The Book of Boba Fett ha svelato le prime crepe della gestione Filoni?

Non è la prima volta che le difficoltà riscontrate anche in The Book Of Boba Fett si palesano in Star Wars, ma basta per indicarle come tendenze nocive?

The Book of Boba Fett ha svelato le prime crepe della gestione Filoni?
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Nella nostra recensione di The Book Of Boba Fett, nonostante la sufficienza (che vi possiamo assicurare essere molto stentata), abbiamo evidenziato i numerosi problemi che affliggono il telefilm, da scelte di narrativa incomprensibili a caratterizzazioni inesistenti o discutibili dei personaggi, senza contare una regia - in particolare di Robert Rodriguez - spenta e raffazzonata. E allora perché siamo qui a parlarne ancora? Se si trattasse soltanto di un prodotto con problematiche, e di conseguenza non riuscito, non ci sarebbe bisogno di ulteriori approfondimenti né tantomeno spiegazioni di qualche sorta; un inciampo può capitare a chiunque, caso chiuso.

Invece siamo qui nel primo di una serie di speciali sulla seconda produzione in live-action di Star Wars perché le mancanze e le criticità di The Book Of Boba Fett dischiudono dei dolorosi dubbi sull'operato di Favreau e soprattutto di Dave Filoni, veri deus ex machina dell'ecosistema The Mandalorian e relativi spin-off. Non stiamo assolutamente affermando che il nostro amato franchise sia in mani sbagliate, anzi, intuizioni brillanti come Din Djarin e Grogu mostrano quanta bontà ci sia in questo nuovo corso. È anche vero che alcune tendenze che continuano a ripetersi si stanno rivelando preoccupanti, se non addirittura nocive e ci sembra adeguato ritagliare uno spazio per discuterne apertamente.

Una piccola premessa necessaria

Tendenze che, purtroppo, hanno spesso e volentieri un nome e un cognome, ovvero il già menzionato Dave Filoni. Non fraintendeteci: attualmente non vediamo personalità dal carisma, dalla conoscenza del materiale e dall'indiscutibile talento migliori di lui per essere al timone di almeno questa parte del franchise - noi speriamo vivamente possa essere persino coinvolto in un futuro prossimo anche nelle discussioni e pianificazioni della probabile nuova trilogia.

È un fan sfegatato di Star Wars, ha assorbito quanto più possibile le idee di George Lucas che alla fine hanno reso immensa la galassia lontana lontana, ha dimostrato ampiamente il suo valore creando personaggi e archi narrativi diventati già iconici lungo le serie animate, pur senza la visibilità di un blockbuster al cinema; Dave Filoni sa cosa sta facendo e riesce, nella maggior parte dei casi, a farlo anche molto bene, su questo non abbiamo alcun dubbio.

Insomma, se esiste una sorta di erede di Lucas che possa portare avanti non le sue idee specifiche, ma le basi stesse che hanno segnato un successo che ad oggi dura da quasi 45 anni, costui è l'uomo con il cappello da cowboy. Tante persone, anche celebri, sono fan di Star Wars e possono conoscerne a memoria l'universo espanso, eppure ben poche ne comprendono in profondità le dinamiche e il meccanismo e Filoni è uno di loro. Detto ciò, alcuni lati della sua personalità che si infilano da sempre nei suoi lavori stanno, da un po' di tempo a questa parte, iniziando a creare diverse crepe.

I continui retcon

Innanzitutto, è impossibile non partire dai retcon, argomento di cui già abbiamo parlato in relazione a The Bad Batch e l'importanza dei retcon per il canone e che rappresenta per certi versi l'esempio cristallizzante del nostro discorso. Se, però, in The Bad Batch questo dispositivo narrativo era stato usato su aspetti estremamente minori, su dettagli che non fornivano informazioni definitive o su una riscrittura di un avvenimento che manteneva perlomeno saldo il senso dello stesso, in The Book Of Boba Fett si è fatto un ulteriore passo verso una distorsione arbitraria del canone.

Nel meraviglioso sesto episodio, infatti, esponendo a Grogu la scelta tra seguire la via di uno Jedi o tornare da Din Djarin, Luke mostra al piccolo allievo la spada laser di Yoda, in un momento incredibilmente forte ed emotivo. Peccato che la suddetta arma sia stata canonicamente distrutta da Mas Amedda nel fumetto Darth Vader del 2017, ambientato dopo La Vendetta dei Sith e quindi dopo che il maestro Jedi l'aveva persa durante il duello con Darth Sidious nel Senato Galattico. Con la Lucasfilm la vicenda può mai dirsi chiusa in modo cosi netto e facile? Ovviamente no, poiché in una guida canonica del 2015 - e dunque precedente al fumetto Darth Vader - intitolata Ultimate Star Wars: Locations viene ribadito che Yoda conservava la sua spada laser con sé su Dagobah. Come e quando sia rientrato in possesso dell'arma dopo essere fuggito da Coruscant chiaramente rimane un segreto della Forza.

