La piattaforma streaming targata Amazon ha inserito a catalogo tutti gli episodi di Sherlock, la serie britannica partorita dalle menti di Stephen Moffat e Mark Gatiss (ma non perdetevi anche le serie Amazon Prime Video di aprile 2022). La rivisitazione in chiave moderna dei racconti di Sir Arthur Conan Doyle ha segnato la storia recente del medium grazie alla sua struttura originale e al suo stile inconfondibile, piazzandosi al primo posto fra le produzioni più viste di sempre su BBC. Un successo planetario, capace di imprimere la propria impronta nell'immaginario collettivo in quattro stagioni, uno speciale cinematografico e innumerevoli progetti lanciati da e per i fan.
Mostrando con ciascuna puntata dei veri e propri film per la tv, esaltati da regia e cast di prim'ordine, gli showrunner sono riusciti nel delicato intento di riportare in auge un'opera tanto amata ponendola però sotto una luce completamente nuova. Sherlock è infatti un prodotto che si discosta rapidamente dai canoni della classica rivisitazione, giocando astutamente con rimandi e riletture senza mai stonare neanche agli occhi dei puristi. Lo show che ha portato alla ribalta Benedict Cumberbatch e Martin Freeman è stata a tutti gli effetti un fenomeno televisivo in grado di fidelizzare il pubblico non solo per i propri personaggi, ma soprattutto per il suo approccio nei confronti dello spettatore.
Un salto verso la modernità
Raccontando quindi il genio del 221B di Baker Street, tra casi ed eventi sempre più rocamboleschi, Sherlock ha permesso al pubblico di eviscerare nel dettaglio la psiche e la natura di un super uomo, partendo dal rispetto delle opere di Conan Doyle per approfondire rapporti e legami senza tempo.
Ciò ha contribuito a rendere nuovamente indelebile il classico duo, portandolo dalla letteratura al piccolo schermo: un individuo che, attraverso il suo incredibile intuito, riesce sempre a trovare il bandolo della matassa e a risolvere casi complessi insieme al fedele amico John Watson. Osserviamo più nel dettaglio gli elementi che hanno reso la serie di Moffat e Gatiss un cult moderno. Non è un segreto che Holmes e Watson rappresentino il più emblematico duo di detective della cultura moderna. Del resto, è proprio grazie ai protagonisti creati dall'autore britannico che l'archetipo del genio deduttivo ha ottenuto maggior fama. Ciò ha permesso anche, nel tempo, di vedere innumerevoli rappresentazioni del personaggio e decine di tentativi di trasposizione su un altro medium. Conquistare quindi il proprio posto all'interno di un contesto colmo di potenziali confronti rischiava già in partenza di essere un'impresa assai complessa. Bastano pochi istanti, però, per realizzare come gli showrunner abbiano sin da subito centrato il punto focale sul quale concentrare la propria attenzione.
Sherlock non è affatto un adattamento fedele all'originale, o almeno non lo è nel suo risultato finale. Eppure il suo linguaggio diventa universale e imponente perché, mai prima di allora, era stata concessa un'osservazione così diretta della mente di Holmes. Anzi, in questo caso ogni cambiamento si rivela utile a favorire un punto di vista più ampio, un coinvolgimento maggiore o una caratterizzazione più approfondita di figure solitamente destinate al ruolo di comparse. La prima, solida base su cui si poggia la modernizzazione adoperata dalla serie si concentra proprio sul modellare in maniera innovativa i criteri di raffigurazione dei personaggi: Sherlock è un fuori dal suo tempo, sia per la sua genialità, sia per il suo carattere, specialmente nel caotico mondo della Londra odierna.
Allontanandosi quindi dalle fumose atmosfere vittoriane di fine '800, Moffat e Gatiss accolgono il pubblico in un contesto assai familiare, esaltato da dettagli e abitudini che strizzano l'occhio alle opere di costume. Guardando un episodio dello show si può a tutti gli effetti respirare aria inglese da ogni particolare, immergendosi immediatamente nel contesto in cui si trovano i protagonisti. Questi ultimi, alle prese con problemi e crimini ben più attuali delle opere di riferimento, vivono quindi storie slegate ma parallele ai grandi casi resi iconici dai romanzi di Doyle, e riescono per questo a godere di approfondimenti fino ad allora insperati. Al di là del maggior spessore conferito ai volti del programma, va poi menzionato il vero elemento rivoluzionario che Sherlock è riuscito a sfruttare per ottenere il proprio successo: lo stile espositivo.
