armonia, portando la narrazione addirittura a livelli superiori.
Le vette dell'industria si sono così ritrovate a passare per Scampia, Secondigliano e Forcella, con la quasi totalità delle proprie risorse (umane e non) reperite direttamente alla fonte. Non è un caso la convintissima scelta del dialetto locale come mezzo comunicativo, così come non dovrà sorprendere l'ascesa di star quali Salvatore Esposito e Marco D'Amore - con quest'ultimo che sarà anche regista di numerosi episodi della quinta stagione dopo il successo del film L'Immortale (qui la nostra recensione de L'Immortale).
Il cuore rivolto allo spettatore
L'intento ultimo di Gomorra, che si discosta decisamente dalla semplice epopea criminosa, è corale sin nella sua concezione e intende mostrarsi a chi osserva con la stessa decisione di chi lo realizza.
Alla base della serie si costruisce uno splendido tentativo di romanzo criminale, che però adotta sin da subito meccanismi di sottrazione ed elusione dall'idolatria: il risultato è infatti un progetto che intende sin da subito distaccarsi dal taglio pseudo-documentaristico delle precedenti rappresentazioni dell'opera di Saviano, ma lo fa per raccontare una storia ben lontana dalle ottiche celebrative che permetta allo spettatore di sentire nel profondo ogni scelta, amara o triste che sia, scegliendo liberamente in che misura condannarla. Si attua così un meccanismo avvolgente: nonostante Gomorra crei degli abissi tra ragione ed empatia attraverso le spire di disumanizzazione dei propri personaggi, questi risulteranno comunque profondamente umani nelle proprie reazioni.
Nel suo percorso attraverso le stagioni, la serie si evolve da un cupo realismo a una faida senza quartiere più tipica delle grandi odissee giapponesi, creando un vortice di antieroi in cui è estremamente difficile stabilire per chi parteggiare. Dietro Gomorra - La serienon risiede alcuna morale: la sfida tra il Bene e il Male non esiste, o se mai c'è stata ha finito per dissolversi presto fra le ombre dei palazzi della periferia napoletana. A colpire dritto al cuore è quindi un sentimento contorto, a metà tra l'estasi criminale e la folle catarsi del sentire umano.
Il lato oscuro della malavita
Realizzare una serie tv come Gomorra, specialmente mettendo in atto idee così forti, è stata una grandissima conquista. L'idea di giocare con lo spettatore, affascinandolo con personaggi intriganti per poi sconvolgerlo quando questi sono portati a compiere azioni riprovevoli, ha rappresentato una novità assoluta in Italia. Forte di una direzione chiara e di una produzione internazionale che non sembra essersi mai lasciata scalfire da diatribe etiche o morali, lo show ha potuto percorrere la propria strada in autonomia mettendo in luce il lato oscuro del Belpaese nella sua dimensione più tenebrosa e disillusa.
I criminali di Gomorra non sono altro che dannati, braccio armato di vicende inquietantemente verosimili, capro espiatorio di un conflitto eterno e inevitabile. Napoli piange i suoi figli, rigettando il proprio livore e le proprie disgrazie come catrame sull'oceano. Nella sua evoluzione da spaccato realista a epopea evolutiva, sono proprio i volti della serie a rappresentare questo sviluppo viscerale: il meccanismo di detrazione finisce così per rompersi con le ultime stagioni, legandosi saldamente al cuore dello spettatore con tentacoli di pura forza narrativa.
I personaggi di Gomorra rimangono limpidi riferimenti agli occhi di chi ricorda, e probabilmente rimarranno tali anche a ciclo compiuto, perché si mostrano sempre incredibilmente umani dinanzi al proprio fato. Dietro la facciata di un'esistenza criminale si nascondono caratteri e vite alla deriva, anime perdute che incarnano ogni fragilità umana. Come nell'epica più celebre, anche Gomorra finisce per ruotare intorno a un perpetuo dualismo di amore, odio e indissolubile fratellanza.
