The Witcher: perché non bisogna paragonarlo a Game of Thrones

Quello di Andrzej Sapkowski e della serie Netflix con Henry Cavill è un fantasy diverso da quello dello show HBO, più o meno in tutto.

The Witcher: perché non bisogna paragonarlo a Game of Thrones
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La tendenza della serialità contemporanea è sempre stata quelle di provare a imitare un contenuto televisivo rivelatosi di grande successo. Un'eredità che proviene dal cinema, dove le forme e i contenuti sembrano attualmente essere più cristallizzati rispetto a quelli del piccolo schermo, più aperti alla sperimentazione narrativa e stilistica e per questo punto d'approdo sempre più ideale alle sensibilità di grandi autori e grandi progetti.
Prima che arrivasse su HBO la mastodontica trasposizione di Game of Thrones, il fantasy televisivo medievale o in costume era letteralmente fermo agli anni '90, alle produzioni Sam Raimi e poco altro - guardando ad esempio a Legend of the Seeker - tutte sviluppate con l'identico modello produttivo: divertire e intrattenere prima di ogni qualità tecnica o visiva. Diciamo che non c'era dignità artistica nella fantasia se non quella di una sorta di vodville eccentrico e d'impianto quasi teatrale, ricco di artigianato prostetico, vistoso trucco, abiti e mostri stravaganti e situazioni assurde.
Game of Thrones ha invece donato un decoro differente al fantasy medievale o cavalleresco, rendendolo drama a tutto tondo, meritevole di premi e attenzione e aprendo anzi la strada del piccolo schermo a produzioni di genere ad alto budget, come ad esempio al The Witcher di Netflix. Che però propone un'idea di fantasy completamente diversa.

"Samraiminismo" revisionato

Tutto al posto giusto per riempire sulla breve distanza quel vuoto lasciato dalla fine delle Cronache del Ghiaccio e del Fuco targate HBO, se non fosse che la trasposizione dei romanzi di Andrzej Sapkowski di Lauren Schmidt Hissrich sceglie di prendere una direzione totalmente differente, quasi agli antipodi.

The Witcher approfitta dunque dell'occasione per fare un passo indietro e uno di lato, adattando con coerenza (e diverse libertà) l'opera letteraria dell'autore polacco e andando a revisionare con un certo divertissement quell'ideologico movimento seriale che chiameremo Samraiminismo, dedicato a un fantasy più estroso e inventivo.

Non che non rispetti dei canoni narrativi contemporanei, comunque, perché lo fa ed è già intuibile dalla contorta e disfunzionale idea di dividere i piani temporali e complicare ritmo e sviluppo del racconto.

Tra vecchio e nuovo

Particolarità della serie Netflix è questa convivenza spesso distorta tra passato e presente della serialità, dove la fantasia più libertina, di genere e divertita di Herclues o di Xena va ad incontrare il peso superficiale della drammaturgia sapkowskiana, per sua natura già distante anni luce dalla prosa di George R.R. Martin.

Non usa figure retoriche complesse, ha un linguaggio che mai snatura le origini nordiche della scrittura e non riesce comunque ad adoperarsi in una descrizione dettagliata e approfondita di ambienti e situazioni (con i personaggi ci riesce meglio), risultando spesso fin troppo celere o dialogico in modo superficiale. Sono ovviamente dei romanzi avvincenti che trovano nel worldbuilding letterario di Sapkowski, nelle atmosfere e nel grande carattere dei suoi protagonisti le carte giuste per un meritato successo, eppure diverso - radicalmente - dall'esempio Game of Thrones.
Impossibile dunque trasporre un'opera tanto agli antipodi in un prodotto che imitasse sostanzialmente quelle vibrazioni fantasy, il che ha convinto Netflix e la Hissrich a trovare una propria dimensione fantasiosa, frutto di una cernita di elementi esaustivi presi dai libri, dai videogiochi della CD Projekt Red, dalla produzioni di Sam Raimi e da qualche lezione impartita dallo show HBO.

Ne è venuto fuori un prodotto che è evoluzione diretta delle serie di genere anni '90, capace di abbracciare con un gusto grottesco e forse più "romantico" la modernità narrativa del piccolo schermo, dividendosi tra procedurale e story driven, tra linee orizzontali e verticali, con una prima stagione introduttiva e stilisticamente schizofrenica, dal baricentro sbilanciato come quello di un ubriaco. E la cosa che più impressiona è come The Witcher sia riuscito a cogliere in pieno l'anima dei romanzi senza tradire troppo le aspettative dei fan e risultando uno dei prodotti d'intrattenimento più visti degli ultimi anni. Tutto questo senza cercare minimamente di imitare Game of Thrones.