Entrare nella testa del genio, come accennato in precedenza, è di vitale importanza per garantire l'efficacia di un'opera che intende avvicinare più che mai lo sguardo dello spettatore alla psiche di un individuo alle prese con problemi di contorta natura e di difficile soluzione. Nessuno prima di Sherlock era riuscito a esporre in maniera così trasparente il pensiero di un personaggio inserito in un thriller o un crime drama. In questo, proprio le nuove tecniche narrative hanno permesso alla serie di portare su schermo ogni singola analisi attraverso la metanarrazione e il visual storytelling. Sovrapponendo elementi testuali a quelli visivi, o sfruttando giochi registici e particolari transizioni durante l'analisi di una scena del crimine, il surrealismo permette a chi osserva di empatizzare con Holmes, ragionando con lui e partecipando attivamente al processo.
Anatomia di un "eroe"...
L'esaltazione quasi ossessiva di queste tecniche mette in evidenza il totale distacco tra alcuni protagonisti e il mondo che li circonda. Da Holmes a Moriarty, nel mondo dello show pare si alternino individui capaci di sfidare le leggi dell'umana concezione. Potrebbe tutto apparire facilmente esagerato, ma l'atmosfera di Sherlock permette di contestualizzare ogni eccesso all'interno di un percorso di transizione. Nel caso del detective, quello che possa portarlo ad abbracciare finalmente la sua umanità. Nell'ambito intellettuale e deduttivo dei comprimari, non sarebbe assurdo paragonare le capacità da loro mostrate a quelle di insospettabili supereroi.
Potenzialità al limite del soprannaturale o del fantascientifico mostrano sin da subito il divario presente, come John Watson, immancabilmente umano e "normalizzato" per fare da contraltare alla freddezza e all'apparente innaturalezza del suo compagno d'avventure. John permette allo spettatore di farsi trascinare in questo vortice di epiche avventure e scontri titanici vivendoli proprio dal suo punto di vista, quello di una spalla con capacità percettive ed empatiche superiori alla norma. Il legame instaurato tra i due permette a Watson di recuperare il proprio senso della meraviglia e a Sherlock di rispecchiarsi nella sua anima attraverso gli affetti.
Volendo riassumere all'osso qualsiasi analisi o riferimento dall'opera originale, Sherlock Holmes è ciò che più può avvicinarsi all'eroe positivista, che nel racconto di una serie del ventunesimo secolo porta oltre ogni apice l'esaltazione del progresso e del ragionamento scientifico fino a sfiorare l'effimero. Il personaggio interpretato da Benedict Cumberbatch incarna ciò che Conan Doyle intendeva rappresentare e al contempo esalta tutte le proprie contraddizioni, dai disagi sociali alle dipendenze.
Va dato merito allo show di non temere alcun confronto, e anzi di cercarlo costantemente ogni qualvolta si presenti l'occasione di scardinare i preconcetti o l'estrema saccenza del proprio protagonista. Moffat e Gatiss hanno creato un personaggio iconico muovendosi in due direzioni; esaltando il suo aspetto deduttivo da una parte ed esasperando i suoi difetti e le sue difficoltà dall'altra. Lo Sherlock moderno è un "sociopatico ad alto funzionamento", eroe demitizzato che attraverso gli altri scopre se stesso e la propria sfera emotiva.
...e dei suoi legami
La soluzione di ogni caso, così come la risoluzione di ogni conflitto, passano ironicamente attraverso i legami che ruotano intorno alla figura dell'Holmes moderno. Pur limitati dalla loro palese umanità, nessuno di essi è per questo meno importante o utile nello svolgimento degli episodi, per quanto Sherlock desidererebbe il contrario. In questo contesto si riafferma l'importanza della figura di John Watson, sia per il protagonista, che per lo spettatore.