Un ultimo viaggio
Gomorra - La serie è piaciuta perché è stata assolutamente vera, elevandosi ben oltre la controparte editoriale o quella filmica. Non c'è mai stato alcun intento nascosto oltre quello di raccontare: raccontare Napoli, raccontare l'eterna danza tra vita e rinascita nella città che più di molte altre ha rispettato e tenuto a bada la Morte.
Il brano principale della colonna sonora dei Mokadelic, "Doomed to Live", incarna l'eco perpetuo di chi si trova incastrato nella propria dannazione. A chiedersi cosa potrebbe succedere una volta che i malcapitati si troveranno svuotati di ogni barlume, risponderanno gli sguardi delle due principali vittime di questi contrasti. Gennaro e Ciro, tanto intrecciati fra loro quanto opposti, rispecchiano nella loro fratellanza il conflitto di chi si trova condannato ad accarezzare i frammenti della propria esistenza mentre tutto il resto vacilla e crolla. Il primo, simbolo della carogna che si fa leone nella conquista, non si è ancora fermato dal correre sul ciglio del baratro; il secondo, eroe della sventura e novello angelo della morte, ha trovato invece la sua sintesi in una moderna incarnazione dello Iago shakespeariano.
Entrambi esausti e senza possibilità di redenzione, i gemelli diversi di Gomorra esplorano i meandri più oscuri del triste mare dei rapporti umani, mentre la serie si prepara alle fasi finali della sua corsa. Sono gli ultimi passi a lasciare col fiato sospeso, a spaventare e a sedurre, ma siamo certi che la fine del viaggio porterà a un'eredità indelebile: due figli di Napoli, destinati a guardarsi in eterno e a incrociarsi per sempre aspettando "la fine del giorno".
Gomorra: l'eredità della serie italiana più importante nel mondo
In attesa della sua stagione finale, analizziamo insieme il percorso e l'eredità della più grande produzione italiana del piccolo schermo, Gomorra.
In un mondo in cui le produzioni televisive si fanno sempre più vicine alla massima fruizione e l'imponenza cinematografica ha colonizzato il piccolo schermo, le serie italiane hanno sempre faticato a imporsi oltre il panorama delle fiction vecchio stampo. Col passare del tempo, tuttavia, investimenti di varia natura hanno portato alla nascita di progetti interessanti che potessero ampliare le prospettive e permettere di avvicinarsi a una vera cultura di genere.
In tal senso, Sky e la sua scommessa Gomorra - La serie rappresentano forse il primo vero esperimento riuscito; l'apice di un lungo percorso che ha consacrato il crime italiano, portandolo al successo planetario. Il successore spirituale (o meglio, la massima evoluzione) della serie su Romanzo Criminale può considerarsi inequivocabilmente l'opera televisiva più maestosa mai prodotta nel nostro paese. In attesa dell'ultima stagione di Gomorra, analizziamo il fenomeno seriale italiano, mentre i più curiosi dovranno consolarsi con il trailer di Gomorra 5.
Il perfetto connubio tra crime e drama
L'epopea delle famiglie criminali di Napoli, distribuita in oltre 190 paesi e inserita fra le 5 migliori produzioni tv internazionali dell'ultima decade dal New York Times, ha infranto ogni record in Italia per poi affacciarsi con prepotenza al mondo intero.
Forte di una chiara direzione dettata dalla sapiente mano di Stefano Sollima, lo show si è da subito mostrato come un'opera dal respiro internazionale: Gomorra, specialmente dopo l'omonimo film di Mattero Garrone, ha voluto ramificarsi e percorrere nuove strade sin dalle sue prime battute, rifiutando ogni sorta di compromesso in favore di un'autenticità che potesse dar vita al perfetto connubio tra crime e drama. L'adattamento televisivo del romanzo di Roberto Saviano ha presto raccolto consensi fino a divenire la serie più vista di sempre in Italia, un fenomeno insperato e - probabilmente - irripetibile. Sviscerare un'opera così complessa appare un compito assai difficile, ma doveroso. Prima di tutto perché Gomorra rientra fra quei prodotti che vanno "osservati" oltre la superficie e analizzati al di là del contesto rappresentato, per essere pienamente compresi.
