The Man in the High Castle: la forza di un'opera corale

Riscopriamo insieme una delle prime opere d'alto livello prodotte da Amazon: ecco perché recuperare la serie tratta dal romanzo di Philip K. Dick.

The Man in the High Castle: la forza di un'opera corale
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Tra le prime produzioni originali della piattaforma Prime Video, The Man in the High Castle è stata una serie capace di intrattenere milioni di spettatori agli albori della nuova era dello streaming. Sfruttando una solida base di partenza - il romanzo "La Svastica sul Sole" di Philip K. Dick - e le ambizioni di un colosso che intendeva sin da subito mettersi in mostra rispetto alla concorrenza, lo show prodotto da Ridley Scott è riuscito in poco tempo a raccogliere proseliti tra pubblico e critica. Questo racconto ucronico - che sostituisce, cioè, avvenimenti immaginari a quelli reali di un determinato periodo storico - ha infatti avuto il grande pregio di rappresentare la neonata casa di produzione targata Amazon, caricandosi anche l'onere di farsi manifesto agli occhi del suo curioso pubblico: Prime Video non sarebbe stato soltanto marketing a tutto spiano, ma avrebbe detto la sua puntando su qualità e mezzi di cui nessun altro poteva disporre alla stessa maniera.

In effetti, specialmente nei primi tempi, The Man in the High Castle ha sconvolto l'America perché incarnava perfettamente una nuova corrente televisiva colma d'ambizioni. Lo show era, a tutti gli effetti, qualcosa di "diverso" e tale mirava a rimanere anche durante il suo prosieguo. Al netto di alcuni alti e bassi, dettati principalmente dall'incremento di sottotrame, personaggi ed eventi, l'opera che ha debuttato nel novembre del 2015 non ha raggiunto vette di popolarità elevatissime rispetto ad altri prodotti del settore, ma ha avuto il grande pregio di mantenere una qualità visiva e della messa in scena elevatissime nell'arco delle sue quattro stagioni.

Il suo finale, giunto nel 2019 (ecco la nostra recensione di The Man in the High Castle 4), ha sì permesso alla serie di acquisire maggior notorietà anche fra gli spettatori europei, ma non sembra aver mai raggiunto la portata che avrebbe potuto meritare, mantenendosi su una folta nicchia che ha però adorato quanto svolto da autori e produttori. Con il giusto metodo d'osservazione, analizziamo insieme ciò che ha reso la serie un prodotto d'alto livello e riscopriamo i particolari che la rendono meritevole di essere recuperata.

L'alba di altri mondi, l'oblio dell'uomo

La premessa della serie, così come quella dell'opera letteraria, è emblematica: cosa sarebbe successo se le potenze dell'Asse avessero vinto la Seconda Guerra Mondiale? Ciò che Dick ha tentato di raccontare nel suo romanzo, mescolando temi ucronici ed elementi fantascientifici tipici della sua bibliografia, Scott ha portato su schermo affidando il timone alle sapienti mani di Frank Spotnitz, il quale ha messo insieme componenti sceniche tipiche dei drama noir ad altre più vicine ai thriller sci-fi.

Mettendo a disposizione della produzione una schiera ben assortita di personaggi accattivanti in grado di attrarre verso di sé l'attenzione degli spettatori, The Man in the High Castle si è posta l'obiettivo di mostrare un mondo avvolto dall'orrore in cui, tuttavia, si tenta ancora di resistere. L'America che viene mostrata all'interno dei vari episodi, con gli anni '60 mai visti così bui, è divisa tra i nazisti della east coast e i giapponesi della west coast in un mondo in cui Hitler ha raggiunto l'apice del potere e l'umanità appare ormai soggiogata nonostante i tentativi di resistenza di cui qualche folle si fa portavoce.

C'è un motivo più che valido che rende La Svastica sul Sole una delle opere maggiormente influenti dell'autore americano, e che quindi pone anche la sua trasposizione in netto contrasto con altri prodotti del genere. La distopia che l'opera intende raccontare poggia su basi completamente diverse dagli standard, giocando attraverso l'idea di sovversione con temi narrativi complessi e dinamiche tutt'altro che prevedibili. Un prodotto distopico, che però non fa della distopia il suo unico elemento centrale e che rende le azioni dei diversi personaggi sottilmente legate e quindi più difficili da seguire.

L'assenza, emblematica in tal senso, di una resistenza pienamente organizzata porta sia il lettore che lo spettatore a osservare con occhio ben più critico e attento lo svolgersi delle vicende, pervaso dall'angoscia di chi sa perfettamente di trovarsi di fronte a qualcosa di talmente grande da poter fare poco e nulla per stravolgerlo nella sua interezza.

Una scommessa che va oltre il genere

La scommessa di Amazon non voleva certo contraddistinguersi come un prodotto pop: l'intera serie, forte della macchina produttiva alle sue spalle, ha non solo segnato il passo per molti prodotti successivi della piattaforma, ma ha anche offerto agli spettatori qualcosa di realmente diverso rispetto ai prodotti di quegli anni. Allontanandosi sin da subito da qualsiasi forma di linearità,

The Man in the High Castle gioca con gli elementi noir nel modellare intorno a pochi protagonisti e a molti personaggi un drama corale: fornendo più spaccati e più prospettive, per poi intrecciarle in una matassa difficile da sbrogliare, lo show offre tutto ciò che occorre per appassionarsi al genere e agli individui coinvolti nelle vicende. Ciò che inizialmente voleva porsi come drama dallo stile classico si è invece affermato come baluardo di una nicchia, a metà tra i fan dei thriller e quelli dei sci-fi, che ha sin da subito amato la visione alternativa di Dick e la sua conseguente messa in scena. Quest'ultima, in particolare, offre uno spaccato eclatante e impressionante a partire dalle scelte stilistiche: il susseguirsi di scene ad alto impatto visivo, complice una fotografia degna di un kolossal (vincitrice di un Emmy) e una costruzione della tensione costante e mai banale, riesce a tenere incollati allo schermo e al contempo fa riflettere su temi ben più vasti del conflitto fra schieramenti opposti.