L'ex medico militare non è soltanto la guida emotiva del detective, ma è anche quella di chi osserva. Facendo da Virgilio in un caotico mondo di nemesi ultra-intelligenti e ragionamenti al limite del possibile, Watson è anche l'elemento narrativo che stimola e supporta il cambiamento. La crescita passa attraverso i due volti della serie per affacciarsi agli occhi del pubblico attraverso contrasti e confronti sempre più coinvolgenti. Non esisterebbe Sherlock senza Watson, come non esisterebbe questo show senza la rete di personaggi che in essa prendono vita. L'approfondimento si slega dai protagonisti e si muove anche verso i comprimari, dal già citato Moriarty al fratello di Holmes, Mycroft: attraverso il carattere di ciascuna comparsa viene approfondito un aspetto delle relazioni principali, costruendo accanto al "palazzo mentale" di Sherlock una "rete sociale", nella più bella accezione del termine.
Come accade nei racconti di sir Arthur Conan Doyle, lo sguardo di Watson offre una prospettiva di primo piano che contrasti l'apatia del protagonista esaltando l'eccentricità di figure e situazioni: non a caso si enfatizzano i talenti e le passioni, gli studi e gli interessi come principali motori dell'intreccio narrativo. L'osservazione partecipata, focalizzata sulla risposta deduttiva e condotta mediante un'attenta analisi, permette al pubblico di notare il costante cambiamento degli interpreti (ancor prima delle loro effettive azioni) man mano che gli eventi mettono alla prova la forza dei loro rapporti - che sia attraverso gioie, dolori o loschi inganni.
Un'epopea metanarrativa
Se si desiderasse riassumere l'essenza di Sherlock, si parlerebbe di un'epica saga fondata sul principio della metanarrazione. La struttura della serie è infatti la costruzione più maestosa partorita dalle menti di Moffat e Gatiss, che grazie alla durata cinematografica degli episodi vive di pratiche del tutto innovative. In molte occasioni, colmando ogni spiraglio di citazioni e rimandi, lo show evidenzia come lo stesso cast si trovi costantemente alle prese con un destino che bussa alla loro porta, cercando di rivelargli la loro natura fittizia o il loro destino.
L'utilizzo di elementi esterni al corpus narrativo, ma diegetici, ha permesso a diversi personaggi di affacciarsi anche oltre lo schermo. Il famigerato Moriarty per primo, che, oltre a riconoscere il suo ruolo, strizza spesso l'occhio a chi osserva. Il costante inserimento di fattori sempre differenti ha reso Sherlock uno di quei casi in cui è realmente difficile delineare un unico genere: non si tratta esclusivamente di un crime thriller né di una detective story, ma di un racconto di formazione per i protagonisti e, per gli spettatori, di un racconto di legami e amori in un contesto celebrativo della british culture.
Il maggior punto di forza, principale traino e motivo per osservare l'opera ancora oggi sotto diversi punti di vista, è rappresentato quindi dal perfetto mix tra classicismo, citazionismo e innovazione. Mostrare le informazioni, presentandole nella maniera ideale, è fondamentale, e Sherlock è la dimostrazione di come transizioni creative possano essere lo strumento migliore per rendere lo storytelling la colonna portante di un prodotto di successo. Elementi visivi, palazzi mentali e idee rappresentano gli strumenti di debriefing perfetti per permettere a chi osserva di comprendere al meglio ogni dettaglio presentato su schermo.
Si può affermare con convinzione che il lavoro svolto da Moffat e Gatiss li abbia inseriti nella ristretta cerchia di autori capaci di inventare e reinventare in maniera rivoluzionaria, creando un mondo familiare eppure sempre nuovo, divertente eppure terrificante, ma soprattutto una trasposizione che abbraccia la modernità con ogni mezzo a sua disposizione. Superando alti e bassi di una produzione sempre più grande di se stessa, anche nella sua incertezza fatta di attese e speranze, Sherlock è riuscito nell'impresa di muovere un passo in avanti, mostrando nuove direzioni in un periodo in cui serviva quanto non mai il coraggio di osare. E in questo, come dimostrano analisi, casi studio e approfondimenti, ha decisamente lasciato il segno.