Dopo quattro stagioni e un lungometraggio dedicato che hanno trascinato milioni di spettatori negli angoli più bui di Napoli, non si può certo restare indifferenti di fronte al lavoro compiuto da Sky e soci. Nel portare su schermo un dedalo narrativo che racconta con freddezza le faide tra camorristi, esplorando in maniera innovativa le dinamiche tra i personaggi coinvolti nelle vicende, la serie si eleva ben oltre la semplice rappresentazione criminale e le critiche alla possibile idolatria o alla cattiva morale.
Tra il sangue e il grigiore, Gomorra è l'opera che più di tutte è riuscita a imporsi perché non pone il crimine al centro del racconto, ma sfrutta le motivazioni e le intenzioni di chi si muove nella malavita per esplorare fino all'estremo le possibili derive del mezzo criminale. Un contrasto netto con le abitudini e le convenzionalità, volto a rappresentare una cupa nube di ombre e misfatti, una lunga discesa verso un inferno in cui, forse, non c'è più spazio neppure per i dannati.
Tra stile e sostanza
Il pretesto di Gomorra, seppur semplice nella sua concezione e già visto nelle sue potenziali dinamiche, cela dietro le proprie premesse un'articolata serie di elementi tenuti insieme da una struttura ferrea. Raccontando con uno stile inconfondibile le avventure e le disgrazie dei clan, per poi analizzare i particolari rapporti fra individui sull'orlo del baratro, l'occhio di Sollima e colleghi è riuscito a sfruttare ogni frammento di contenuto per porre Napoli al centro della scena.
Le conquiste dei Savastano, i dolori di Ciro Di Marzio, le battaglie di Sangueblu si configurano dunque come parti di una tragedia che si rivede molto nella tradizione drammaturgica e teatrale. Un complesso gioco di interazioni che vede l'onore e il desiderio come motore principale delle vicende. Il passaggio di testimone compiuto da Sollima dopo le prime stagioni non ha avuto particolare peso proprio perché Gomorra aveva ormai assunto i connotati e la risma di un kolossal: in funzione di quella continuità narrativa e stilistica che ha fatto le fortune dello show, la ribalta di registi come Claudio Cupellini e Francesca Comenicini si è posta con la giusta armonia, portando la narrazione addirittura a livelli superiori.
Le vette dell'industria si sono così ritrovate a passare per Scampia, Secondigliano e Forcella, con la quasi totalità delle proprie risorse (umane e non) reperite direttamente alla fonte. Non è un caso la convintissima scelta del dialetto locale come mezzo comunicativo, così come non dovrà sorprendere l'ascesa di star quali Salvatore Esposito e Marco D'Amore - con quest'ultimo che sarà anche regista di numerosi episodi della quinta stagione dopo il successo del film L'Immortale (qui la nostra recensione de L'Immortale).
Il cuore rivolto allo spettatore
L'intento ultimo di Gomorra, che si discosta decisamente dalla semplice epopea criminosa, è corale sin nella sua concezione e intende mostrarsi a chi osserva con la stessa decisione di chi lo realizza.
Alla base della serie si costruisce uno splendido tentativo di romanzo criminale, che però adotta sin da subito meccanismi di sottrazione ed elusione dall'idolatria: il risultato è infatti un progetto che intende sin da subito distaccarsi dal taglio pseudo-documentaristico delle precedenti rappresentazioni dell'opera di Saviano, ma lo fa per raccontare una storia ben lontana dalle ottiche celebrative che permetta allo spettatore di sentire nel profondo ogni scelta, amara o triste che sia, scegliendo liberamente in che misura condannarla. Si attua così un meccanismo avvolgente: nonostante Gomorra crei degli abissi tra ragione ed empatia attraverso le spire di disumanizzazione dei propri personaggi, questi risulteranno comunque profondamente umani nelle proprie reazioni.