Centellinando con parsimonia le componenti sci-fi, unendole alla narrazione per dar vita a un crescendo colmo di pathos, sono gli elementi che danno vita alla distopia e al mondo ucronico dello show a rimanere impressi nella mente e nella memoria. La realtà portata in scena in The Man in the High Castle è aberrante, terrificante e angosciante, eppure trasmette con estrema facilità il realismo di cui è permeata. Tutto ciò rende l'intero setting delle vicende quasi ordinario, opprimente nella sua potenza e totale nella sua affermazione - quasi come non potesse minimamente esistere qualcosa di diverso rispetto a un contesto simile.

La serie pone tutte le sue basi con estrema cura, soprattutto nelle prime due stagioni, per poi andare ad aprirsi verso nuove prospettive quando inserisce la sua componente fantascientifica con più forza. Di fronte all'imprevedibilità che permea la narrazione e che riempie di tensione ogni scena, capendo con largo anticipo il potenziale del proprio racconto, The Man in the High Castle è riuscita a creare un connubio d'altissimo livello che non ha paura di angosciare e di far riflettere molto più a fondo della propria superficie.

Osare per emergere

The Man in the High Castle è riuscito a osare nonostante i temi delicatissimi che lo circondano. Lungi dal considerare perfetta una produzione che per lungo tempo ha dovuto faticare per tenere in equilibrio tutte le sue componenti narrative (e non), la serie ha avuto coraggio dall'inizio alla fine senza perder mai di vista il proprio obiettivo. Sdoganare l'ideologia nazista, trattandola come un credo talmente organizzato e radicato da costituire la "normalità" mantenendo comunque un distacco di intenti, è un compito tutt'altro che semplice. Eppure, grazie alla bravura dei propri interpreti e alla tenacia del proprio dialogo, lo show non ha solo spostato l'asticella su un dialogo più alto sulle ideologie e sulla società, ma ha anche evidenziato la fragilità dell'animo umano di fronte a un'ideologia imperante: The Man in the High Castle offre tutti i mezzi utili a osservare in maniera critica la percezione di un ideale e le varie modalità in cui può corrompere (o esaltare) la mente umana.

Ogni personaggio recepisce e ingloba ciascun dogma per poi emergere attraverso azioni differenti o contrasti vissuti in maniera totalmente soggettiva nell'arco delle varie stagioni - quasi in controtendenza con la rappresentazione e la connotazione storica dell'ideologia nazista, da sempre dipinta come unilaterale e monodimensionale.

Nel raccontare l'atrocità del mondo e una guerra senza fine, va specificato che non emerge mai nessun motivo per giustificare certi scempi. L'opera tende a stigmatizzare il concetto stesso di atrocità e anzi lo pone come elemento fondante dell'istinto di sopravvivenza. Questa serie di elementi, e molto più, trova su schermo la sua incarnazione nella figura di John Smith e nella sua opposizione a quella di Juliana Crain: se il primo rappresenta più di chiunque altro quella profondità caratteriale che dona all'ideologia un senso nuovo e rende il personaggio talmente complesso da non inquadrarlo in uno schema prestabilito, la seconda si afferma invece come unica figura chiave pronta a incarnare il concetto stesso di umanità, costante imperitura di un istinto che non abbandonerà mai il cuore di chi lotta. La resistenza, se tale vuole essere definita, è un concetto che va oltre gli uomini e oltre il tempo.

Ideali in Guerra

Nel marcio mondo di The Man in the High Castle non sembra mai esserci spazio per qualcosa di diverso dal regime. Ciononostante, emerge sempre qualcosa in grado di opporsi e resistere. L'unica ancora di salvezza (o barlume di speranza) per un mondo condannato all'oblio non è un individuo, non è un'arma, ma un'idea. Utopica o mitica che sia, la narrazione sfruttata da chi tenta di resistere e il modo in cui i personaggi vengono stravolti da essa porta la serie a parlare direttamente allo spettatore, spingendolo a osservare con attenzione le vicende per capire meglio il mondo in cui vive oggi. Se in The Man in the High Castle le idee stravolgono il modo in cui gira il mondo, ossessionano ciascun personaggio e danno la forza per resistere all'avverso, nel mondo reale di oggi cosa potrebbe porsi allo stesso livello - al netto delle numerose libertà concesse? Attraverso il gioco narrativo dello show si giunge con freddezza alla conclusione che, nella pratica, nulla è particolarmente diverso dalle vicende narrate: osservando con sguardo critico i portatori d'interesse e i grandi portavoce della società di oggi, così come i leader politici di terre ancora in regime, è facile notare la fragilità delle prospettive e la stessa dinamica riguardo ai punti di vista inculcati alle popolazioni.

Ogni generazione vede in sé conflitti e guerre, atrocità e sofferenze da combattere e per questo viene spinta sin dalla sua nascita a resistere. Come la virtù, la resistenza è un istinto semplice, ma complesso da mettere in atto. Come sostengono i sociologi dell'era moderna, in un mondo in cui diventa facile indirizzare le coscienze verso una specifica direzione, comprendere è un obbligo morale, ma resistere è un fatto costante e forse dovuto. Che si tratti di un racconto di cronaca o di un racconto ucronico, questo è lo spunto migliore che una serie del genere possa offrire, aprendo la mente oltre lo schermo e spingendo a guardarsi intorno con maggior attenzione.