Sherlock: la rivoluzione di un cult britannico
Analizziamo insieme la struttura e l'impatto di una delle opere televisive più chiacchierate degli ultimi decenni, un vero fenomeno d'oltremanica
La piattaforma streaming targata Amazon ha inserito a catalogo tutti gli episodi di Sherlock, la serie britannica partorita dalle menti di Stephen Moffat e Mark Gatiss (ma non perdetevi anche le serie Amazon Prime Video di aprile 2022). La rivisitazione in chiave moderna dei racconti di Sir Arthur Conan Doyle ha segnato la storia recente del medium grazie alla sua struttura originale e al suo stile inconfondibile, piazzandosi al primo posto fra le produzioni più viste di sempre su BBC. Un successo planetario, capace di imprimere la propria impronta nell'immaginario collettivo in quattro stagioni, uno speciale cinematografico e innumerevoli progetti lanciati da e per i fan.
Mostrando con ciascuna puntata dei veri e propri film per la tv, esaltati da regia e cast di prim'ordine, gli showrunner sono riusciti nel delicato intento di riportare in auge un'opera tanto amata ponendola però sotto una luce completamente nuova. Sherlock è infatti un prodotto che si discosta rapidamente dai canoni della classica rivisitazione, giocando astutamente con rimandi e riletture senza mai stonare neanche agli occhi dei puristi. Lo show che ha portato alla ribalta Benedict Cumberbatch e Martin Freeman è stata a tutti gli effetti un fenomeno televisivo in grado di fidelizzare il pubblico non solo per i propri personaggi, ma soprattutto per il suo approccio nei confronti dello spettatore.
Un salto verso la modernità
Raccontando quindi il genio del 221B di Baker Street, tra casi ed eventi sempre più rocamboleschi, Sherlock ha permesso al pubblico di eviscerare nel dettaglio la psiche e la natura di un super uomo, partendo dal rispetto delle opere di Conan Doyle per approfondire rapporti e legami senza tempo.
Ciò ha contribuito a rendere nuovamente indelebile il classico duo, portandolo dalla letteratura al piccolo schermo: un individuo che, attraverso il suo incredibile intuito, riesce sempre a trovare il bandolo della matassa e a risolvere casi complessi insieme al fedele amico John Watson. Osserviamo più nel dettaglio gli elementi che hanno reso la serie di Moffat e Gatiss un cult moderno. Non è un segreto che Holmes e Watson rappresentino il più emblematico duo di detective della cultura moderna. Del resto, è proprio grazie ai protagonisti creati dall'autore britannico che l'archetipo del genio deduttivo ha ottenuto maggior fama. Ciò ha permesso anche, nel tempo, di vedere innumerevoli rappresentazioni del personaggio e decine di tentativi di trasposizione su un altro medium. Conquistare quindi il proprio posto all'interno di un contesto colmo di potenziali confronti rischiava già in partenza di essere un'impresa assai complessa. Bastano pochi istanti, però, per realizzare come gli showrunner abbiano sin da subito centrato il punto focale sul quale concentrare la propria attenzione.
Sherlock non è affatto un adattamento fedele all'originale, o almeno non lo è nel suo risultato finale. Eppure il suo linguaggio diventa universale e imponente perché, mai prima di allora, era stata concessa un'osservazione così diretta della mente di Holmes. Anzi, in questo caso ogni cambiamento si rivela utile a favorire un punto di vista più ampio, un coinvolgimento maggiore o una caratterizzazione più approfondita di figure solitamente destinate al ruolo di comparse. La prima, solida base su cui si poggia la modernizzazione adoperata dalla serie si concentra proprio sul modellare in maniera innovativa i criteri di raffigurazione dei personaggi: Sherlock è un fuori dal suo tempo, sia per la sua genialità, sia per il suo carattere, specialmente nel caotico mondo della Londra odierna.
Allontanandosi quindi dalle fumose atmosfere vittoriane di fine '800, Moffat e Gatiss accolgono il pubblico in un contesto assai familiare, esaltato da dettagli e abitudini che strizzano l'occhio alle opere di costume. Guardando un episodio dello show si può a tutti gli effetti respirare aria inglese da ogni particolare, immergendosi immediatamente nel contesto in cui si trovano i protagonisti. Questi ultimi, alle prese con problemi e crimini ben più attuali delle opere di riferimento, vivono quindi storie slegate ma parallele ai grandi casi resi iconici dai romanzi di Doyle, e riescono per questo a godere di approfondimenti fino ad allora insperati. Al di là del maggior spessore conferito ai volti del programma, va poi menzionato il vero elemento rivoluzionario che Sherlock è riuscito a sfruttare per ottenere il proprio successo: lo stile espositivo.
