Nanette di Hannah Gadsby: lo speciale comico che ci rende migliori
L'ultimo speciale comico di Hannah Gadsby, su Netflix, affronta con intelligenza e ironia temi complicati come l'omofobia, il sessismo e la salute mentale.
Nel 2017 Hannah Gadsby, comica australiana, annuncia di voler abbandonare la stand-up comedy dopo più di dieci anni di carriera; una carriera brillante, fatta di almeno uno spettacolo all'anno (molti pluripremiati), speciali sulla storia dell'arte (in cui è laureata), e apparizioni in serie TV (in particolare Please Like Me, di cui è stata anche autrice). Perché allora decidere di smettere proprio quando è all'apice del successo? Lo spiega nel suo nuovo speciale Netflix Nanette. Ironicamente, questo è sia lo spettacolo che l'ha fatta conoscere al grande pubblico internazionale, sia il punto di non ritorno nella sua carriera da stand-up comedian: Hannah Gadsby infatti, oltre a mettersi a nudo e rivelare le sue personali difficoltà con questo tipo di intrattenimento, lo decostruisce completamente, esponendone il funzionamento, raccontando come si costruisce una battuta, spiegando al pubblico come e perché sta ridendo. E perché, forse, non dovrebbe ridere. In questo senso lo spettacolo ha dei punti in contatto con un altro speciale Netflix, Make Happy di Bo Burnham, il ‘comedy special' che aveva fatto piangere tutti. Anche quello era un addio, anche quello è uno spettacolo personale in cui la persona comica lascia spazio alla vulnerabilità dell'individuo, che così rompe l'illusione e rompe le regole dello stesso mezzo che l'ha reso famoso. Nanette è tutto questo, ma anche molto di più.
Un inizio tradizionale
Gadsby inizia lo spettacolo in maniera tradizionale, cominciando a spiegare perché abbia scelto proprio questo nome come titolo. La spiegazione, però, non arriverà mai: attraverso una serie di digressioni, storia dopo storia e battuta dopo battuta, lo spettacolo si sviluppa in maniera organica diventando, alla fine, una confessione personale e un mezzo potente di denuncia sociale. Hannah Gadsby usa infatti la sua stessa storia, e soprattutto la sua esperienza da donna e da omosessuale, per far riflettere il pubblico su omofobia, sessismo, abuso di potere e salute mentale. Se, nella prima metà di Nanette, tutti questi temi sono esplorati in modo ironico e dolceamaro, come sempre nella sua carriera, a un certo punto lo spettacolo prende una piega più seria e riflessiva quando Gadsby inizia ad affrontare un discorso sul perché ha deciso si smettere con la stand-up comedy. La ragione, dice, è che trasformando le sue esperienze più traumatiche (il coming out, l'omofobia, i problemi di salute mentale) in battute, e usando la comicità come terapia, non si è data il tempo di rifletterci, non le ha trattate con la serietà che meritavano. Quasi esattamente a metà, così, Nanette finisce e ricomincia.
La decostruzione di una battuta
"Le battute hanno due parti", ci spiega, "un inizio e una parte centrale. Le storie ne hanno tre, inizio, centro, e fine". Questo diventa lo spartiacque, lo specchio che permette ad Hannah Gadsby di raccontare tutte le storie che nella prima metà dello spettacolo aveva troncato a metà per far sì che facessero ridere, e svelarne invece le conseguenze, inclusi i retroscena più complicati e traumatici. Gli ultimi trenta minuti di Nanette sono la storia di una donna vulnerabile, che fa uso di questa vulnerabilità e della sua esperienza per invitare alla riflessione. Mettendo da parte la struttura della comicità, Hannah Gadsby si permette di parlare liberamente, di lasciare che l'emozione e la rabbia prendano il controllo della sua voce. Una delle transizioni più riuscite è quella in cui, partendo da una discussione sulla storia dell'arte e sulla rappresentazione delle donne, si sofferma su Picasso: Picasso che ha inventato il cubismo, sì, ma che ha anche avuto rapporti sessuali con una minorenne e che era apertamente misogino. "La sua malattia mentale", dice Gadsby, "era la misoginia". Da qui parte una denuncia senza mezzi termini e senza censure di Trump, Weinstein, Allen e Polanski, e dei danni che la misoginia e l'abuso di potere hanno fatto e fanno ogni giorno. Hannah Gadsby allora si rivolge direttamente agli uomini nella stanza, racconta a loro la sua storia, i suoi traumi, la sua rabbia. Chiede loro di rimboccarsi le maniche, ma soprattutto chiede di essere ascoltata. Chiede che alla sua storia venga dato il valore che merita.
Persone migliori
Nanette non è solo un'analisi lucidissima e spietata dei tempi che stiamo vivendo, non è solo una riflessione sull'importanza dell'arte e della pluralità di prospettive; è soprattutto un invito potente e commovente all'empatia. A un certo punto, parlando della reputazione di basso livello che ha la commedia a confronto con arti come il teatro e la danza classica, Hannah Gadsby dice "questa è commedia, è di basso livello: nessuno di voi se ne andrà di qui essendo diventato una persona migliore". Forse, invece, sì.
