The Witcher: perché il Geralt di Henry Cavill è un personaggio unico

Scopriamo insieme il protagonista di The Witcher, un antieroe cupo e tormentato, negazione e omaggio di un archetipo.

The Witcher: perché il Geralt di Henry Cavill è un personaggio unico
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The Witcher è tornato, con una seconda stagione elettrizzante che ha saputo rimediare ai vuoti e alle imperfezioni che avevano lasciato parte della critica e del pubblico un po' tiepidi alla fine dei primi 8 episodi (prima di immergervi nella nostra recensione di The Witcher 2 vi consigliamo di recuperare la recensione di The Witcher). Senza ombra di dubbio però, un elemento che ha convinto quasi tutti è quanto Henry Cavill sia sostanzialmente perfetto nella parte di Geralt di Rivia, il protagonista della saga creata dal grande scrittore polacco Andrzej Sapkowski.

Certo, molto si deve alla caratterizzazione della versione videoludica di CD Projekt Red, tuttavia sarebbe sbagliato non riconoscere che anche i più esperti conoscitori della saga hanno trovato sorprese ed elementi narrativi di grande interesse nella trasposizione Netflix. Ad oggi, il Geralt di Cavill è uno degli antieroi più accattivanti del piccolo schermo.

Un solitario che detesta la sua posizione

Uno degli elementi più evidenti di Geralt è quanto egli sia solo, emarginato, a dispetto dei suoi incredibili poteri, che lo rendono largamente superiore ad un uomo comune. Lo Strigo è un guerriero eccezionale, un esploratore provetto, un ottimo cavaliere, ma soprattutto un uomo per il quale l'arcano, con tutte le sue creature, non ha sostanzialmente misteri.

Le pozioni di cui fa uso, lo dotano di sensi e qualità largamente sopra la media, tuttavia non è semplicemente una macchina per uccidere, quanto piuttosto un individuo che la vita ha reso cinico e disincantato verso il mondo ed i suoi abitanti fin dall'infanzia. O almeno così sembra.
Sì, perché già nella prima stagione (qui abbiamo ricordato i 5 momenti più spettacolari di The Witcher), già nello sfortunato incontro con Renfri, Geralt dimostra di soffrire la sua condizione, di essere abilissimo nell'uccidere ma refrattario nel farlo gratuitamente, così come di provare sentimenti contrastanti verso i cosiddetti "mostri". Fin dall'inizio, Geralt ci appare come un uomo molto meno sicuro di sé di quanto solitamente gli antieroi classici siano, scevro da ogni retorica inerente il cosiddetto codice della Cavalleria, sicuro del resto che i mostri che sovente è costretto ad uccidere siano molto meno mostruosi delle persone.

Il suo incontro con Yennefer, nonché con Cirilla, non faranno altro che portare alla luce la sua insofferenza verso l'autorità, dimostrata per esempio alla corte della Regina Calanthe o verso i tanti Signorotti e prepotenti con cui ha avuto a che fare. Il suo mondo è in preda al caos, spesso gli alleati diventano nemici e la morte coglie il suo raccolto indiscriminatamente. Naturale che in lui vi sia la tendenza a creare un vuoto emotivo che però è meno saldo di quanto egli stesso desideri.

Il rapporto con Cirilla e il concetto di responsabilità

Il rapporto tra Geralt e Ciri è solo apparentemente un dejà-vu, uno dei tanti già visti tra un guerriero rotto da ogni insidia e dolore, ed una giovane anima persa e indifesa verso la crudeltà del mondo. In fondo, lui era nella sua stessa posizione molto tempo prima, quando incontrò Vasemir.

Gli esempi narrativi non mancano. Il più noto è senza dubbio Lone Wolf and the Cub , tratto dal leggendario manga di Koike e Kojima (qui trovate la nostra recensione di Lone Wolf and the Cub), portato sul grande schermo da Kenji Misumi nel 1972. A chi ama la fantascienza, è inutile probabilmente far notare la somiglianza anche con il mandaloriano che tanto ha affascinato il pubblico in questi ultimi due anni nell'epica western di The Mandalorian. Il fatto che poi in Geralt, grazie a Ciri, si risvegli via via una parte della sua anima che pensava addormentata, può sicuramente trovare un riferimento nel cult Leon (qui la nostra top 3 dei film di Luc Besson), così come nell'anime Sword of the Stranger di Ando (ecco perché dovreste recuperare la recensione di Sword of the Stranger). Ciri è legata allo Strigo dal destino e non è esattamente indifesa. Tuttavia, non ha piena coscienza di sé né dei suoi poteri, non ha una grande idea di come controllarli.

A lungo andare, cerca e trova in Geralt una figura paterna sicuramente diversa dalla norma, che si rivela per gradi. Lo Strigo, che ha sempre solo dovuto badare a se stesso o al proprio cavallo, in questa seconda stagione si rende conto che quella ragazzina è una sua responsabilità. Andando avanti, si accorge di avere un'influenza su di lei, che può anche risultare negativa. In un certo senso, è soprattutto grazie a Ciri se Geralt ritrova uno scopo nella sua vita, che neppure l'incontro con Yennefer gli aveva dato: prendersi cura di una persona.

Tra negazione e sublimazione di un ideale

Geralt ha moltissimo in comune con la figura del ronin, da sempre connessa al concetto di anima persa, senza un vero scopo. Forse il miglior esempio da questo punto di vists è il Jubei protagonista del capolavoro di Yoshiaki Kawajiri che abbiamo analizzato nella nostra recensione di Ninja Scroll). Pur essendo ben esperto del mondo e della violenza, non è così inesatto trovare un parallelo tra ciò che queste due stagioni di The Witcher ci hanno mostrato e la figura del cavaliere errante di origine arturiana, che quest'anno è stata sublimata nel bellissimo The Green Knight (scopritelo nella nostra recensione di Sir Gawain e il Cavaliere Verde).

Come Gawain, anche Geralt va incontro ad un percorso di formazione e scoperta di se stesso in queste due stagioni e, come un cavaliere errante, ha anche il suo menestrello. I suoi modi freddi, bruschi, il suo passato tormentato, il suo trovarsi spesso nella scomoda posizione tra due contendenti lo rendono la perfetta trasposizione fantasy della figura dello "Straniero Senza Nome", che ha reso immortale Clint Eastwood fin dai tempi della Trilogia del Dollaro (qui il nostro omaggio ai 90 anni di Clint Eastwood).

Lo stesso rapporto con Yennefer, lo rende però tesi ed antitesi di tale figura, dal momento che per Geralt appare evidente che quest'ultima rappresenta qualcosa di elevato, di importante; la negazione di quel cinismo di cui si è sempre vestito. In questa seconda stagione in lui si fa evidente una travolgente passione, un sentimento che lo rende vulnerabile, solo l'ennesima conferma di quanto egli sia qualcosa di molto più articolato del classico duro dal cuore d'oro. A conti fatti, The Witcher 2 ha convinto grazie al suo protagonista, sublimazione e negazione del concetto di lupo solitario. In lui vivono mille contraddizioni, che lo rendono imprevedibile e tutt'altro che scontato.