Nel suo percorso attraverso le stagioni, la serie si evolve da un cupo realismo a una faida senza quartiere più tipica delle grandi odissee giapponesi, creando un vortice di antieroi in cui è estremamente difficile stabilire per chi parteggiare. Dietro Gomorra - La serie non risiede alcuna morale: la sfida tra il Bene e il Male non esiste, o se mai c'è stata ha finito per dissolversi presto fra le ombre dei palazzi della periferia napoletana. A colpire dritto al cuore è quindi un sentimento contorto, a metà tra l'estasi criminale e la folle catarsi del sentire umano.
Il lato oscuro della malavita
Realizzare una serie tv come Gomorra, specialmente mettendo in atto idee così forti, è stata una grandissima conquista. L'idea di giocare con lo spettatore, affascinandolo con personaggi intriganti per poi sconvolgerlo quando questi sono portati a compiere azioni riprovevoli, ha rappresentato una novità assoluta in Italia. Forte di una direzione chiara e di una produzione internazionale che non sembra essersi mai lasciata scalfire da diatribe etiche o morali, lo show ha potuto percorrere la propria strada in autonomia mettendo in luce il lato oscuro del Belpaese nella sua dimensione più tenebrosa e disillusa.
I criminali di Gomorra non sono altro che dannati, braccio armato di vicende inquietantemente verosimili, capro espiatorio di un conflitto eterno e inevitabile. Napoli piange i suoi figli, rigettando il proprio livore e le proprie disgrazie come catrame sull'oceano. Nella sua evoluzione da spaccato realista a epopea evolutiva, sono proprio i volti della serie a rappresentare questo sviluppo viscerale: il meccanismo di detrazione finisce così per rompersi con le ultime stagioni, legandosi saldamente al cuore dello spettatore con tentacoli di pura forza narrativa.
I personaggi di Gomorra rimangono limpidi riferimenti agli occhi di chi ricorda, e probabilmente rimarranno tali anche a ciclo compiuto, perché si mostrano sempre incredibilmente umani dinanzi al proprio fato. Dietro la facciata di un'esistenza criminale si nascondono caratteri e vite alla deriva, anime perdute che incarnano ogni fragilità umana. Come nell'epica più celebre, anche Gomorra finisce per ruotare intorno a un perpetuo dualismo di amore, odio e indissolubile fratellanza.
Un ultimo viaggio
Gomorra - La serie è piaciuta perché è stata assolutamente vera, elevandosi ben oltre la controparte editoriale o quella filmica. Non c'è mai stato alcun intento nascosto oltre quello di raccontare: raccontare Napoli, raccontare l'eterna danza tra vita e rinascita nella città che più di molte altre ha rispettato e tenuto a bada la Morte.
Il brano principale della colonna sonora dei Mokadelic, "Doomed to Live", incarna l'eco perpetuo di chi si trova incastrato nella propria dannazione. A chiedersi cosa potrebbe succedere una volta che i malcapitati si troveranno svuotati di ogni barlume, risponderanno gli sguardi delle due principali vittime di questi contrasti. Gennaro e Ciro, tanto intrecciati fra loro quanto opposti, rispecchiano nella loro fratellanza il conflitto di chi si trova condannato ad accarezzare i frammenti della propria esistenza mentre tutto il resto vacilla e crolla. Il primo, simbolo della carogna che si fa leone nella conquista, non si è ancora fermato dal correre sul ciglio del baratro; il secondo, eroe della sventura e novello angelo della morte, ha trovato invece la sua sintesi in una moderna incarnazione dello Iago shakespeariano.
Entrambi esausti e senza possibilità di redenzione, i gemelli diversi di Gomorra esplorano i meandri più oscuri del triste mare dei rapporti umani, mentre la serie si prepara alle fasi finali della sua corsa. Sono gli ultimi passi a lasciare col fiato sospeso, a spaventare e a sedurre, ma siamo certi che la fine del viaggio porterà a un'eredità indelebile: due figli di Napoli, destinati a guardarsi in eterno e a incrociarsi per sempre aspettando "la fine del giorno".
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