Nanette di Hannah Gadsby: lo speciale comico che ci rende migliori
L'ultimo speciale comico di Hannah Gadsby, su Netflix, affronta con intelligenza e ironia temi complicati come l'omofobia, il sessismo e la salute mentale.
Nel 2017 Hannah Gadsby, comica australiana, annuncia di voler abbandonare la stand-up comedy dopo più di dieci anni di carriera; una carriera brillante, fatta di almeno uno spettacolo all'anno (molti pluripremiati), speciali sulla storia dell'arte (in cui è laureata), e apparizioni in serie TV (in particolare Please Like Me, di cui è stata anche autrice). Perché allora decidere di smettere proprio quando è all'apice del successo? Lo spiega nel suo nuovo speciale Netflix Nanette. Ironicamente, questo è sia lo spettacolo che l'ha fatta conoscere al grande pubblico internazionale, sia il punto di non ritorno nella sua carriera da stand-up comedian: Hannah Gadsby infatti, oltre a mettersi a nudo e rivelare le sue personali difficoltà con questo tipo di intrattenimento, lo decostruisce completamente, esponendone il funzionamento, raccontando come si costruisce una battuta, spiegando al pubblico come e perché sta ridendo. E perché, forse, non dovrebbe ridere. In questo senso lo spettacolo ha dei punti in contatto con un altro speciale Netflix, Make Happy di Bo Burnham, il ‘comedy special' che aveva fatto piangere tutti. Anche quello era un addio, anche quello è uno spettacolo personale in cui la persona comica lascia spazio alla vulnerabilità dell'individuo, che così rompe l'illusione e rompe le regole dello stesso mezzo che l'ha reso famoso. Nanette è tutto questo, ma anche molto di più.
Un inizio tradizionale
Gadsby inizia lo spettacolo in maniera tradizionale, cominciando a spiegare perché abbia scelto proprio questo nome come titolo. La spiegazione, però, non arriverà mai: attraverso una serie di digressioni, storia dopo storia e battuta dopo battuta, lo spettacolo si sviluppa in maniera organica diventando, alla fine, una confessione personale e un mezzo potente di denuncia sociale. Hannah Gadsby usa infatti la sua stessa storia, e soprattutto la sua esperienza da donna e da omosessuale, per far riflettere il pubblico su omofobia, sessismo, abuso di potere e salute mentale. Se, nella prima metà di Nanette, tutti questi temi sono esplorati in modo ironico e dolceamaro, come sempre nella sua carriera, a un certo punto lo spettacolo prende una piega più seria e riflessiva quando Gadsby inizia ad affrontare un discorso sul perché ha deciso si smettere con la stand-up comedy. La ragione, dice, è che trasformando le sue esperienze più traumatiche (il coming out, l'omofobia, i problemi di salute mentale) in battute, e usando la comicità come terapia, non si è data il tempo di rifletterci, non le ha trattate con la serietà che meritavano. Quasi esattamente a metà, così, Nanette finisce e ricomincia.
La decostruzione di una battuta
"Le battute hanno due parti", ci spiega, "un inizio e una parte centrale. Le storie ne hanno tre, inizio, centro, e fine". Questo diventa lo spartiacque, lo specchio che permette ad Hannah Gadsby di raccontare tutte le storie che nella prima metà dello spettacolo aveva troncato a metà per far sì che facessero ridere, e svelarne invece le conseguenze, inclusi i retroscena più complicati e traumatici. Gli ultimi trenta minuti di Nanette sono la storia di una donna vulnerabile, che fa uso di questa vulnerabilità e della sua esperienza per invitare alla riflessione. Mettendo da parte la struttura della comicità, Hannah Gadsby si permette di parlare liberamente, di lasciare che l'emozione e la rabbia prendano il controllo della sua voce. Una delle transizioni più riuscite è quella in cui, partendo da una discussione sulla storia dell'arte e sulla rappresentazione delle donne, si sofferma su Picasso: Picasso che ha inventato il cubismo, sì, ma che ha anche avuto rapporti sessuali con una minorenne e che era apertamente misogino. "La sua malattia mentale", dice Gadsby, "era la misoginia". Da qui parte una denuncia senza mezzi termini e senza censure di Trump, Weinstein, Allen e Polanski, e dei danni che la misoginia e l'abuso di potere hanno fatto e fanno ogni giorno. Hannah Gadsby allora si rivolge direttamente agli uomini nella stanza, racconta a loro la sua storia, i suoi traumi, la sua rabbia. Chiede loro di rimboccarsi le maniche, ma soprattutto chiede di essere ascoltata. Chiede che alla sua storia venga dato il valore che merita.
Persone migliori
Nanette non è solo un'analisi lucidissima e spietata dei tempi che stiamo vivendo, non è solo una riflessione sull'importanza dell'arte e della pluralità di prospettive; è soprattutto un invito potente e commovente all'empatia. A un certo punto, parlando della reputazione di basso livello che ha la commedia a confronto con arti come il teatro e la danza classica, Hannah Gadsby dice "questa è commedia, è di basso livello: nessuno di voi se ne andrà di qui essendo diventato una persona migliore". Forse, invece, sì.