Entrare nella testa del genio, come accennato in precedenza, è di vitale importanza per garantire l'efficacia di un'opera che intende avvicinare più che mai lo sguardo dello spettatore alla psiche di un individuo alle prese con problemi di contorta natura e di difficile soluzione. Nessuno prima di Sherlock era riuscito a esporre in maniera così trasparente il pensiero di un personaggio inserito in un thriller o un crime drama. In questo, proprio le nuove tecniche narrative hanno permesso alla serie di portare su schermo ogni singola analisi attraverso la metanarrazione e il visual storytelling. Sovrapponendo elementi testuali a quelli visivi, o sfruttando giochi registici e particolari transizioni durante l'analisi di una scena del crimine, il surrealismo permette a chi osserva di empatizzare con Holmes, ragionando con lui e partecipando attivamente al processo.
Anatomia di un "eroe"...
L'esaltazione quasi ossessiva di queste tecniche mette in evidenza il totale distacco tra alcuni protagonisti e il mondo che li circonda. Da Holmes a Moriarty, nel mondo dello show pare si alternino individui capaci di sfidare le leggi dell'umana concezione. Potrebbe tutto apparire facilmente esagerato, ma l'atmosfera di Sherlock permette di contestualizzare ogni eccesso all'interno di un percorso di transizione. Nel caso del detective, quello che possa portarlo ad abbracciare finalmente la sua umanità. Nell'ambito intellettuale e deduttivo dei comprimari, non sarebbe assurdo paragonare le capacità da loro mostrate a quelle di insospettabili supereroi.
Potenzialità al limite del soprannaturale o del fantascientifico mostrano sin da subito il divario presente, come John Watson, immancabilmente umano e "normalizzato" per fare da contraltare alla freddezza e all'apparente innaturalezza del suo compagno d'avventure. John permette allo spettatore di farsi trascinare in questo vortice di epiche avventure e scontri titanici vivendoli proprio dal suo punto di vista, quello di una spalla con capacità percettive ed empatiche superiori alla norma. Il legame instaurato tra i due permette a Watson di recuperare il proprio senso della meraviglia e a Sherlock di rispecchiarsi nella sua anima attraverso gli affetti.
Volendo riassumere all'osso qualsiasi analisi o riferimento dall'opera originale, Sherlock Holmes è ciò che più può avvicinarsi all'eroe positivista, che nel racconto di una serie del ventunesimo secolo porta oltre ogni apice l'esaltazione del progresso e del ragionamento scientifico fino a sfiorare l'effimero. Il personaggio interpretato da Benedict Cumberbatch incarna ciò che Conan Doyle intendeva rappresentare e al contempo esalta tutte le proprie contraddizioni, dai disagi sociali alle dipendenze.
Va dato merito allo show di non temere alcun confronto, e anzi di cercarlo costantemente ogni qualvolta si presenti l'occasione di scardinare i preconcetti o l'estrema saccenza del proprio protagonista. Moffat e Gatiss hanno creato un personaggio iconico muovendosi in due direzioni; esaltando il suo aspetto deduttivo da una parte ed esasperando i suoi difetti e le sue difficoltà dall'altra. Lo Sherlock moderno è un "sociopatico ad alto funzionamento", eroe demitizzato che attraverso gli altri scopre se stesso e la propria sfera emotiva.
...e dei suoi legami
La soluzione di ogni caso, così come la risoluzione di ogni conflitto, passano ironicamente attraverso i legami che ruotano intorno alla figura dell'Holmes moderno. Pur limitati dalla loro palese umanità, nessuno di essi è per questo meno importante o utile nello svolgimento degli episodi, per quanto Sherlock desidererebbe il contrario. In questo contesto si riafferma l'importanza della figura di John Watson, sia per il protagonista, che per lo spettatore.
