Resident Evil: cosa non ha funzionato nello show Netflix

Sono numerose le imprecisioni che hanno affossato la serie tv, partendo dalla sceneggiatura per arrivare all'utilizzo del contesto creato da Capcom.

Resident Evil: cosa non ha funzionato nello show Netflix
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I cattivi presagi che si erano addensati come nuvole oscure sull'orizzonte nel momento dell'ufficialità del progetto si sono purtroppo rivelati veritieri, perché la serie tv Netflix di Resident Evil non è riuscita a rendere onore ad una delle saghe videoludiche più apprezzate dal pubblico, inserendosi nello sconfortante filone nel quale sono caduti quasi tutti gli adattamenti cinematografici dell'opera Capcom. Lo show creato da Andrew Dabb puntava a rinvigorire un ordito narrativo complesso (forse fin troppo complesso) inserendolo in un formato seriale a tema horror, ma le difficoltà narrative si sono accoppiate ad una realizzazione tecnica non impeccabile, le quali hanno reso quest'opera un malriuscito miscuglio di generi diversi, come vi abbiamo già detto nella nostra recensione di Resident Evil. Analizziamo nel dettaglio le caratteristiche negative di un prodotto che aveva del potenziale per essere godibile, crollato sotto il peso di una mancata solidità manifestatasi con la triste serie disponibile tra i titoli Netflix di luglio 2022.

Sceneggiatura inconcludente

Nella scrittura va ricercato il primo motivo di incompiutezza per la serie tv, perché essa è macchiata da una superficialità grossolana che non ci saremmo aspettati da un prodotto così celebrato in fase di presentazione.

Lo show di Netflix utilizza il format delle otto puntate da quasi un'ora per raccontare una storia poco coinvolgente, persa negli stereotipi di due scenari molto distanti dal materiale originale firmato Capcom: nella linea contemporanea del racconto la serie è una sorta di dramma adolescenziale, lento e monotono, mentre nel 2036 il mondo post-apocalittico descritto dagli sceneggiatori è anonimo e privo di quel senso di pericolo costante che dovrebbe pervadere ogni sopravvissuto all'apocalisse zombie. Assistere all'inserimento delle giovani Wesker nella socialità di una nuova scuola non è esattamente la visione orrorifica che ci aspettavamo, anche perché il racconto non brilla per trovate originali nemmeno quando nel contesto narrativo rientrano gli oscuri esperimenti condotti dalla Umbrella, mentre le svolte che accompagnano la Jade del futuro piombano nei classici stilemi di un film di sopravvivenza qualsiasi, tra navi cargo adibite a rifugio e culti religiosi che inventano nuovi modi per approcciare l'epidemia zombie. Alla scialba monotonia dello svolgimento si accoppia l'inconcludenza generale della trama, la quale non trova un senso compiuto alla sua storia nemmeno dopo otto ore di visione, rendendo pretestuosa la scelta delle due linee temporali separate, in quanto avrebbe avuto un significato solamente se al termine del racconto le due si fossero ricollegate tra di loro dando vita ad una narrazione uniforme.

Impianto visivo misero

Gli appassionati di Resident Evil sono già abituati a trame contorte e poco realistiche, le quali - soprattutto all'interno della trilogia action che ha seguito i primi capitoli maggiormente votati all'horror - scricchiolavano anche sul piano del ritmo e della passione, per questo avremmo volentieri chiuso un occhio sull'ordito se lo stesso fosse stato accompagnato da una realizzazione materiale emozionante e carica di tensione.

Purtroppo lo show Netflix scivola anche sul fronte della messinscena, con scenografie votate al risparmio che ricreano luoghi davvero poco credibili, afflitti da una sensazione allarmante di posticcio e falsità molto difficile da scrollare via dagli occhi. L'aspetto degli zombie è convincente, oltre ad essere originale ed inaspettato, ma le scene con i non morti vengono sacrificate per assecondare la presenza di creature gigantesche, le quali non solo vengono proposte sullo schermo da una computer grafica incapace di restare impressa, ma non hanno alcuna motivazione narrativa di esistere, venendo piazzati sui campi di battaglia per il puro gusto di mostrarli. Con il senno di poi concentrarsi sulle orde di non morti avrebbe giovato alla riuscita tecnica del prodotto, eliminando dall'equazione una CGI che esige un costo elevatissimo e non alla portata di tutte le produzioni, obbligando così gli sceneggiatori ad orchestrare scene d'azione dal maggior impatto emotivo senza permettergli di rifugiarsi nell'apparente semplicità di mostri colossali.

Il rispetto per il materiale originale

Creature terrificanti e gigantesche sono presenti in abbondanza anche nell'opera videogiocata di Capcom, ma al centro dello spettacolo è sempre rimasto il classico zombie (nella forma più riconoscibile oppure in quella dei Ganados e dei Lycan di Resident Evil 4 e Village), e questo spostare l'attenzione dall'iconico avversario è solo una delle incongruenze tra la serie Netflix e il materiale originale.

Lo sceneggiatore Andrew Dabb ci ha tenuto a precisare come la trama dello show dia per scontati gli eventi della saga creata da Shinji Mikami - trovate qui i collegamenti tra il Resident Evil di Netflix ed i videogiochi - ma gli stessi vengono calati senza particolare convinzione all'interno della narrazione seriale, tra pigri rimandi e citazioni evidenti, non riuscendo a creare un solido spaccato all'interno di una trama complessa che continua ad evolversi anche dopo quel primo capitolo datato 1996.

L'inserimento di un redivivo Albert Wesker è l'esempio più lampante di come lo show cerchi di accalappiare gli appassionati della serie utilizzando i personaggi resi iconici dai videogiochi, senza però rispettare il contesto narrativo già ordito dai titoli precedenti perché la spiegazione che giustifica la sua presenza è grossolana e infantile, pur mettendo in conto gli standard esagerati ai quali ci ha abituato la saga Capcom, ma anche la Umbrella vista nello spettacolo Netflix è una parente lontanissima della terribile organizzazione che utilizzava un'intera città ai propri scopi di ricerca.

L'impianto narrativo soffre di una povertà inventiva sconfortante, e non è sufficiente gettare sulla scena il nome di un personaggio amato né orchestrare una sparatoria con i Licker per soddisfare i fan di una serie che, seppur tra i suoi alti e bassi, ha sempre garantito uno spettacolo adrenalinico a supporto di una trama solida, anche quando si dimostrava eccessiva e poco realistica come nei capitoli successivi al terzo.