Ora, le guide per loro natura sono portate ad essere costantemente aggiornate, riviste e dopo Darth Vader ci si poteva aspettare una banale correzione di questo dettaglio. Correzione che non solo non è arrivata, non è nemmeno mai stata neanche riconosciuta dalla Lucasfilm, che ha preferito girare intorno al problema e lasciando immaginare qualche nebuloso scenario alternativo, magari uno Yoda che aveva costruito un'altra spada laser - nonostante il canone confermi come lui non volesse più imbracciare un'arma dopo il suo fallimento - o che ne aveva tenute altre durante i secoli di servizio. Delle soluzioni che, a dire la verità e specialmente la seconda, potrebbero anche risultare vagamente soddisfacenti, ma sminuiscono sia il pomposo gesto di Mas Amedda della distruzione della tirannia dei Jedi sia la scelta offerta da Luke, sottraendone la straordinaria carica emotiva.

Singolarmente, tra The Bad Batch e The Book Of Boba Fett, sono esempi isolati; presi insieme, mostrano un'evidente tendenza da parte di Filoni a voler stravolgere il canone per i suoi scopi personali. Aveva in testa quella scena e l'ha voluta realizzare in quel modo, punto e basta, mostrando ben poco interesse verso il canone, verso i fan che seguono quanto più possibile l'infinita fabbrica di contenuti che è Star Wars e tradendo una delle più amate ed entusiasmanti serie a fumetti che il franchise ci ha regalato. In poche parole, il canone vale per chiunque, ma a quanto pare meno per Dave Filoni.

Una narrativa ingenua e fallata

Da ciò possiamo ricollegarci alla controversa macrogestione narrativa che sta prendendo forma con The Mandalorian e i suoi spin-off. E qui il contenzioso si sdoppia in pratica, cui daremo il via con la questione meno grave: Filoni sa di possedere una conoscenza a tratti strabiliante del canone ed è al contempo una figura alquanto egocentrica. Cosa vuol dire questo? Che da sempre, fin dai tempi di The Clone Wars, sente il bisogno di inserire personaggi, situazioni, rimandi ad altro materiale per mostrare quanto sia capace. È chiaro a chiunque che un talento simile, questa maniacalità eccentrica di saper collegare tutto, qualora venga sfruttata nel modo giusto, si trasforma in una risorsa strepitosa e, sia in The Clone Wars che soprattutto in Rebels, il gioco è riuscito e la sinfonia è sontuosa - o, nel gergo di Lucas, è come poesia, fa rima. Ma quando inserisce tali accenni forzatamente e senza dare un minimo di contestualizzazione, è un castello di sabbia che crolla fragorosamente su se stesso.

Ad esempio la Ahsoka di Rosario Dawson potrebbe superficialmente rientrare in un caso del genere, ma in verità è un personaggio divenuto negli anni talmente complesso, amato e riconoscibile che richiede volente o nolente delle cognizioni pregresse. Ecco, è esattamente il ragionamento non applicabile a Cad Bane, che persino un discreto fan di Star Wars potrebbe riconoscere come "quel cacciatore di taglie" e poco più, mentre chi ha visitato in lungo e in largo l'universo espanso viene colpito da un'eccitazione molto superiore. Tale dislivello, così elevato, non dovrebbe sussistere su un personaggio che in The Book Of Boba Fett è forse l'antagonista principe - non una mera comparsa sullo sfondo - e bastava davvero poco per colmarlo, come aggiungere qualche dialogo aggiuntivo che facesse più luce sul loro burrascoso trascorso.

Un pizzico in più di contesto, qualche altra battuta ben piazzata e lo sforzo sarebbe stato sufficiente. Nella serie questo sforzo semplicemente non c'è. Infine, rimane la spinosa ed ingombrante presenza di due puntate di The Mandalorian dentro un altro prodotto, episodi che non solo riguardano il buon Mando ma che addirittura contengono avvenimenti essenziali al suo viaggio; chi era disinteressato al personaggio di Boba Fett dovrà necessariamente vedere la sua serie per comprendere la terza stagione di The Mandalorian. Queste scelte rasentano la follia e possono essere comprese solo se si immagina l'ecosistema sorto da Din Djarin come un primo tentativo di emulazione del MCU, andato però storto sotto molti punti di vista. Nel Marvel Cinematic Universe vi è infatti un miracoloso equilibrio tra le proprie componenti, tale che anche perdere qualche pezzo del mosaico - eccezion fatta per alcuni capitoli cruciali - permette una tranquilla comprensione del nuovo film o della serie più recente, garantita dalla presenza di piccoli dialoghi o flashback tutto sommato innestati discretamente bene, ovvero senza interrompere troppo il flusso naturale della narrazione.

Ed è puntualmente ciò che i tanto discussi due episodi di The Book Of Boba Fett falliscono nell'ottenere: fermano bruscamente la storia di Boba, ne annullano e depotenziano la sua figura, a tratti ne ridicolizzano la funzione e ignorano in modo eclatante l'equilibrio magico targato Marvel sotto il vessillo fine a se stesso di un autoproclamata connessione tra i prodotti; è paradossale che momenti così intensi non facciano altro che svilire la serie in cui si inseriscono. Errori gravi che in Ahsoka non possono assolutamente ripetersi, ma che nelle nostre speranze sono dovuti ad ingenuità di gioventù destinate a sparire nel momento in cui Filoni riuscirà a controllare quella parte del suo ego che troppo spesso sta emergendo in superficie.