L'ex medico militare non è soltanto la guida emotiva del detective, ma è anche quella di chi osserva. Facendo da Virgilio in un caotico mondo di nemesi ultra-intelligenti e ragionamenti al limite del possibile, Watson è anche l'elemento narrativo che stimola e supporta il cambiamento. La crescita passa attraverso i due volti della serie per affacciarsi agli occhi del pubblico attraverso contrasti e confronti sempre più coinvolgenti. Non esisterebbe Sherlock senza Watson, come non esisterebbe questo show senza la rete di personaggi che in essa prendono vita. L'approfondimento si slega dai protagonisti e si muove anche verso i comprimari, dal già citato Moriarty al fratello di Holmes, Mycroft: attraverso il carattere di ciascuna comparsa viene approfondito un aspetto delle relazioni principali, costruendo accanto al "palazzo mentale" di Sherlock una "rete sociale", nella più bella accezione del termine.
Come accade nei racconti di sir Arthur Conan Doyle, lo sguardo di Watson offre una prospettiva di primo piano che contrasti l'apatia del protagonista esaltando l'eccentricità di figure e situazioni: non a caso si enfatizzano i talenti e le passioni, gli studi e gli interessi come principali motori dell'intreccio narrativo. L'osservazione partecipata, focalizzata sulla risposta deduttiva e condotta mediante un'attenta analisi, permette al pubblico di notare il costante cambiamento degli interpreti (ancor prima delle loro effettive azioni) man mano che gli eventi mettono alla prova la forza dei loro rapporti - che sia attraverso gioie, dolori o loschi inganni.
Un'epopea metanarrativa
Se si desiderasse riassumere l'essenza di Sherlock, si parlerebbe di un'epica saga fondata sul principio della metanarrazione. La struttura della serie è infatti la costruzione più maestosa partorita dalle menti di Moffat e Gatiss, che grazie alla durata cinematografica degli episodi vive di pratiche del tutto innovative. In molte occasioni, colmando ogni spiraglio di citazioni e rimandi, lo show evidenzia come lo stesso cast si trovi costantemente alle prese con un destino che bussa alla loro porta, cercando di rivelargli la loro natura fittizia o il loro destino.
L'utilizzo di elementi esterni al corpus narrativo, ma diegetici, ha permesso a diversi personaggi di affacciarsi anche oltre lo schermo. Il famigerato Moriarty per primo, che, oltre a riconoscere il suo ruolo, strizza spesso l'occhio a chi osserva. Il costante inserimento di fattori sempre differenti ha reso Sherlock uno di quei casi in cui è realmente difficile delineare un unico genere: non si tratta esclusivamente di un crime thriller né di una detective story, ma di un racconto di formazione per i protagonisti e, per gli spettatori, di un racconto di legami e amori in un contesto celebrativo della british culture.
Il maggior punto di forza, principale traino e motivo per osservare l'opera ancora oggi sotto diversi punti di vista, è rappresentato quindi dal perfetto mix tra classicismo, citazionismo e innovazione. Mostrare le informazioni, presentandole nella maniera ideale, è fondamentale, e Sherlock è la dimostrazione di come transizioni creative possano essere lo strumento migliore per rendere lo storytelling la colonna portante di un prodotto di successo. Elementi visivi, palazzi mentali e idee rappresentano gli strumenti di debriefing perfetti per permettere a chi osserva di comprendere al meglio ogni dettaglio presentato su schermo.
Si può affermare con convinzione che il lavoro svolto da Moffat e Gatiss li abbia inseriti nella ristretta cerchia di autori capaci di inventare e reinventare in maniera rivoluzionaria, creando un mondo familiare eppure sempre nuovo, divertente eppure terrificante, ma soprattutto una trasposizione che abbraccia la modernità con ogni mezzo a sua disposizione. Superando alti e bassi di una produzione sempre più grande di se stessa, anche nella sua incertezza fatta di attese e speranze, Sherlock è riuscito nell'impresa di muovere un passo in avanti, mostrando nuove direzioni in un periodo in cui serviva quanto non mai il coraggio di osare. E in questo, come dimostrano analisi, casi studio e approfondimenti, ha decisamente lasciato il segno.
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